Gender theories. Riflessioni a margine

Siamo convinti che le politiche identitarie applicate alle questioni di genere implichino in ogni caso un’emancipazione della persona e non possano invece in qualche modo essere anche funzionali al pensiero unico neoliberista? E non sussiste il rischio di appiattire le diversità proprio laddove si pretende di assimilarle ad un modello unisex? Esiste un dibattito effettivo su questi argomenti? Un contributo critico del saggista e docente Vito Sibilio (1973), collaboratore presso La Manif pour Tous, permette il confronto con opinioni attualmente per nulla conformiste, utili per orientarsi nella questione e farsi una propria idea.

 

Per gender theories si intendono quelle teorie psicosessuologiche e antropologiche che distinguono nettamente tra sesso biologico e genere sessuale, intendendo tale distinzione di matrice prevalentemente, se non esclusivamente, socio-culturale e comportamentale. Il termine gender, che in inglese vuol dire genere, viene dunque usato in tale accezione come tecnicismo. Tali teorie hanno molteplici matrici.

Una prima matrice è bioepistemologica. Nel 1955 John Mooney della Hopkins University, impegnato con Joan e John Hampson nella soluzione dei problemi legati agli stati intersessuali (come l’ermafroditismo, in cui vi è conflitto tra sesso cromosomico, gonadico e genitale), teorizzò per la prima volta la distinzione tra sesso biologico e genere sessuale, insegnando che il secondo può essere appreso dai bambini in base all’educazione. La presunta base biologica stava nel considerare in modo assoluto questo assunto: il sesso cromosomico dell’embrione è irrilevante, in quanto immettendo nella femmina cromosomica un flusso di androgeni il comportamento sessuale e la funzione ipofisaria si mascolinizzano. Ricevendoli, l’ipotalamo cambia comportamento, funzionando aciclicamente e producendo costantemente le gonadotropine mediante l’ipofisi. A parti inverse, un trattamento analogo implicherebbe una produzione ciclica.

Il caso di Bruce Reimer fu da Mooney brutalmente trattato in base a questo principio ma si concluse con un fallimento e in modo drammatico. Il bambino, casualmente evirato durante una mal compiuta circoncisione, fu  femminilizzato da Mooney con gli ormoni e la costruzione di una vagina, piuttosto che di un nuovo pene. Gli venne così nascosta la sua identità originaria e lo si rinominò Brenda. Tuttavia, da adolescente si ribellò, e in età adulta ritornò ad essere uomo, sottoponendosi ad un nuovo intervento chirurgico e assumendo il nome di David. Come uomo, volle sposarsi e avere figli: lui che, cresciuto credendosi una bambina, per anni aveva pensato di essere una donna omosessuale. Infine, anche a causa dei traumi infittigli dal suo mefistofelico pigmalione, concluse nel 2004 la sua vita con il suicidio. Questo insuccesso rappresenta il classico elemento falsificante di popperiana memoria, attestando che la teoria di Mooney è smentita e quindi non è una posizione scientifica tenerla ancora per buona.

Una seconda matrice delle gender theories si desume dalla psicanalisi freudiana letta alla luce del marxismo sessantottino, secondo la quale il sesso è potenza sovversiva da utilizzare per modificare l’ordine sociale (tesi sostenute con le debite diversificazioni da Reich e Marcuse).

Una terza matrice strutturalista critica la precedente per distruggere l’idea stessa di identità sessuale. Michel Foucault considerava la sessualità non quale dato primario e invariabile, ma come costruzione scaturita dalla confluenza di potere e sapere, volta ad assoggettare gli uomini asserviti ai quali si attribuirebbero ruoli da essi non scelti e tuttavia reputati naturali. L’idea stessa di soggetto era considerata strumento di dominio. La liberazione esigerebbe esperienze erotiche in grado di depersonalizzare il piacere e scorporarlo rispetto al corpo sessuato.

Una quarta matrice ha impronta marxista e deriva dal femminismo radicale. La dicotomia uomodonna sarebbe un fatto meramente culturale, rendendo così necessario adottare un paradigma uniformante o egualitario per impostare i rapporti tra i sessi. Lo sostenevano diverse profetesse di una nuova, inquietante umanità. La prima è stata Simone de Beauvoir. Poi, Rosemarie Putnam Tong ha equiparato la lotta di classe a quella dei sessi. Indi, Shulamit Firestone ha proposto il pansessualismo al posto di eterosessualità e omosessualità, nonché l’abolizione dei tabù della pedofilia e dell’incesto, che secondo lei sarebbero stati creati dalla famiglia, da abolire a sua volta. Ancora, Judith  Butler ha riletto Hegel – affermando che la donna doveva smettere di essere tale per non essere schiava dell’uomo, così che anche questo cessasse di essere tale – e l’interpretazione classista della famiglia di Engels.

Costei ha proposto la fecondazione assistita e le libere unioni al posto di famiglia, monogamia, fedeltà e maternità. Inoltre, Anne Fausto-Sterling, per dare una collocazione di genere ai fenomeni intersessuali, ha proposto non di considerarli eccezioni ma categorie vere e proprie, per cui ha enumerato cinque presunti generi sessuali. In aggiunta, Marta Llama ha sostenuto che gli pseudo-generi possono essere molti di più. Infine, Kate Bornstein ha teorizzato la fluidità di genere senza alcun limite. Il risultato è la diffusa credenza, quasi religiosa e per nulla scientifica, in nove generi: eterosessuale, omosessuale maschile, omosessuale femminile, bisessuale, transessuale (trasversale al sesso), transgender (trasversale al ruolo di genere), queer (mutevole), questioning (che si interroga su se stesso), intersessuale (con caratteri sessuali non esclusivamente maschili o femminili).

Tuttavia, l’ermafroditismo e gli stati intersessuali sono rari e non categorizzanti, di matrice morfologica e non genetica. Molte costruzioni di Llama e Fausto Sterling sono immaginarie. L’idea di Judith Butler, per la quale il reale verrebbe cambiato e rivisto dall’oscillazione categoriale costitutiva del genere a cui apparterrebbe l’intersessuale, è senz’altro suggestiva, ma viziata di un certo idealismo, che riassorbe il dato biologico nell’atto di autoconoscenza del soggetto, senza nemmeno peritarsi di verificare se tale autocoscienza – che diventa anche autopoiesi – sia corretto oppure frutto di una distonia tra psiche e corpo, e, qualora lo fosse, se la psiche sia realmente superiore al corpo nel processo di autoformazione e non siano piuttosto entrambi interdipendenti. La fluidità di genere è inoltre smentita dal paradigma dell’evoluzione e si basa sull’identificazione tra identità sessuale e orientamento sessuale, che invece sono diversi in quanto l’uno è genetico e l’altro no, essendo variabile da soggetto a soggetto.

Il risultato è che la teoria dei nove generi è assente dalla letteratura medica di prestigio (tipo PubMed, del National Healt Institute degli USA). In quanto alle sofisticate teorie di Foucault, esse denaturalizzarono e politicizzarono la sessualità, estendono all’infinito il dibattito politico sulla questione, desessualizzarono il piacere e scardinarono la fissità dei ruoli sessuali.

La politicizzazione di questa faccenda la rese incandescente e di scottante attualità, trasformando un quadro teorico di carattere critico in una nuova ideologia dallo spiccato carattere normativo. Le gender theories furono infatti ben accolte dagli attivisti gay. Progressivamente diventarono il riferimento dell’azione politica negli organismi internazionali che non sono eletti dal popolo e sono quindi condizionabili dai gruppi di potere e capaci a condizionare a loro volta l’opinione pubblica, vere casematte, dunque, del potere da conquistare gramscianamente.

La politicizzazione avvenne per tappe. Nel 1969 il Gay Liberation Front negli USA affermò di voler fare la rivoluzione culturale per una completa liberazione sessuale degli omosessuali e di altre categorie umane basate su specifiche attrazioni erotiche. Il progetto corrispose, con una coincidenza inquietante e illuminante, ad un altro elaborato nello stesso anno dall’International Planned Parenthood Federation, per il Population Council  e per l’OMS, atto a ridurre la fertilità umana mediante lo scoraggiamento delle nozze, la denigrazione della famiglia e l’aumento percentuale dell’omosessualità. Il tutto per non dilapidare risorse alimentari e contenere la demografia.

Nel 1973, in seguito a referendum interno, l’American Psychiatric Association decise di cancellare l’omosessualità dal Diagnostic and Statistical Manual, ossia dalla Bibbia dei disordini mentali. Era stata declassata già nel 1968 (da sociopatia a disturbo della personalità) e nel 1987 fu eliminata dai disturbi anche nella sua forma non voluta o egodistonica. Molti psichiatri presenti alla riunione del 1987 dichiararono che essa svolse i suoi lavori in modo irregolare e sotto minaccia (per esempio Bayer, Socarides, Dannemeyer, studiosi di grande prestigio).

Da questo momento in poi non fu più possibile fare terapia agli omosessuali che non volevano essere più tali, pur non negando all’eterosessuale di passare all’omosessualità: anzi, di solito lo si accompagna con plausi come se fosse, in modo assoluto e incontrovertibile, una scelta di progresso. Come corollario, è accaduto che le interpretazioni psicanalitiche classiche dell’omosessualità (Freud, Adler, Stekel, Arndt, Hatterer, Aardweg, Mchugh, Socarides) sono oggi ufficialmente ignorate, sebbene non siano state in nessun modo né falsificate né smentite.

Nel 1989 Marshall Kirk e Hunter Madsen, in After the Ball. America will conquer it fear and hatred of Gays in the 90’s, pubblicato a New York per la Penguin, delinearono una strategia di successo perché: A) la gente accettasse la cultura gay; B) le unioni gay fossero un diritto; C) l’opposizione venisse zittita; D) i movimenti gay conquistassero il potere. I mezzi indicati furono: I – Desensitize, ossia desensibilizzare, parlando continuamente di omosessualità fino all’assuefazione; II – Jam, ossia mettere a tacere i dissenzienti presentando sempre i gay come vittime e mai come violenti; III – Convert, ossia rendere la gente favorevole ai gay e ostile ai dissidenti, mediante immagini che distraggano o convertano emotivamente “il bigotto”, evitando il coinvolgimento del piano razionale. Lo scopo era la normalizzazione dell’omosessualità mediante le nozze, intese come obiettivo simbolico che preluda alla distruzione della famiglia. Non si può non rilevare come questi obiettivi oggi siano in parte raggiunti e che i mezzi vengano usati massicciamente.

Nel 1995 la Conferenza sulla Donna di Pechino invitò gli Stati a diffondere l’agenda di genere in ogni programma politico e in ogni istituzione pubblica e privata. Per tale prospettiva si dovrebbe distinguere il naturale dal sociale nel campo del sesso e rinegoziarne i confini. Dale O’Leary denunziò coraggiosamente le conseguenze: imposizione a tutti i popoli di questa prospettiva senza dibattito alcuno; avversione alle parole padre madre marito moglie, alla famiglia e al matrimonio; silenzio sulle donne madri.

Il summenzionato progetto di Foucault, che per coerenza non aderì a nessuna battaglia identitaria, compresa quella gay, fu trasformato in programma politico nel Manifesto per l’uguaglianza dei diritti, la Magna charta dell’omosessualismo – ossia dell’omosessualità così ideologizzata e politicizzata – redatta da Didier Eribon e Daniel Borrillo (2004) e firmata, tra gli altri, da Jacques Derrida. Esso affermò che violenza fisica e opposizione politica alle unioni civili sono la stessa cosa, che l’omosessualismo è un approdo inevitabile della democrazia e che le prerogative della famiglia vanno estese alla coppia omosessuale (cfr. Le marriage gay. Les enjeux d’une revendication, di Thibaud Collin, 2005).

La Risoluzione UE del 18.1.06., per combattere la discriminazione degli omosessuali introdusse il termine omofobia, criminalizzando le opinioni, acquisendo la nozione di identità di genere e il riconoscimento delle famiglie omosessuali, invitando a censurare i discorsi “di odio” (definizione generica e degna della neolingua orwelliana) e a condurre campagne educative e mediatiche, nonché a percorrere, come deterrenti per i dissidenti, le vie amministrativa, legislativa e giudiziaria.

Con l’Enunciazione dei Principi di Jogjakarta in Indonesia nel 2007,  ventisette pseudo-saggi dettarono norme giuridiche obbligatorie internazionali: per combattere la discriminazione, l’identità proteiforme di genere fu affermata come diritto umano, assieme alla famiglia gay e alla procreazione assistita per gli omosessuali. I Principi adottarono esplicitamente la definizione di sesso, identità di genere e orientamento sessuale imposti dalle gender theories.

Con gli Standard per l’educazione sessuale dell’OMS in Europa del 2010, diciannove esperti molto politicamente corretti riunitisi a Colonia stabilirono alcune discutibili equiparazioni per una sessualità responsabile e sana. A tale concetto furono infatti collegati surretiziamente l’approccio olistico al sesso, l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione; vi si escluse l’identità corporea; accanto all’omosessualità venne accettato qualunque orientamento sessuale, la masturbazione infantile precoce e la stimolazione erotica dagli 0 ai 4 anni e l’informativa su contraccezione e aborto fin da 6 anni. Di tutte queste pratiche, comprese quelle masturbatorie, è stato dato mandato all’insegnante di istruire e supervisionare gli studenti. Il testo di fatto aprì alla pedofilia, perché se il bambino manifestasse oggi interesse per l’adulto che lo educa secondo tali parametri, questi non potrebbe trovarci più nulla di male.

La Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa, CM/Rec (2010)5, combattè surretiziamente la discriminazione di genere e di orientamento sessuale, proponendo l’omomatrimonio, la reversibilità pensionistica tra omosessuali, ma anche l’adozione e la fi.vet. Dichiarò senza giustificazione che nessuna differenza di trattamento può essere accettata tra eterosessuali e altri esponenti di presunti generi ed equiparò ad essa qualsiasi censura morale, religiosa e culturale nei confronti degli omosessuali, considerata discorso di odio da reprimere mediante una apposita legislazione. Con una mossa dalla  conseguenze ampie quanto incontrollabili, i diritti umani furono applicati non alla persona, ma all’orientamento sessuale.

In Italia le Strategie nazionali per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2014) del Dipartimento delle Pari Opportunità, sulla scia della Raccomandazione di cui sopra, prevedettero, tra le altre cose: l’empowerment degli LGBT nelle scuole, la creazione di network LGBT nelle aziende, la nascita di un dirigente mentore degli LGBT in ognuna di esse, benefit specifici per le aziende che realizzano tali programmi e per gli LGBT. Asserì che il bullismo contro gli omosessuali viene da qualunque cultura che rigetti l’omosessualità moralmente, definita spregiativamente eterosessista e omofoba, e di cui si chiese l’estirpazione educativa. Adottò la classificazione per generi e non per sessi. Il documento è stato redatto con la consulenza di soli esperti del mondo degli LGBT militanti, e non è mai stato discusso in Parlamento.

Il Position Statement dell’UNICEF, nel novembre 2014, per tutelare i bambini figli di omosessuali, parlò surrettiziamente di bambini con orientamenti sessuali da tutelare (cosa biologicamente insensata) e riconobbe come dato acquisito l’identità di genere, rigettando quella sessuale, basata sul sesso gonadico.

Il risultato di questa politicizzazione è stato senz’altro un’opportuna depenalizzazione dell’omosessualità ma ha comportato anche un’impostazione scorretta del tema del disagio sociale degli omosessuali. Attribuendolo solo all’ambiente ostile, ha dimenticato l’indagine su fattori personali. In realtà, diversi sondaggi sui disturbi psichiatrici (Sanford 2001), sui suicidi (Mathy 2009; Frisch-Simonsen 2013) e su altri problemi comparati tra omosessuali ed eterosessuali, che dovevano essere risolti negli ambienti gay friendly come i Paesi Scandinavi, hanno mostrato che essi non soltanto continuano ad esistere, ma che vedono drammaticamente gli omosessuali quali loro protagonisti assoluti. La dimensione umana del problema è stata completamente dimenticata.

Per quanto misconosciute, vengono così alla luce le aporie del sistema, che ogni discussione onesta dovrebbe prendere nella dovuta considerazione:

  1. Le gender theories vengono usate per distruggere ogni identità sessuale: tuttavia, si tende contraddittoriamente ad affermare che l’omosessualità sia una condizione stabile, normale e naturale.
  2. Il disagio del singolo, anche laddove è vissuto in tutta la sua drammaticità, viene negato, perché egli deve per forza essere felice in questa nuova immagine ideale dell’omosessualità.
  3. L’omosessuale che non si riconosce in questa paradossale identità-non-identitaria è considerato un dissidente politico e viene emarginato.
  4. Le problematiche non politiche dell’omosessualità sono passate sotto silenzio.
  5. Il dibattito sull’argomento avviene sotto la minaccia della legge, quando questa sposa la visione politicizzata del problema. Avviene peraltro a porte chiuse tra burocrati ed esperti legati a una visione specifica del problema, quella appunto ideologica segnata dalle gender theories e dall’omosessualismo militante.
  6. Tale visione, affondando le proprie radici in una visione totalizzante di derivazione marxista, risulta incompatibile con i principi dell’epistemologia popperiana e di una democrazia liberale tipica delle “società aperte”.

La politicizzazione dunque avvelena oggi tutta la questione. Problemi chiave del mondo gay, come la maggiore instabilità affettiva (McWhirter e Mattison, ricercatori gay, 1984; Xiridou, Amsterdam 2003), la maggiore incidenza di disordini mentali (Welch 2000, Sandfort 2001), delle malattie veneree (Frisch e Simonsen cit.), del suicidio e della violenza (Cameron 1996), della promiscuità e dei rapporti con minori in genere (Gandolfini 2014), sono completamente rimossi dalla coscienza collettiva, con grave danno per quegli stessi omosessuali che vogliono avere aiuto.

Ne derivano così alcune male practices:

  1. L’asilo Egalia in Svezia per i bambini neutri, che non hanno nomi né maschili né femminili né analoghe vesti, in attesa che scelgano il loro sesso da adulti.
  2. L’iniezione di ormoni inibitori della crescita nella Clinica Tavistock and Portman in Inghilterra per i preadolescenti con identità incerta in modo da dare loro tempo di scegliere il proprio genere.
  3. Casi come quello, avvenuto in Germania, della galera per i coniugi Martens, la cui figlia si era rifiutata di partecipare ai corsi di educazione sessuali basati sull’identità di genere fatti alle elementari, nella città di Eslohe.
  4. In Italia, il Gioco del Rispetto in cui spesso i bambini maschi sono costretti a vestirsi da femmina per capire la condizione femminile, ma non il contrario. I Manuali dell’UNAR per la primaria, la secondaria inferiore e la secondaria superiore, basate sulle teorie di Mooney. In genere diffusione di film, libri, volantini che, o in modo scabroso oppure precoce introducono nelle scuole il tema del sesso omosessuale.
  5. Diffusione di bambole sessuate e di sex box (scatole con oggetti di piacere) per i bambini e i ragazzi, per instradarli al sesso, sulla scorta dello Standard OMS 2010.
  6. Interventi delle amministrazioni locali in temi di rilevanza costituzionale, come il documento Roma Capitale dei Diritti. Il Piano LGBT Roma 2014-2016, in cui il Comune statuisce di suo che l’identità di genere è un diritto umano, con quanto ne consegue.

Ne deriva una domanda di forte attualità, per quanto rimossa, che deve doverosamente essere posta al nostro dibattito politico: sono un diritto le unioni civili omosessuali, oppure rappresentano soltanto una figura giuridica discutibile? Come valutare l’idea delle adozioni omogenitoriali?

In Italia non abbiamo conosciuto l’apartheid, abbiamo una Costituzione che parla di diritti naturali e non civili e non abbiamo una tradizione di intolleranza sessuale. Inoltre il nostro Paese ha già dispositivi legislativi atti a difendere i diritti personali anche degli omosessuali: per esempio la l. 91/99 sull’assistenza sanitaria al compagno senza indicazione di sesso, o la l. 392/78 modificata dalla sentenza della Corte Cost. 404/88, sul diritto di subentrare in locazione alla morte del compagno titolare del contratto. Ancora, il testamento olografo per la successione, o l’acquisto comune della casa se si vuole essere comproprietari o in alternativa la donazione della propria quota. Peraltro l’istituto matrimoniale in Italia è talmente in crisi anche giuridicamente che una volta esteso agli omosessuali è certo che essi, per non essere gravati dal diritto di famiglia specie in caso di separazione e divorzio, non adiranno alle nozze. Già oggi i registri comunali delle unioni civili sono disertati: in vent’anni solo cinquecento coppie si sono iscritte. Eppure il Governo Renzi e la sua maggioranza di larghe intese ristrette ha imposto la Legge Cirinnà che introduce nel nostro ordinamento questa figura giuridica, peraltro mediante l’uso della fiducia, che ha strozzato il dibattito in qualunque senso.

Le unioni possono essere solo civili. Esse esistono in quanto garanzia del rapporto di coppia. Ma il rapporto di coppia naturale, concepita quale necessaria articolazione della specie umana, composta di maschio e femmina interfecondi, è soltanto tra un uomo e una donna. In questo senso, le altre unioni non sono naturali, e per quanto riguarda la storia non sono mai esistite in passato nelle forme con cui oggi vengono imposte; invece, la relazione uomo donna è sempre esistita, anche se continuamente sottoposta a modifiche. Pertanto, qualunque equiparazione delle relazioni omoaffettive alla coppia maschio femmina non solo è irragionevole, ma è mistificante e pericolosa, dando diritti e prerogative a chi non può esercitarli al medesimo titolo della famiglia naturale. I diritti di questa non sono un bene da espropriare, ma delle caratteristiche che questa soltanto ha, in quanto altre società umane non sono capaci di svolgere quelle funzioni da essa svolte.

Non esiste una distinzione reale tra matrimonio e unione civile, come non esiste un surrogato di diritti e di doveri in formule tipo PACS o DICO. Queste preparano quelle perché partono tutte dal presupposto che la coppia omosessuale sia una formazione sociale in tutto o in parte simile al matrimonio, per cui o si modifica la definizione di questo – che quindi viene snaturato – o si deve porre un argine a tale equiparazione impropria: la quale, ovunque  abbia conosciuto inizi anche con modi moderati e parziali, ha portato alle nozze.

Per quanto poi concerne il tema rovente della omogenitorialità, la posizione che appare più sensata è che nel processo di crescita ed educazione del bambino sia indispensabile la presenza di due genitori di sesso diverso. Essere allevati da uno solo è già difficile. Introdurne due dello stesso sesso diventa chiaramente un attentato a quello sviluppo che la psicologia dell’educazione concordemente ha descritto. Fosse anche solo un rischio e non una certezza, nessuno dovrebbe giocarsi il futuro delle nuove generazioni.

Il dato emerge già da svariati sondaggi. Quello di Donald Paul Sullins 2014, basato sul National Health Interview Survey, ha mostrato che su 207.007 figli di cui 512 vivevano con genitori omosessuali, tutti i problemi aumentano per la pur minore percentuale dei secondi: emotivi (300%), attenzione e iperattività (240%), apprendimento (270%), problemi psichici (270%).  Altri sondaggi, dell’Early Child Longitudinal Study 2012, dell’US Census 2010, del Canadian Census 2013, confermano questi dati. E se la messe di studi che invece supporta l’omogenitorialità è senz’altro imponente, su di essa gravano alcuni sospetti, costituiti dal fatto che sono scritti sempre dagli stessi autori – che agiscono sotto l’egida di istituzioni spesso ideologicamente schierate – e che in ogni caso non danno ragione di quei dati che vengono pazientemente raccolti da altre ricerche e che mettono palesemente in crisi il paradigma dominante da loro supportato.

La generazione in una coppia omosessuale è impossibile. Se questo è già motivo sufficiente per comprendere che non può esistere una famiglia omosessuale, per arginare il veto della natura si pensa alle maternità surrogate, alla fecondazione eterologa e ad altre pratiche che implicano la mercificazione del bambino: la morte di embrioni umani, la vendita dei figli da parte dei genitori biologici, la scissione surrettizia delle fasi della maternità e paternità. Tutte cose che, introducendo un diritto ad avere figli piuttosto dubbio sul piano giuridico, negano i diritti e i doveri naturali dei genitori verso i figli e i diritti dei figli stessi.

L’adozione da parte degli omosessuali in quanto tali – non quali persone singole, che possono essere degnissime e migliori di tanti etero – è già contestabile in base a quanto detto. Tuttavia, invece di prendere atto di questo, in Italia si è parlato di stepchild adoption, ossia di una adozione da parte del compagno omosessuale del figlio naturale dell’altro, che non solo apre le porte alla fivet e alla maternità surrogata, ma crea un’ingiustizia che può essere sanata solo estendendo a tutti lo ius adoptionis. In definitiva, si è trattato di un mezzo vile delle forze politiche che sostengono la legge Cirinnà, che mentre scrivo è in dirittura di arrivo alla Camera dei Deputati a marce forzate.  Emendato il testo da questo trucco, lo si è spalancato alla libera valutazione dei magistrati caso per caso, trascurando il dato costituzionale della genitorialità maschile e femminile insieme.

Il problema più grave è quindi che il dibattito si svolge sulla base di diritti del tutto presunti, che vengono predicati non rispetto a persone in quanto tali, ma con considerazione esclusiva dei loro orientamenti sessuali, e dei loro generi a loro volta presunti. Tale predicazione è chiaramente molto discutibile e senz’altro forzata, oltre che contraddittoria, perché l’identità di genere è fluida stando alle gender theories, e quindi non dovrebbe nemmeno essere contemplato un soggetto giuridico che è tale in quanto omosessuale, in quanto potrebbe cambiare genere quando vorrebbe rendendo così la stessa forzatura giuridica nella quale tanto si impegna sterile e vana. Tali diritti sono quindi del tutto congetturali, e non sono neppure umani: se lo fossero, apparterrebbero a tutti in quanto uomini, e inerirebbero ogni singolo. Sono rivendicati da alcuni in esclusiva virtù di un orientamento personale e poi, per far apparire i diritti delle coppie omosessuali similari a quelli della coppia eterosessuali, si stravolge il senso di questi ultimi.

Contro ogni retorica del “diverso”, ne potrebbe conseguire una società fortemente omologata. Un mondo in cui l’essere come differenza di Jacques Derrida, invocato come paradigma ontologico che giustifichi la distruzione del duopolio di genere maschio-femmina, si capovolga in una sorta di “comunismo” dell’identità di genere, in cui tutti possono accidentalmente essere qualunque cosa, purché ciò si predichi di una indistinta umanità priva di funzioni specifiche di tipo biologico e culturale. In questo mondo, a chi tentasse la glasnost e la perestrojka della rivendicazione di ruoli biologici, dovrebbe spettare una sorta di gulag intellettuale, una lapidazione morale dettata da un conformismo tanto bigotto quanto lo era quello che, solo qualche decade orsono, negava qualsiasi consistenza ontologica, anche meramente accidentale, all’omosessualità.

A sostenere queste tesi sono il diritto naturale e il contrattualismo classico. Tuttavia, la scuola giuridica contrattualistica è stata colonizzata da una impostazione ideologica scaturita dalle radici menzionate in precedenza e pretende di imporsi come unica scuola di pensiero

Chi scrive, formatosi nel  solco del personalismo filosofico e quindi da tempo sensibilizzato a difendere i diritti della persona contro ogni tipo di ghettizzazione basata sul pregiudizio, non può fare a meno di estendere tale lotta anche contro i nuovi conformismi. Così, laddove la questione delle gender theories investe quella delle nostre libertà fondamentali, essa sembra diventare funzionale a scopi politici molto diversi dalla lotta alla discriminazione e da prassi di tipo emancipatorio: si impongono così altre considerazioni, ancora tutti da svolgere, e che il presente scritto spera di suscitare, prima nelle menti e dopo nelle coscienze di chi legge.

Fotografia: “L’avvenente presentatrice Vulvia”, 2001.

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