Fantasmi a Berlino

Alcune suggestioni su fantasmi e cacca in terra tedesca. La festa dell’unificazione, il Dieselgate e la Deutsch Bank, la protesta contro il TTIP. La sovranità popolare nella Costituzione della DDR. L’Islam in Germania: migrazioni e ospitalità. Libri e prigione: installazioni e conferenze alla Casa delle Culture del Mondo. Il Museo della Stasi e i selfie-made man: lo spionaggio diffuso. Berlino tra strade e spazi chiusi.

 

1. Geist und Scheiße

Il fantasma che si aggira per l’Europa è ancora quello del comunismo: e siccome corre voce che sia morto, si configurerebbe addirittura come il fantasma di un fantasma, un fantasma al cubo insomma, o roba del genere. Contro l’idolatria del mercato che ha trovato spazio dopo il crollo del Muro di Berlino, e per l’affermazione di una dignità incondizionata al di sopra di ogni economia, Jacques Derrida in Spectre de Marx (1993) indagava la dimensione della «non contemporaneità a sé del presente vivente», chiedendosi quando l’uomo avrebbe finalmente «imparato a vivere».

Se il paradosso di un presente assente a se stesso sembra costituire ormai la condizione di vita delle moltitudini e non l’elaborazione di un sofisticato filosofo che viveva dall’altra parte dei Pirenei, la spettralità assume particolare consistenza in Germania, terra di spiriti assoluti e materialismi dialettici, dove uno stato “materialista” è ormai ridotto a puro “spirito”. E in una competizione tra fantasmi, sul luogo dove sorgeva il Palazzo che celebrava la repubblica comunista, è in via di ricostruzione il castello medievale della dinastia prussiana Hohenzollern. E sul territorio un tempo controllato dalla DDR, ora che questa è stata assorbita da una formazione statale di prevalente orientamento liberista, sembrerebbero ora affermarsi pulsioni xenofobe e romanticherie social-nazionaliste non proprio legali, che trovano gli esponenti forse più ispirati nel gruppo nazi-rock Landser.

La teoria della Collettive Potty Breaks del criminologo Christian Feiffer ha cercato di spiegare come l’aggressività attualmente riscontrabile negli abitanti dei territori dell’Est dipenda da una pratica tipica dell’educazione socialista, che consisteva nel condurre i bambini, ognuno con il proprio vasetto, a fare la cacca tutti insieme: questo avrebbe permesso la soppressione dello spirito di individualità e la rottura di quello di ribellione, portando con il tempo a manifestazioni di violenza.

Una serie di deliziose statuette in ceramica, raffiguranti ognuna un bambino sorridente sul suo vasino, è ancora visibile al DDR Museum, dove tra documenti e interazioni si può ammirare una delle forme più precise dell’editing e della post-produzione a cui è sottoposta l’esperienza del socialismo reale, realizzata ad uso del compiacimento dei discorsi ufficiali e per la gioia dei fruitori dei servizi culturali. Nella commistione di interessi politici e prassi istituzionali prevalenti nel nostro Occidente, l’unica scelta alla quale liberamente aderire sarebbe convalidare teorie come quella di Feiffer, e convenire rispetto alla superiorità igienica ed etica dell’Ovest.

La questione è però da contestualizzare in una prospettiva più ampia, non sfuggita all’acutezza di autori quali Erica Jong e Slavoj Žižek, e del resto verificabile da chiunque si trovi ad andare al bagno in Germania. Infatti, in tutta la terra tedesca sì è stati a lungo abituati a defecare in toilette che poi ti costringono a guardare in faccia quanto prodotto: una cacca (Scheiße) fresca e bene in evidenza che può anche concepirsi come Spirito (Geist) nello svolgersi del proprio processo. Ma se tra spettri e secrezioni c’è forse più di un legame, Erich Fromm (The heart of man: its genius for good and evil, 1964) ha da tempo fatto comprendere come tendenze coprofile, tipiche proprio di chi appare troppo intento a compiacersi della propria merda, comportino fissazioni sulla fase anale, capaci di forti manifestazioni aggressive e altre degenerazioni.

Proviamo ad osservare come esperienze difficili e diverse siano state elaborate nel vissuto della metropoli berlinese con una certa analogia con le operazioni legate al defecare, quali tirare la catena e altre. Il sogno del Führer e del suo architetto Speer di distruggere e ricostruire integralmente questa città per renderla capitale del mondo, è stato realizzato proprio dagli invasori russi e americani in reciproca concorrenza, che hanno rimosso accuratamente quasi ogni traccia del nazionalsocialismo. E se i sovietici considerano opportuno promuovere nella Germania orientale un orientamento umanista e la traduttrice Yeyena Atesya si incarica di diffondere in Russia autori come Kafka e Böll, la filosofia critica di Adorno trova negli Stati Uniti tanto una nuova sede quanto nuovi argomenti per esercitare la propria critica del capitale, al quale la Germania occidentale si affida comunque senza riserve.

Dopo il crollo del socialismo reale, la DDR si è dissolta nell’Ovest, il quale pur assimilandola al nazismo gli ha però fornito un destino diverso nell’immaginario collettivo e, piuttosto che nasconderla, ne ha promosso ogni paccottiglia ad indispensabile souvenir, dagli inesauribili frammenti di Muro all’ormai onnipresente Lampeman dei semafori. Un fragore di sciacquoni sembra accompagnare le due operazioni di liquidazione: è però importante, nella situazione tedesca, praticare un’attenta operazione di scopetta in modo da non spalmarne i residui. Poi occorrerebbero altre attenzioni: i bidè però mancano, e spesso è inevitabile ricorrere alle docce. Tutto questo comporta una disciplina rigorosa, quasi oltreumana.

Il peculiare rapporto che lo spirito tedesco dimostra di avere nei confronti della cacca può forse aiutare a comprendere manifestazioni aberranti delle quali la storia tedesca è stata, malgrado le sue migliori componenti, piuttosto generosa. E se da una parte l’elemento problematico, pur se completamente cancellato, sembra tornare a galla, dall’altra viene solennizzato anche non considerandone la specifica realtà. Così, a Berlino si passeggia tra la storia come tra le merde di cani che nel quartiere di Neukölln un ignoto ma attivissimo artista colora con la vernice spray.

Se in Germania nel settore delle tazze del cesso l’Europa sta portando cambiamenti, invece i bidè, che ad una coscienza luterana, soltanto apparentemente sciolta e liberata, possono sembrare addirittura peccaminosi, dovranno forse aspettare chissà che. La morale, se così si può chiamare, che ne possiamo trarre, è semplice e decisiva: imparare a pulirsi il culo non è cosa scontata nemmeno per i popoli più culturalizzati, e a volte non si è “contemporanei” a se stessi nemmeno in certi momenti. Di fronte a tali evidenze, l’umiltà necessaria a rispondere alla domanda di Derrida e finalmente «imparare a vivere» potrebbe forse diventare meno difficile.

 

2. Unioni e trattati

A Berlino, la celebrazione del venticinquennale dell’unificazione del paese si è accompagnata ad una cerimonia ufficiale dai toni enfatici pur se bislacchi, tra farneticazione celebrativa e sagra paesana. Presso la Porta di Brandeburgo e la Colonna della Vittoria erano posizionati i palchi, il percorso era occupato dagli stand dei festeggiamenti. Un assortimento di odori e suoni accompagnava una presenza cittadina folta e distrattamente partecipe, che ha iniziato a raccogliersi in un bel pomeriggio di inizio ottobre.

Tra la gastronomia di una festa dell’Unità globale perlopiù a base di curry würstel, e una musica che spesso sembrava il disco incantato di Wind of Change degli Scorpions, tutto appariva piuttosto irreale. Danke e bitte suonavano spesso fuori luogo, e riaffiorava la sgarberia storicamente riconosciuta quale tratto tipico della cultura di una città che oggi si vanta di aperture e tolleranze senza confini. Nel cuore della festa, due coppie gay, due uomini mano nella mano e due donne abbracciate, provenienti da direzioni opposte, si urtano tra loro, e nessuno chiede scusa a nessuno.

L’unificazione ha un contorno di fratture, variatamente servito. Lo scandalo della Volkswagen, coinvolta da truffe sui gas di scarico, dalle implicazioni enormi. Gli azionisti della casa automobilistica di Wolfsburg sono pronti a fare una causa di 40 milioni di euro, che con le richieste di risarcimenti potrebbero arrivare a 100 milioni. Uno studio del Mit di Boston fa sapere che negli USA i morti per i gas NOx in eccesso sono 60. Il ministro Del Rio comunica che in Italia i veicoli coinvolti sono 709.712. I governi europei hanno ottenuto dalla commissaria per la politica industriale Elzbieta Bienkowska un’attenuazione dei limiti nei test reali nelle emissioni. Il parlamento di Strasburgo ha respinto l’emendamento dei Verdi che chiedeva l’istituzione di una commissione di inchiesta.

L’attenzione all’ambiente e alla giustizia sociale sembra lontana dal capitalismo tedesco che, alla faccia del suo tradizionale aspetto di welfare, appare ormai del tutto solidale con quello finanziario, soprattutto da parte dell’ineffabile Deutsch Bank, che produce un ammontare di strumenti derivati di 54.700 miliardi di Euro: venti volte il PIL tedesco e cinque quello dell’Eurozona. La finanza tossica però non avvelena soltanto il mondo reale: l’istituto è costretto, dopo la perdita di 9.9 miliardi, a tagliare 9.000 posti di lavoro e chiudere operazioni finanziarie in 10 paesi. L’unità è da se stessa assente. Un vuoto si riempie di continuo di altri vuoti, fossero consumi culturali dove per qualche miracolo si concentra ogni ubbia metropolitana del presente, oppure improbabili e immancabili souvenir che sorgono sfacciati dalla ferite di cui la città è ricca.

Due settimane dopo, i luoghi delle celebrazioni unitarie e dei palazzi del potere sono percorsi da un corteo diverso, nel quale in qualche modo trova spazio qualcosa che in quello precedente rimaneva taciuto. Circa 250.000 persone, molte armate di cartello oppure di animazioni varie, contestano il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), dal 2013 in fase di negoziato tra Unione Europea e Stati Uniti.

Chi sostiene il TTIP è perlopiù convinto possa permettere una crescita mondiale del PIL di quasi 120 miliardi di euro. Chi lo osteggia ne critica anche le modalità quasi segrete con cui si svolge, è convinto che il PIL sia un indice che non indichi nulla e che la stessa crescita sia a sua volta una specie di fantasma. Il ponte vicino alla Stazione centrale attraversato dal corteo è su uno specchio d’acqua che, se sembra rendere profondità alla cose, si risolve in pura illusione. Il cielo è diviso anche dal nostro sguardo, con una frattura più profonda di quella vista da Christa Wolf.

Questo Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti vorrebbe unificare traffici europei e atlantici per abbattere dazi e dogane reciproci, tagliando però fuori gli altri paesi, compresi quelli in ascesa come Cina, Brasile, India. Settori di consumo quali farmaci, cibo, prodotti sanitari e chimici, così come servizi primari di valore commerciale consistente, quali scuola, sanità, pensioni, verrebbero ulteriormente privatizzati, con notevoli complicazioni rispetto alla tutela delle tutele territoriali e della vita animale.

La confermazione sindacale Deutscher Gewerkschaftsbund critica l’introduzione di OGM e pesticidi fino ad ora illegali. Altre preoccupazione riguardano il lavoro dei cittadini, dove le privatizzazioni peggiorerebbero il tasso di disoccupazione. Inoltre, il trattato metterebbe in crisi lo scambio commerciale tra paesi europei. Soltanto la UE, per quanto senza testa, può puntare in piedi alle discussioni. Così, mentre l’Europa è assente a se stessa, la Germania si accontenta di esportare prodotti, trovando nel ruiempire i frigoriferi degli altri paesi il suo attualissimo incosciente Reich.

 

3. Macerie socialiste e politica a venire

Senza che nessuno se ne accorga, sepolta dalla retorica ufficiale e dalle inesauribili macerie del Muro, esistono esigenze di giustizia sociale che avevano trovato espressione degli aspetti esemplari della DDR, ai quali tutti i paesi civili potrebbero ispirarsi per riforme istituzionali effettive. Non si tratta di vaghe aspirazioni, ma di precise disposizioni che, per quanto nella vecchia compagine statale si potevano risolvere in pura burocrazia, possono quantomeno fornire stimoli.

Al riguardo, l’art. 48 della Costituzione dello scomparso stato socialista riconosceva quale organo supremo la Volkskammer (Camera del Popolo), che incarnava il principio della sovranità popolare eleggendo cinquecento membri ogni cinque anni; questi non erano politici di professione, godevano di un altro lavoro retribuito, e per le presenze in aula ricevevano semplici rimborsi spese, e una tessera ferroviaria.

Tra 1981 e 1986, e quindi a due passi dalla caduta del Muro, la composizione parlamentare dell’Est comprendeva: 47% operai, 32,4% donne, 23% intellighenzia, 17,8% impiegati, 10,4% agricoltori. I gruppi parlamentari erano strutturati in base al partito o all’organizzazione d’appartenenza, ogni schieramento aveva il diritto di presentare interrogazioni, mozioni e dichiarazioni, e di proporre progetti di legge.

Se nella DDR il diritto era di fatto esercitato dal Consiglio dei ministri e dal Consiglio di stato, teoricamente era anche appannaggio del Consiglio dei capigruppo, dei leader sindacali e di qualsiasi raggruppamento di almeno quindici membri. A questa teoria è ancora possibile fare appello nel tentativo di uscire da prassi di pura barbarie ovunque diffuse.

Interrogarsi su forme amministrative differenti potrebbe permettere di ritrovare un senso per la parola politica, senza risolvere il suo significato nell’essere consumatori appena appena un po’ accorti, oppure nella semplice e stucchevole rivendicazione della propria impotenza. La situazione attuale esige risposte: non più interrogatori, ma nemmeno soltanto interrogativi. Qualche risposta è già stata data da tempo.

 

4. L’Islam e la Germania

Berlino è piena di turchi, e questo si sa: e non si tratta soltanto di kebab. Ai bordi del parco dell’ex aeroporto di Tempelhof, a Columbiadamm 128, c’è la moschea Şehitlik, realizzata a partire dal 1999. Se la costruzione prende a modello l’architettura ottomana del XVI e XVII sec., già nella Prussia illuminista la presenza di persone di diverse religioni era apertamente tollerata dagli Hohenzollern.

L’elegante edificio a due piani si affaccia sul più antico cimitero islamico della Germania; tra i caduti della prima guerra mondiale, la stessa che vide la fine degli imperi prussiano e ottomano, persone di ogni etnia e confessione. C’è poi un centro culturale e un luogo di incontro simile ad un oratorio di quelli del bel tempo andato; oltre a frequentare le attività della mosche , si può giocare a backgammon, e anche acquistare cinque chili di datteri a 20 €: un affarone, se piacciono i frullati.

Questi sono segni di un tessuto sociale pluralista, pronto ad accogliere le diversità culturali: tuttavia, per formulare una politica di accoglienza sono necessarie decisioni politiche capaci di permettere davvero un futuro. Alcune diverse opinioni possono aiutare a farsi un’idea dell’apertura tedesca all’ondata di profughi, che comprende più di un milione di persone, provenienti perlopiù dalle guerre che in Medio Oriente devastano i territori un tempo ottomani.

Gwynn Dyer ricorda come la Germania distrutta dalla seconda guerra mondiale accolse rifugiati di ogni nazionalità, permettendo così il costituirsi di una diffusa tolleranza. Ben Knight (Exberlin n. 142, ottobre 2015) analizza i limiti della Wilkommenscolture, tra cui il dissesto del sistema di accoglienza tedesco, i costi effettivi della politica di integrazione, e la strana utopia di uno sfruttamento generalizzato. Per Marlen Obrack proprio lo stabilire confronti tra siriani e tedeschi dell’Est suggerisce rivela dietro l’apparente capacità di assimilazione uno spiccato razzismo interno, la tendenza a cercare proletariato di riserva, e un’altra volta i limiti dell’unificazione.

Eppure, nonostante i problemi che possono erodere i centri stessi di potere, l’asilo offre ai rifugiati siriani è apparso come una prova di realismo e solidarietà a Yanis Varoufakis, non sempre entusiasta della condotta della Germania e dei suoi ministri. La moschea Şehitlik, da parte sua, fornisce assistenza ai profughi musulmani offrendo cibo, vestiario, lezioni di tedesco.

 

5. La tecnosfera, i libri e la prigione

Una biblioteca di testi scritti in prigione, ordinata per durata di detenzione. L’installazione Celltexts, che ha trovato un luogo elettivo nella manifestazione 100 Jahre Gegenwart della Hause der Kulturen der Welt, è stata ideata nel 2008 da Eyal Weizman (direttore del Centro di ricerche architettoniche di Goldsmith, London University, e cofondatore del DAAR-Decolonizing Architecture Art Residency in Beit Sahour, Palestina) e Ines Weizman (professore di teoria dell’architettura alla Bauhaus-Università di Weimar), accomunando opere di autori imprigionati per motivi legati a scrittura, politica o altre ragioni. La collezione è in costante crescita.

La prigione può così considerarsi, come dice Jules Régis Debray, una «seconda università dei dissidenti». Lo scrittore francese, compagno di Che Guevara nel tentativo di rivoluzione in Bolivia e per alcuni addirittura implicato nel suo arresto, ha comunque lasciato parole utili per comprendere che un «intellettuale impegnato» diventa a sua volta carceriere quando si riduce ad «un irresponsabile che impartisce lezioni, avendo come metodo di svuotare il mondo della sua complessità per non vederci altro che materia per indignazione, scandalo e pose vantaggiose».

Altre sembrano essere spinte le creative e le motivazioni intime riscontrabili nell’esperienza di autori quali Martin Luther King, il Marchese de Sade, Ezra Pound, Mikhail Bakunin, Girolamo Savonarola, Olivier Messiaen, Fedor Dostoevsky, Bertrand Russell, Rosa Luxemburg, Jean-Paul Sartre, il cui lavoro permette di osservare come l’isolamento spaziale e sociale possa  assumere forme letterarie, per esigenze sovversive o anche per semplice bisogno di sopravvivenza. Nella fila dei loro libri, la scrittura sembra non poter sfuggire a quel potere costitutivamente sovvertitore che, per Derrida, può rendere presente un’assenza.

Il tema dell’installazione trova agganci in alcuni passaggi dei Dialoge auf Parallelen Canalen, che nel primo appuntamento della manifestazione hanno intrecciato discorsi e percorsi cruciali per comprendere la tecnosfera, cioè la dimensione che attraverso tecnologia e informazione completa, ibrida e compete con la natura e la biosfera. Nei Reden aus dem Gefängnis Avery F. Gordon (professoressa di Sociologia all’University of California in Santa Barbara) e Natascha Sadr Hanghinghian (artista di installazioni e performer) hanno così segnalato come l’aspetto politico della prigionia e la gestione sociale compiuta dal potere poliziesco comportino strutturalmente una dimensione di «non presente».

Nei Reden aus dem Labor, Mark B. N. Hansen (professore di Letteratura e Studi visuali alla Duke University, North Carolina) e Hans-Jörg Rheinberger (biologo molecolare e direttore dell’Istituto Max Planck per la Storia della Scienza, Berlino) hanno analizzato la distruzione operata dalla contemporaneità nei confronti del monopolio del libro e degli ordinamenti per cui la sua rappresentazione del reale si è lungamente imposta. Successioni temporali imperniate su rigide concatenazioni di causa ed effetto hanno ceduto il passo a linee temporali composite, che rendono impossibile ogni previsione.

Questa problematica può essere vista guardando con un occhio al tempo dei migranti e con l’altro a Kant, come nei Reden aus dem Labor di Jimena Canalis (professoressa di Storia della Scienza alla Illinois University) e S. Løchlann Jain (professoressa associata all’Istituto di Antropologia della Stanford University). Nonostante l’esperienza si modifichi, tempo e spazio rimangono le condizioni per cui questa può verificarsi ed esistono aspetti culturali che cadono in dimensioni che ci trascendono e definiscono. L’ambito delle relazioni è ridefinito dalla tecnologia, e se molte cose non succedono davvero e proliferano non-incontri che impoveriscono, esiste un ambito rituale del prendersi cura e condividere, prendere, dare e attendere che trova le sue risposte nel tempo e nel suo passare.

Lo scrittore di fantascienza William Gibson ha detto da tempo: «Il futuro è già qui, già distribuito in modo ineguale». Quanto accade oggi può essere visto da tutti, e se l’accelerazione tecnologica è misurabile, quella sociale no, e il divario si estende. Helga Nowotny (presidente dell’ERC – Consiglio di Ricerca Europeo) ha così fornito le chiavi di lettura del suo libro Eigenzeit Revisited (1984 – non recente, comunque più che “attuale”) segnalando che nel capitalismo digitale, dove velocità e disponibilità delle informazioni si accompagna alla scomparsa delle biodiversità, il tempo è provvisto di supporti che lo estendono, la soggettività può incrementare e differenziare forme e modi di presenza.

Eppure, come dimostra la ricorrente miseria che segna i social network e altri contesti non soltanto virtuali, il tempo può contrarsi e l’esistenza impoverirsi. In una realtà che conosce frammentazione e isolamento, è necessario ritrovare un tempo nel quale poter riflettere e amare. Assente a se stesso, il presente esige di essere restaurato.

Come pioggia che bagna il suolo, il presente si dissolve in rivoli innumerevoli, dagli esiti imprevedibili. Anche il passato e futuro vengono continuamente riscritti, non è più soltanto immediatamente e direttamente presente nella sua visibilità nemmeno l’esperienza dell’arte: infatti, le forme in cui perlopiù oggi l’arte è fruibile, e cioè fotografie, video, installazioni, performance, testi, e i formati sempre più smaterializzati con cui si rende disponibile allo scambio, vi si riferiscono attraverso documenti. L’arte, in maniera difforme da altre epoche e altri statuti, è spesso in qualche modo documentata, o addirittura è documento essa stessa: per Boris Groys (Going Public, 2010) questo fa comprendere come essere “contemporanei” (Zeitgenössich) significhi, oltre ad essere-presenti, anche «collaborare con il tempo».

E in questo tempo intrecciato al nostro operare, in questa tecnosfera di flussi di informazioni che strutturano l’esperienza e la stessa natura, ritorna il libro, esempio eccellente della capacità di documentare l’esperienza e fornirgli un supporto di intelligibilità. Da sempre libero in qualsiasi prigione, il libro sembra oggi liberato anche dal proprio stesso monopolio, e sciolto dalla rappresentazione obbligata della semplice linearità degli eventi, può reinventare i percorsi quanto è possibile all’immaginazione di chi ne solca le pagine. Quale espressione della capacità di riconnettere e riconfigurare il reale, può essere in grado di permettere di restaurare il presente anche nell’assenza. Ma ad ogni modo, non è la pigrizia del farsi raccontare libri non letti o la fissazione dello storytelling a tutti i costi a permettere di leggere la realtà.

 

6. Vandalismo culturale e spionaggio diffuso

Gruppi di ispirazione comunista e marxista-leninista mettono l’accento su come la rimozione dell’esperienza dell’Est tedesco si accompagni ad una degenerazione culturale inarrestabile e senza scampo. In Kulturnation Deutschland? (2012) Peter Michel definisce come vandalismo lo smantellamento integrale di cui la Germania tutta è stata oggetto, dove la parola cultura si è ridotta ad accampare feticci funzionali alla glorificazione del presente. Offre testimonianza di tale processo il Palazzo della Stasi, la potente polizia segreta dell’Est, trasformato nel museo di se stesso.

Il luogo, parte di un complesso più ampio, ha conservato accuratamente uffici e arredamenti, cucine e bagni, con un accanimento documentale degno dello spionaggio più professionale. Quanto però sembra particolarmente paradossale è che alcuni metodi operativi della Stasi, quali fotografare e sorvegliare in modi ossessivi, sono ora diventati la compulsione più diffusa proprio nelle società che sulla sconfitta del comunismo hanno costituito la propria legittimità, affidando alla scintillante velocità del digitale un triste trionfo, apparentemente inarrestabile.

Viviamo in una società a spionaggio diffuso, dove ognuno è sollecitato a documentare evidenze, inezie e inutilità, fornendo i dati più irrilevanti a non si sa chi: una società che si avvale di una comunicazione provvista di metodi quali la criptazione dei messaggi, un tempo esclusivo appannaggio delle spie. Norme e disposizioni sulla privacy arrivano fino ad un certo punto, sembra non esserci nessun palazzo della sorveglianza da occupare: rimane, e non soltanto in Germania, una Wende sempre disconosciuta, una svolta perennemente da completare.

Canzoni di ieri possono essere ascoltate oggi in modo diverso. Sag mir wo du stehst (Dimmi dove ti trovi), degli Oktoberklub, collettivo folk-beat filo-governativo dell’Est, potrebbe configurarsi come strana profezia e aspirare persino alle hit globali; dal canto suo, Die Stasi-Ballade del cantautore Wolf Biermann, attualmente filoliberista e già oppositore della DDR, potrebbe addirittura condurre anche chi non è mai stato comunista a qualche inaspettata nostalgia. Questo non significa affatto mitizzare la Stasi o minimizzarne gli abusi, ma semplicemente storicizzarne l’esperienza con la dovuta pertinenza.

Will Opitz, direttore della scuola giuridica della Stasi, sottolinea l’integrità delle persone coinvolte nell’istituzione, dotate di coscienza di classe e volontà di cambiamento. Rainer Rupp, nome in codice Topas, infiltrato nella CIA, nel 1983 permette di scoprire che l’attacco russo è soltanto una simulazione, evitando così la guerra atomica: il suo è anche il semplice eroismo di quelli che diffidano delle versioni più banali dei cosiddetti fatti. Genhar Niebling, della polizia carceraria, afferma che ad essersi compiuta con il crollo del Muro è una controrivoluzione, che ha spianato la strada al capitalismo globale. E di fronte alla ormai inservibile tecnologia delle super-spie di una volta, potremmo sorprenderci a chiederci se davvero l’unica prospettiva ormai possibile sia quella di diventare tutti selfie-made man e impeccabili delatori di se stessi.

 

7. Berlino dentro e fuori

A Berlino come altrove, i fantasmi per le strade sono una folla. Dappertutto puoi incontrare quel senso di impotenza provocato da disoccupazione, divario economico e mancanza di fiducia sociale, capace di distruggere ogni possibile rilancio. Il lavoro continua a non essere affatto un diritto ma privilegio e strumento di clientele, essere poveri è ormai un lusso diffuso che non tutti possono più permettersi. La casa è diventata oggetto di speculazioni finanziarie dalle percentuali prive di ogni misura plausibile, oppure obiettivo di movimenti d’opinione interessati a ricollegare urbanistica e convivenza. La parola chiave è intraducibile ma adattabile, e indica un processo che si estende coinvolgendo scelte e contesti: gentrification.

A Prenzaluer Berg un quartiere operaio che doveva essere demolito diventa chic, costellandosi di assurdità di tendenza che cavalcano l’onda  Milf con negozi quali Sexy mama, oppure assecondano gli identitarismi istituendo giardini per soli bambini giapponesi. Wedding è un mosaico dove zone fighette confinano con aree fatiscenti, e spazi destinati agli alcolisti si accompagnano a mercatini di cose inservibili. Mitte ti coinvolge con schegge del passato e lampi del futuro, proiettando scenari di fantascienza con sceneggiature ancora tutte da scrivere. Nella Kreuzberg dove la coscienza sociale sulla casa è più attenta e si riscopre la dimensione del buon vicinato, circa 11.500 persone devono abbandonare le dimore causa il ritrovamento di una bomba inesplosa. E da Niedergörsdorf arriva un agente di sicurezza timido e riservato che non ha mai avuto una ragazza: con un pupazzetto di peluche attira i bambini nei parchi dicendo di «voler fare del bene», quindi ne abusa e li uccide.

Nella Berlino dalle proporzioni eccessive il centro appare ovunque ed è in nessun luogo: è questa una delle caratteristiche che la rendono tanto simile al nostro mondo, un po’ come quelle bolle di sapone giganti e di ogni forma tranne che circolari che rendeva la Kaiser-Wilhelm-Gedächtnis-Kirche diversa dai ruderi, dalle ricostruzioni e da com’era. Così, qui puoi sempre trovare nicchie su misura e spazi dove star bene, e soprattutto gli interni sanno continuamente accendersi di creatività e gentilezza, come ho sentito in maniera particolare vicino all’antica linea del fuoco di Bernauer Straß, dove però con un anziano tassista che già credeva di averle viste tutte abbiamo trovato la strada di accesso tuttora bloccata. Ad ogni modo, negli interni avverti il senso di essersi liberati da un qualche assedio: fosse quello di un passato su cui inciampare di continuo, oppure quello di un presente fantasmatico senza scampo. Forse, è necessario concentrarsi sulle stanze e ignorare le strade dove, tra palazzi più alti e luccicanti delle nubi, si aggirano spettri che ignorano persino cosa chiedere e ai quali non sappiamo nemmeno quale nome dare. Ma senza strade si può arrivare in qualche dove?

Fotografia: Claudio Comandini, “Fantasma di un futuro passato” – Berlino, ottobre 2015.

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