Strade di Fener

Un mondo nella città. Arrivare a Fener: logistica, ambiente, incontri. Partire da Fener: percorsi, approfondimenti, espansioni. Ritornare a Fener: sviluppi, innovazioni, permanenze. Il faro nascosto.

 

1. Arrivare

Passato l’acquedotto romano e il bazar egiziano, prendo un autobus: il passo d’uomo non è esattamente la misura di Istanbul. Arrivo nel groviglio di Fener, il quartiere greco, Draman, quello armeno, e Balat, ebraico. Spariti i vecchi abitanti, è oggi una zona popolare, ma ancora vi ha sede il Patriarcato ortodosso. Cammino ovunque e torno su ogni passo. Salgo strade ripidissime per ritrovarmi da dove sono sceso, tra pietre antiche popolate di bambini che giocano. Mai visti così tanti, nemmeno per le vie del mio paese, quand’ero come loro. I nostri bambini ora sono pochi, nessuno gioca più nelle strade. Tutti i bambini a cui non sappiamo dare vita vengono qui a nascere: sono più poveri, ma stanno meglio.

Un piccolo mondo, denso di una quiete profonda e senza tempo. Da sotto un portone malmesso, frattaglie di pollo sono offerte a cuccioli di gatto. Fuori dagli usci divani per sdraiarsi. Anziani sui pianerottoli scalzi. Un handicappato mi si avvicina, la madre lo richiama a sé. I bambini si presentano e mi danno la mano, guidati dal più grande, armato di fucile di legno. Cornamuse e percussioni risuonano dietro un muro. Ad un’osteria prendo un panino col formaggio e mi offrono un grappolo d’uva. «Ho camminato tanto»: nessuno parla inglese e in turco neanche questo so dire, lo dico comunque e mi capiscono lo stesso. Arguisco da un cartello che c’è una casa in affitto.

La Moschea della Rosa, Gül Camii, era la chiesa bizantina di Santa Teodosia, dove imperatore e patriarca celebrarono le ultime preghiere. Per alcuni, nasconde il corpo di Costantino XI Paleologo, scomparso durante la conquista ottomana. È detto che tornerà. Non sarà il solo. Chissà chi riconoscerà tutti quelli che un giorno torneranno: magari è già successo, quel giorno è già passato, e forse loro stessi avevano dimenticato chi fossero.

 

2. Partire

Alcuni percorsi portano lontano, lasciando tracce in storie che gli uomini spesso non ricordano. Per ritrovarle, bisogna andare, lasciare quanto è prossimo e trovare altri padri e altre madri, per poi generarne ancora. E poi ritrovarsi, sempre tra queste mura e queste strade, con visi che da qualche parte abbiamo già visto. Nel 944, presso quello che all’epoca è chiamato Phanar, nel Santuario della Gaudiosa Madre di Dio (la Theotokos Pammakaristos, oggi la moschea Fethiye Camii), l’imperatore Romano I Lecapeno espone il Mandylion, preziosa icona del Volto di Cristo proveniente dalla città mesopotamica di Edessa (oggi Şanliurfa, Turchia). Un primo riferimento alla storia di questa immagine acheropita, cioè non fatta da mano umana, risale al IV sec., ed è opera di Eusebio di Cesarea; gli intrecci sono arricchiti nel V sec. dalla Dottrina di Addai, e nel VI sec. Evagrio Scolastico ne arricchisce la narrazione. Il miracolo dell’origine del Mandylion si completa con quello del suo ritrovamento. Abgar, re di Edessa, chiede a Gesù di essere guarito dalla lebbra, ricevendone un’immagine impressionata dal contatto con lo stesso viso del Messia: la medesima immagine permette nel 544 alla città di scampare da un assedio sasanide guidato dal re Cosroe I Anushirvan. Le guerre continuano: il sacco crociato del 1204 sorprende il Mandylion nel palazzo imperiale di Bocca di Leone; in seguito, Luigi IX re di Francia lo acquista da Baldovino, imperatore latino di Costantinopoli, e dopo il 1241 il telo è custodito con altre reliquie nella Sainte Chapelle del palazzo reale di Parigi; viene quindi distrutto durante la Rivoluzione francese. Il Codice Ottoboniano Latino 169 e le testimonianze del crociato Robert de Clari permettono di precisare e di distinguere nell’immenso catalogo di cimeli in circolazione a Bisanzio, che dopo la conquista ottomana della città si diffondono ovunque. Infatti, Volti di Cristo sono ancora custoditi a Genova, Manoppello, Lucca, Roma, Oviedo; invece, le Sindoni che ne rappresentano il corpo intero sono presenti a Cadouin-Tolosa, Besançon, Compiègne, Carcassone, Lirey-Torino (questa la più conosciuta e discussa). Un tempo, si credeva che il Mandylion, celato agli occhi degli uomini, fosse in grado di allontanare i terremoti dalla città. Ancora oggi, sulla faglia continentale, la terra trema di continuo.

Dopo la brusca parentesi dell’impero latino, la Roma d’Oriente sviluppa i propri rapporti su rotte diverse da quelle occidentali. La principessa Maria Paleologhina vive per quindici anni alla corte mongola di Persia come sposa del gran khan Abagu, convertendone i sudditi al cristianesimo. Quando il khan viene ucciso dal suo stesso fratello Ahmet, lei rifiuta di contrarre ulteriore matrimonio, come invece aveva progettato l’imperatore padre Michele VIII. Maria è ricordata nella chiesa che dal 1282 domina la cima della collina del Fener, la Panaghia Muchliótissa, in turco Kanli Kilise, in italiano Nostra Signora dei Mongoli, un tempio rosa tuttora dedicato al culto cristiano. La vicenda della principessa accade tra la battaglia di Tagliacozzo e la decapitazione di Corradino di Svevia, eventi con cui si estingue la dinastia degli Hoeunstaufen (1268), e la conversione all’Islam dei Turchi (1302). In ogni tempo qualcosa declina, qualcos’altro inizia: e c’è un intervallo, quasi impercettibile, in cui noi siamo.

Alcuni vanno, altri vengono: altri ancora rimangono. Nel patriarcato di SS. Apostoli un mosaico raffigura l’imperatore ottomano Maometto II e il patriarca ortodosso Gennadios II l’uno di fronte all’altro. Il 6 gennaio 1454 è proprio il sultano che conquista la città all’Islam a eleggere con quel nome alla massima carica della cristianità ortodossa il monaco Giorgio Scholarios, già capo della fazione contraria all’unione con la Chiesa cattolica compiutasi a Firenze nel 1438. Una posizione completamente diversa è assunta dal basiliano Bessarione, in seguito vescovo tuscolano e abate presso il convento greco di Grottaferrata fondato da San Nilo di Rossano, che si impegna nel cercare giustificazioni ad un’unione di fedi dove le forme ortodosse possano mantenere peculiarità e significato. Un anno dopo la presa di Costantinopoli, Bessarione, compendio vivente dei due mondi religiosi, è quasi sul punto di essere eletto pontefice a Roma; successivamente, mentre sollecita alleanze contro i Turchi, nomina quale erede spirituale di Bisanzio la Repubblica di Venezia. Nel frattempo, per effetto della politica di distensione stabilita dagli Ottomani, il quartiere del Fener si popola di Greci Rūm, molti dei quali appartengono a famiglie aristocratiche. L’edificio del patriarcato, scampato al saccheggio per ordine del sultano, collezionista di reliquie cristiane, al confronto di quello di altre sedi confessionali, è relativamente modesto. L’immagine del mosaico presente al suo interno rappresenta con pari dignità il monaco e il sultano; tuttavia, anche i sacerdoti sono sudditi e sottoposti al pagamento di un tributo. Maometto e Gennadios continuano a guardarsi, con una prospettiva invertita rispetto a quella del mosaico, in un dipinto a olio di Gerolamo Galizzi realizzato nella prima metà del 1500, diffuso su stampa nel 1800 per promuovere un’immagine di armonia tra popoli ormai sul punto di risolversi in aperto conflitto. Forse, non è ancora giunto il presente capace di accogliere quanto la storia ha disperso: forse, è un presente costantemente remoto, e noi siamo sempre altrove.

 

3. Ritornare

I figli dell’impero si disseminano, le stirpi si differenziano dalla stessa origine che rivendicano, alcuni non hanno mai conosciuto i loro stessi padri. Il culto ortodosso è osservato in Grecia e nei paesi slavi e dalla maggior parte dei cristiani dell’impero; l’eredità bizantina è rivendicata da Mosca, la cui Chiesa è autocefala dal 1448. La principessa Zoë Paleologa, ultima nipote di Costantino XI, nel 1472 va in sposa a Ivan III, zar di tutte le Russie, che adotta come sigillo l’aquila a due teste bizantina ed esercita a livello nazionale l’universalità di potere espressa che era espressa dal basileus. Bisanzio è però anche retaggio dei Domnii, principi romeni di Valacchia e Moldavia, che assicurano la protezione ottomana alle chiese ortodosse di Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme, monte Athos. Dal 1634 al 1653 Basilio Lupo è hospodář o voivoda della Moldavia, e combatte la Valacchia; promuove l’elemento greco, introduce l’uso della lingua rumena, fonda l’università e incentiva la stampa. Nel 1642 progetta la propria incoronazione imperiale in un concilio ecclesiastico a Iaşi, provocando la ribellione delle componenti cattoliche. I figli a volte dimenticano i padri, le origini si moltiplicano proprio nel nominarle.

Alcuni nell’andare trovano una patria. Seconda metà del XVII sec.: i ricchi mercati greci del Fener, discendenti di famiglie imperiali bizantine e interpreti capo dell’autorità ottomana in qualità di Dragomanni della Sublime Porta, sono inviati nelle regioni danubiane per sostituire i Domnii. Nel 1709 Nicola Mavrocordato ascende ad ambedue i troni di Moldavia e Valacchia in nome dei greci di Costantinopoli. Suo figlio Costantino annulla la servitù della gleba e diffonde la letteratura francese, stabilendo così un forte riferimento per la nascente cultura rumena. Le chiese slave dei Balcani vengono ellenizzate. L’impronta tradizionalista fanariota, coniugata all’influenza razionalista e illuminista, conosce esiti nazionalisti. Nel 1821 inizia la guerra di liberazione della Grecia, trovando principale ispirazione nei diversi ambienti nei quali si è diffusa l’immigrazione greca; un suo importante focolaio è nella Filiki Etaira di Odessa sul Mar Nero, ed è sostenuta dal sanguinario ex dignitario turco ed esponente dell’espansionismo albanese Alì Pascià di Tepeleni, detto il Leone di Giannina – Ioànnina, città dell’Epiro. Qui un lago privo di sorgenti ed emissari emana sentori di decomposizione e crudeltà, e si racconta che Alì Pascià vi abbia fatto annegare diciassette donne perché una loro sorella si era a lui rifiutata. Sempre nell’Epiro che poi apparterrà alla Grecia, il giorno della Pasqua ortodossa del 1824, nel corso di una sconclusionata spedizione contro il dominio turco, a Missolungi muore di febbre Lord Byron. Dal suo esilio in Italia, il poeta inglese era rimasto coinvolto nella causa filoellena grazie al politico inglese John Cam Hobhause, con cui quattordici anni prima aveva visitato i paesi ottomani. Tuttavia, Hobhause in questa occasione resta a casa a far carriera, prima tra i radicali e poi tra i Whigs. La guerra procede fino al 1832; l’anno successivo, il principe Alessandro Mavrocordato firma la dichiarazione d’indipendenza della nazione greca e fino a 1854 è più volte presidente del consiglio. L’impero ottomano si sta sfaldando, l’esaurirsi del secolo attende anche quest’altra Roma. Altri epoche si annunciano.

Sulla costa c’è la chiesa bulgara di Santo Stefano, costruita interamente in ghisa in stile neogotico nel 1871. L’economia è piuttosto depressa, il ritmo di crescita è rallentato, c’è ribasso dei corsi monetari e sfiducia nel progresso; le potenze mondiali si accordano per lo status quo dei Balcani. I quartieri-città sorti in epoca bizantina mantengono autonomia sociale e culturale per disposizione della Sublime Porta, le diverse comunità religiose sono riconosciute quale millet, nazione-popolo. Nei pressi della costa, le famiglie si ritrovano a mangiare; i bambini corrono sul prato. Da qualche parte, c’è un faro nascosto: quello che ha dato nome a questo posto. Ma chi fu costretto a partire non ritroverà più quanto un giorno lasciò.

La prima parte dello scritto ha vinto la sezione “Viaggio” dello Scriba Festival 2012. Settembre 2002 – Aprile 2016.

Fotografia: “Strade di Fener” – Istanbul, settembre 2002

 

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