Istanbul: diario di bordo

Alla scoperta della Nova Roma: mare, tramonti, palazzi, gatti, arte, archeologia, imperatori e matti. E musica.

 

1. Il mare e la città

Istanbul è costruita sul mare, ma lo ha dimenticato, incurante dei vari Dardanelli, Bosforo, Marmara, e tutti gli altri nomi insegnati dalla geografia. Una via di comunicazione metropolitana che sembra esistere solo per essere oltraggiata dai ponti, acqua inerte che non si fa toccare e dove nessuno fa il bagno, almeno qui e ora, nella città. Eppure penetra ovunque, e lo senti respirare, dove già approdarono gli ebrei sefarditi fuggiti dalla Spagna, tra le moschee barocche e i ristoranti eleganti di Ortakoy. E a Scutari, dall’altra parte del ponte, dove i turchi si insediarono già in epoca bizantina, abbracciato a quell’altro continente tra l’odore del pesce fritto e il megafono che chiama dalle barche.

Questo mare celebra l’incontro fra le terre: tra gli specchi distanti d’Oriente e d’Occidente. Un tempo ricordavano i pescatori che partivano la notte: il mare può darti vita, e può darti morte. Questo senti oggi, passeggiando sulle banchine poco sotto Topkapı: ciò che dal mare riceve vita, spesso al mare poi la toglie. Alla punta del Serraglio, i pescatori si dispongono in fila, pochi prendono qualcosa, un grosso relitto è a poca distanza dalle lenze. Il mare, vasto e ostile, amato e temuto. Anticamente destinato ad accogliere le anime dei morti e a purificare la terra, oggi beffardamente inquinato e ucciso dall’uomo moderno. Traditore tradito, si vendica con indifferenza della sua vecchia amica, e dei di lei figli, abbandonati a queste sponde.

 

2. Tramonto a Occidente

Guardo all’Europa come ad una vecchia cartolina che sfuma nel tramonto: di fatto, sono in Asia, nella parte asiatica di Istanbul, non lontano da Kadıköy, l’antica Calcedonia, città che fu denominata dall’oracolo di Delphi «terra dei ciechi». L’appellativo deriva dall’aver ignorato i potenziali del porto naturale del Bosforo che aveva proprio davanti a sé, sviluppati soltanto dai Romani. Successivamente, in epoca cristiana, a Calcedonia si svolse un concilio per stabilire l’unità delle nature umane e divina di Cristo, in opposizione a quanto invece sostenevano i monofisiti. Prende il suo nome di Calcedonio anche il quarzo quando si presenta in croste. Ora sono qui. Vedo sui sette colli della Nuova Roma, oltre a grattacieli e insegne, moschee e minareti, che in molti rifiuterebbero di considerare Europa anche se io glieli indicassi con un dito e dicessi: “guarda”. Dove l’Europa ha dimenticato la Costantinopoli romana e la Bisanzio greca e ortodossa, Istanbul, metropoli antica e modernità dell’Islam, sa restituire a chi vuole vedere il volto nascosto del vecchio continente. Da questa città, gli imperi bizantino e ottomano hanno conquistato il mondo mediterraneo ed eurasiatico, dai Balcani alla Mesopotamia, nel rispetto delle peculiarità culturali; su queste stesse rotte, oggi mantiene guerra un impero che non riconosce neppure se stesso, annullandosi da solo. Dell’Europa resta una cartolina estenuata, pensiamo che l’Oriente chissà dove sia, nessuno vede il porto che abbiamo proprio di fronte a noi.

 

3. Cambiamenti

Secondo un detto ricordato da Le Courbusier, Istanbul cambia ogni quaranta anni: se chiedi in giro, ci pensano un attimo, e tutti dicono che è vero. Lui aveva da poco assistito alla caduta dell’impero ottomano, mentre Ataturk inaugurava il tentativo di riportare la Turchia nelle lingue, nelle leggi e nella storia d’Occidente. Oggi, in questa Turchia ansiosa d’Europa ma già un po’ delusa, ho riscontrato un tipo di cambiamento che ti sorprende, letteralmente, ad ogni passo, a cui forse Le Courbusier non aveva pensato.

Decisa una direzione, percorri una strada, prosegui seguendo le indicazioni, giri quando devi girare: eppure, la città gira sotto di te, ti prende letteralmente in giro, e così ti ritrovi esattamente nella direzione inversa, all’incrocio con la strada donde sei partito. Il reticolo di Istanbul sembrerebbe così perfettamente irregolare, non uno spazio euclideo e più somigliante a qualche geometria concava o convessa, ma ancora non è chiaro cosa sia. Il fenomeno è stato riscontrato in diverse zone e da diverse persone.

 

4. Segreti indecifrabili

I gatti sono gli unici ad Istanbul che si fanno per davvero gli affari loro e non vogliono concludere traffici di nessun genere. I loro segreti sono indecifrabili come la nudità impossibile delle donne coperte di abiti ultraortodossi. Tutti gli altri, invece, vogliono venderti qualcosa.

 

5. Sulle rotte degli imperi

Nella città di oggi ovunque ti sorride Ataturk, ma il desiderio d’Europa è già prossimo al disincanto; in modo asimmetrico, la brama di ricchezza occidentale percorre le rotte ottomane pur non avendone le stesse capacità. Intanto, un po’ come nella vecchia Roma, ma senza indolenza, i conti sono in rosso e la vera economia è sommersa: le persone sembrano industriose e se non c’è lavoro lo si inventa: pesi le persone, fai lo scrivano, lo sciuscià o al limite vendi le tue deformità per strada.

In questa città, un imperatore risiede proprio di fronte al mare che guarda la terra dei ciechi, sotto le mura di Teodosio, dietro alla chiesa-moschea-museo di Aghia Sofia. Sul limite estremo d’Europa, tra colonne e arcate romane, vive in una cisterna senza acqua e poca aria, in una cattedrale di rifiuti ed escrementi. Armato di pistola per uccidere, è cacciatore di uomini. Nel poco che sa fare, esprime un potere assoluto. Ogni uomo può imperare a questo modo.

È venerdì, molte persone hanno un tappeto sulle spalle, per pregare davanti alle moschee. Senza nessuno a pregarlo, un angelo ad Aghia Sofia riprende le proprie fattezze liberandosi di uno strato di calce di cinque secoli. Le linee ricompongono fratture che le eccedono, le confluenze non cancellano i contrasti. Dopo questa calda estate di crisi di governo, ci saranno le elezioni per il parlamento di Ankara. Molte persone sono convinte vincerà un partito di uomini onesti: addirittura, di puri. O forse, arriverà il momento di qualche nuovo imperatore.

 

6. Istanbul Tanz

Qui più stai perso e più ti perdi, letteralmente, e davvero rischi che non ti ritrovano più, come cantava Ferretti dei CCCP in Punk Islam, canzone che amo oggi più che mai…

Cerco la strada per l’ostello, la colonna di Costantino, non dovrebbe essere difficile. Si avvicina un tipo, chiaramente vuole vendere qualcosa, tappeti, io cercavo sandali, mi porta al suo negozio, il suo socio minaccia di uccidermi con un’ascia curda se non compro qualcosa, poi mi fa conoscere il vicino di negozio per i sandali, non li aveva, siamo andati al negozio della madre, che li produce, fra migliaia di buoni per me ne aveva solo un paio, e ad un prezzo eccessivo, quarantamilioni di lire turche, e anche senza fare a stare il cambio già la metà è troppo, chissà quanti kebab mi ci fo’.

Per la strada, mentre torno di fronte al primo negozio, mi mettono in mezzo a trasportare fusti di birra. Ora sono in questo pub con questi turchi amici miei e bevo gratis, già è la quarta media. Me la levano che ancora non è finita perché potrebbe essere calda, stanno provando i fusti. La birra scorre, salute, cincin, come si dice in turco? Me lo hanno appena detto e già l’ho scordato, meno male che avevo smesso di bere e sto in un paese musulmano. Venerdì sera qui c’è una festa, ci vengo, come  no, Mustafà, avoja. Simpatici i turchi.

Proseguo a piede libero, trovo una libreria. Uno scrittore e un pittore mi accolgono nel tempio di Allah come fossi un Gesù ubriaco. Parliamo di politica internazionale e conflitti di religione, terrorismo e globalizzazione. Non una parola contro gli Ebrei. Esco con la sensazione che da  qualche parte è stato fatto un passo avanti per la pace, ma l’ostello è irraggiungibile e la sbornia è ancora da smaltire. Vicino c’è un negozio di strumenti musicali. Suono il saz, un anziano maestro accenna consenso e mi spiega come funzionano le sue tre corde, provo la zurna, mi piace anche se l’ancia richiede pratica, prendo anche questi flautini facili. Mi ritrovo in un ristorante a far ballare turisti con un orchestrina.

Prendo un appuntamento per conoscere meglio questa musica turca che ti ritrovi a pelle, poi sull’esempio di Pitagora vado al Gran Bazar solo per vedere, e contratto tutto e non compro nulla, che mi fa allegria. Mi mangio una specie di pizzetta con cipolle ottima che non costa veramente un cazzo, cammino e non so dove sono, felice, come se fosse normale.

Incontro uno dei nove compari di stanza, il sudafricano bianco che dice di fare il giro del mondo e sta sempre buttato sul letto, gli chiede dove cazzo siamo, con un dito mi indica la colonna di Costantino, Çimberlitas. La strada dell’ostello è tutta dissestata, stanno rifacendo il manto stradale, c’è un’escavatrice che ti trapana letteralmente i timpani, l’altra notte era proprio sotto il mio orecchio, mica scherzo. Mentre mi ricavo un sentiero in quella trincea, trovo un frammento romano.

 

7. Arte Popolo Potere

Il Museo delle Belle Arti si trova vicino ai palazzi del potere di Dolmabahçe, “giardino colmato”. Nel luogo si concentrò l’attacco finale a Bisanzio di Maometto II, ci fu l’ultima residenza dei sultani dopo l’abbandono di Topkapı, venne a morirci Ataturk. Costruito dall’architetto armeno Balyane con uno stile tra sensualità barocca e influenze indiane, è definito da Lamertine «palazzo anfibio». Mi ci è voluta una scarpinata niente male per trovarlo, perché è a notevole dislivello dalla zona di Taqsim, sulla mappa però le strade sembrano soltanto separate. Inutile chiedere, la gente non sa mai niente, qui come altrove. Infatti, il tipo del bar qui davanti mi stava rimandando indietro, perché non sa che qui c’è ‘sta roba.

Capisco la sua estraneità guardando Nella corte di una moschea di Husein Rifat (circa 1916): impressionismo puro, sembra di stare a Parigi. La vicinanza alla pittura del vecchio mondo è superiore a quella propria ad altre forme di espressione. La collezione merita attenzioni, e non essendo assediata dalle file, riesco a vedere, come suggeriva Oscar Wilde, tanto le opere quanto la gente. Il mio tentativo di fotografare le opere da prospettive che mi portano a stare disteso per terra attira l’innocua curiosità dei soldati a guardia del museo.

C’è una contemporaneità di quanto sembra più antico, laddove i caratteri delle culture etniche anatoliche e le tendenze aniconiche dell’Islam sono recuperate con l’astrattismo. In Composition (1961) di Sabri Berkel (1907-1993) i colori strutturano le forme. La scultura in metallo Bes Eleman (Cinque elementi, 1972) di Adnan Çoker (1927) sembra citare un Corano muto. Forse l’opera più significativa la mette a segno Deurim Erbil (1937) con Bir Anadulu kasabasinda yasanti Ustune cetitlemeler I kirmizi (Variazioni di vita in Anatolia città I. Rossa, 1937) in un moltiplicarsi di rossi e angoli spezzati. La scultura plastica Efeis love di Huseyin Gezer (1920) illustra la geometria della relazione: l’uomo adora la donna che si inchina a lui. Un riconoscimento reciproco di poteri. Anche l’arte esiste nei propri contesti e codici di riconoscimento.

 

8. Potere della musica 

La musica sembra qui una condizione vissuta, si suona e si ascolta di continuo e in ogni luogo: appartiene alla vita quotidiana in maniera diretta e la solennizza nell’immediato. Nella hall dell’ostello c’è un lettore disponibile e sto facendo girare due CD piuttosto indicativi del fare musica oggi in Turchia. Mercan Dede, Nar (2002): un melograno si apre, un flauto ney viaggia su una base techno, è un sufi danza in una discoteca nel deserto. Zen, Tanbul (1997): l’immagine mobile della città, saz distorti e voci effettate, è un viaggio nella notte dove cantano ubriachi e muezzin.

In ambedue i casi, le scale usate appartengono alla musica mediorientale, con intervalli prevalenti di terza minore, quarta aumentata, sesta minore, nona minore; i ritmi sono policomposti, con accenti irregolari. Questa zona è musicalmente fortunata, la sua tradizione, da sempre aperta a contaminazioni, è ancora molto influente: come fosse una specie di divina proporzione, geografica e sonora.

Tuttavia, qualcuno mi dice di levare queste lagne incomprensibili: gli Zen effettivamente sono particolari, e colpiscono assai, mentre Mercan Dede, per quanto piacione, passa più inosservato. Mi sembra quindi il caso di alzare il volume e invitare all’ascolto i presenti, turchi e turisti, visibilmente interdetti. Le cose stanno grossomodo così: se la musica esprime la struttura spaziale del tempo e coglie il momento nel continuo, il proporre musiche improbabili costituisce un sistema infallibile per selezionare gli amici.

 

9. Piccolo trattato di archeologia seria

Indiana Jones ormai mi fa una pippa. Sono io l’avventura. Prima mi sono intrufolato in un padiglione interdetto alle visite pieno di cose incredibili e ho fotografo tutto quello che mi andava: ora, proseguendo nella mia furia creativa, ad un certo punto ti sorprendo uno dei custodi semisdraiato in una nicchietta, con contorno di statuine, che fa le parole crociate turche. E io, alle sue spalle, lo stendo con un flash.

All’inizio, vorrebbe incazzarsi, così come la sua professione esige, eppure non capisce bene cosa sia successo. Glielo spiego: attraverso la mia fotografia ho voluto far diventare lui, proprio lui, in persona, un’opera d’arte. La cosa lo riempie d’orgoglio, mi stringe la mano, sorride, e quando mi chiede di dove sono e rispondo «Italia, Roma», è fatta: non soltanto mi fornisce lo speciale permesso di fotografare tutto, ma mi indica anche le cose più preziose, offrendomi stimoli, storie e questioni.

Un mosaico di Orfeo agli Inferi realizzato a Gerusalemme nel V-VI sec. d.C. evidenzia che la storia e le idee hanno molti più intrecci di quanto i compilatori di manuali sospettino. C’è poi un frammento del Sarcofago di Costantino, realizzato in porfido, nel 337 deposto accanto alle stele dei Dodici Apostoli, nell’omonima chiesa, ora perduta. L’imperatore che in ampia misura inventò il cristianesimo e anche questa città, ponendo la capitale dell’impero cristiano dove prima c’era soltanto un prestigioso ippodromo, nato a Sofia quando si chiamava Serdica, si convertì al cristianesimo ariano poco prima di morire eppure da tempo si era proclamato quale “tredicesimo apostolo”. Assumendo un ruolo politico, prende il posto lasciato libero da Giuda.

Il Buon Pastore è più piccoletto di quanto immaginassi, ed è proprio di Istanbul, IV sec., testimoniando l’originaria diffusione del cristianesimo in queste terre. Invece, la presenza della nobile famiglia degli Anici, dinastia che collega la Roma antica a quella papale, è documentata dall’attività dalla principessa Anicia Giuliana, che nel 524-7 fa costruire la basilica di San Polyeiktos, la prima della Nova Roma. La principessa è sposa di Ariobindo, nel 512 imperatore di Costantinopoli per un giorno. Suo padre Anicio Olibrio era stato condotto in esilio a Costantinopoli dal saccheggio vandalo di Roma; successivamente, manipolato da Genserico assume una contrasta carica imperiale, ma muore tentando l’assedio sotto le mure della vecchia Roma.

Da Pergamo, 20 d. C, arriva il Genio Alato: appena lo vedo, mi eccito. Il frammento non ha testa ma ha le ali: è il potere personale, la forza che ci anima. Questa specie di asterisco, bene in evidenza su un sarcofago bizantino del III secolo, è il Cristogramma, una specie di generatore di simboli, conosciuto anche dagli Etruschi. Mi fermo di fronte alla lapide, rinvenuta a Salonicco, della tomba di Proclo, ampiamente apprezzato anche dal buon Hegel e dal furbissimo Psello: troppo forte Proclo, uno degli ultimi grandi pagani, che ha fornito la fondazione teoretica della teurgia e quella metafisica del politeismo, autore di inni splendidi dedicati a dèi ancora in ascolto nel profondo della nostra psiche.

Un personaggio davvero singolare è rappresentato in affresco del XIII-XIV sec.: un viso barbuto che guarda obliquo, la mano sulla spada piantata in terra. Sarebbe un tale San Mercurio, probabilmente la divinità “riadattata” (anche se qui però si parlava greco, e non latino), rinvenuto in una chiesa-moschea (!). Ma tu pensa tu! E allora, San Mercurio, proteggici tu, che a chi affidarci non lo sappiamo più!

 

10. Eurasia – Amerika No good

(In questo caldo agosto di guerra incipiente, tutti quelli che incontro sulle rotte dell’Eurasia mi dicono, con la faccia un po’ incazzata: “Iraq good. America no good”. Ma le persone non fanno i popoli, e i popoli non fanno i governi.)

Istanbul, agosto 2002 – prima pubblicazione su «Controluce» a.14 n.8 agosto 2005. Riveduto e ampliato.

Le tracce musicali “Eurasia”e “America no good” risalgono all’autunno 2002 e sono pubblicate sul disco “Parachuting Nonsense!” (Setola di Maiale, 2009); la prima traccia ha una prima parte qui omessa, la seconda  figura come ghost track.

Fotografia:  Claudio Comandini, “Carogelati” – Istanbul, agosto 2002.

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