Mein Kampf per tutti

Leggere tra le righe nei libri e nelle società: anche dove sono impresentabili. Prendere le distanze dagli indignati da tastiera e dalle paternali moralistiche. Comprendere, per non morire.

 

Come a molti è noto, la pubblicazione in epoca postbellica dello strano manuale scritto da Adolf Hitler in carcere nel 1925-6 non è una novità. Infatti, era ufficialmente illegale nella sola Germania, e in Italia è a livello clandestino è sempre stato disponibile; è tornato sul circuito librario allo scadere dei diritti sull’opera, che erano detenuti dal Laand di Baviera, esattamente dopo 70 anni dalla morte dell’autore. Per motivi apologetici, è da tempo diffuso nel mondo arabo, che se fu alleato nazista è diventato antisemita soltanto dopo aver subito la designazione da parte dell’ONU di Israele senza previa consultazione nemmeno con le nazioni confinanti.

Lo sconcerto degli Ebrei è del tutto comprensibile. Tuttavia, mentre hanno mantenuto una posizione critica Renzo Gatteggia (presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane), Efraim Zufroff (direttore del Centro Wiesenthal di Gerusalemme), l’ambasciata di Israele a Roma, esponenti rilevanti come Joseph Schuster (presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi) ha sostenuto l’utilità di una sua edizione con commenti critici in modo da evidenziare «teorie e tesi false» con la quali ha lavorato Hitler.

Le edizioni critiche del libro sono state già soppiantate da quelle celebrative, più semplici ed economiche, ma non c’è troppo da stupirsi che certi cultori di feticci ideologici non amino pensare. Inoltre, se la credibilità attualmente fornita ai movimenti di ispirazione fascista è preoccupante, ancora più gravi sono la deriva liberista delle presunte sinistre e la totale inettitudine dimostrata dai cosiddetti antagonismi: tale clima populista complessivo può preludere ad una devastante dittatura della marmaglia già sin troppo presente oppure ad una difficile tecnocrazia illuminata.

Il vero problema è però che anche all’interno delle associazioni presuntivamente culturali più insignificanti di ogni insignificante realtà sono prioritarie appartenenze piuttosto opache, che ripropongono i peggiori vizi dell’antico corporativismo fascista quali autoreferenzialità, familismo, territorialismo. E inoltre non assume assolutamente nessuna rilevanza atta a costituire un’effettiva coscienza critica quest’ennesima indignazione internettiana, come spesso accade solenne eppure miserabile, quasi al livello del marketing de Il Giornale, che per darsi un tono ha distribuito gratuitamente il Mein Kampf.

Il libro è vergognoso, ma possiamo saperlo proprio perché leggendolo ce ne facciamo un giudizio. E d’altro canto, chi si è sentito offeso da questa pubblicazione dovrebbe ricordare che sono stati i nazisti a dare i libri alle fiamme. Un gesto che ha implicazioni e conseguenze su cui riflettere, da ricompensare con un modello diverso, capace di confrontarsi attivamente con i propri errori e di non avere più paura delle zone d’ombra. Invece, non possono aiutare nessuno le banalità edificanti e il paternalismo facilone, più arroganti di tutto quello che credono di poter giudicare.

Occorre quindi anche chiedersi se le reazioni dalle quali emerge l’ipocrisia e l’impotenza di pretendere censura, posizioni del tutto incompatibili con quel minimo di fiducia indispensabile a permettere effettiva emancipazione, possano dipendere dall’equivoco di credere che leggere serva a permettere banali identificazioni, oppure se siano conseguenza del diffondersi inarrestabile di un’ignoranza della storia che scivola sempre di più nel desiderio di oblio. Attitudini che peraltro appartengono proprio al peggiore fascismo. Inoltre, tutta questa strana politica concorre a creare una pessima letteratura, che in definitiva continua a distruggere i libri in altri modi.

Ci sono innanzitutto delle distinzioni importanti da operare. Se l’iniziativa del giornale berlusconiano è «razionale e ragionevole», come tenta di giustificare Paolo Berlusconi, che certamente confonde il Führer con qualche filosofo a lui meno familiare, lo è soltanto nella logica di visibilità del quotidiano, che cresce alimentando il conflitto politico e culturale, o quel poco che ne resta. Ma i segnali di un nuovo nazismo non sono questi, e pure se Berlusconi sr. a sui tempo ha sdoganato e riformulato la destra italiana, la parola fascismo non si adatta affatto al suo ventennio, piuttosto futile, basato sulla licenziosità e non sulla repressione.

Inoltre, dove un Trump ormai premiato dai consensi per il suo nazionalismo fumettistico può anche essere visto come l’Hitler che certa America aspettava da tempo, Sallusti, e nemmeno a distanza, non è affatto Goebbels, dato che gli manca dimensione internazionale e consapevolezza strategica. E se il clima di questa nostra infinita crisi è a volte letto come riproporsi di quella scaturita dal crollo della borsa del 1929, quella povertà e quel livello di conflitto, e anche la straordinaria attività culturale di quell’epoca, non sono affatto elementi riscontrabili ai nostri tristi tempi. Ad ogni modo, il dato più grave è che la pasticciata insipienza intellettuale dei nazisti, in definitiva trash nelle forme più grottesche, è definitivamente diventata senso comune e pane quotidiano, indipendentemente dal professarsi di destra o sinistra o chissà che.

Ci sono poi alcune domande decisive, a cui certamente non possono rispondere gli indignati da tastiera. Come si può parlare con criterio della Shoa se si omette una delle componenti che la hanno determinata? E come è possibile affrontare costruttivamente i propri vissuti se ci si nasconde proprio quanto ci ha ferito? Se oggi dalle pagine di Facebook Maria Grazia Calandrone  con toni da controriforma sentenzia che il «Mein Kampf è  un delirio scritto con i piedi. indecoroso ripubblicarlo», con maggiore consapevolezza Primo Levi ha da tempo ammonito: «Meditate che questo è  stato/ Vi comando queste parole». Ci sono sintomi che fanno comprendere come certi nodi non sono ancora stati sciolti; ad ogni modo, nello stesso pomeriggio in cui era stato diffuso molte edicole romane avevano già esaurito questa merda di libro.

Nulla di tutto questo è incoraggiante. I sintomi indicano che, almeno ai livelli del chiacchiericcio oggi così sopravvalutati, la pubblica opinione sembra non essere in grado di imparare nulla. E tuttavia, invece di lasciarci andare a sterili isterie, potremmo finalmente trovare buoni motivi per comprendere la storia e conoscere i documenti, soprattutto relativamente ai momenti più oscuri e difficili, mai del tutto superati. Del resto, consideriamo che lo lessero pure Churchill e De Gaulle. Occorrono però buone edizioni critiche, capaci di leggere e far leggere.

Così, l’unico antidoto è proprio leggere, pensare, trovare alternative. La storia chiede di essere compresa, e non basta indignarsi per trovare una qualche civiltà. Infatti, studiare, mettere distanza, dare spazio all’alterità, interessa a pochi, così come da sempre; inoltre, l’appello a pensare con la propria testa provoca perlopiù una svogliatezza generalizzata, dimostrando che un’educazione democratica è ancora tutta da compiere. Così, in maniera senz’altro paradossale, potremmo proprio cominciare ad impartircela: in fondo, dipende esattamente da noi. Almeno per coloro a cui interessa.

Fotografia: “Amore nazista (materiale propagandistico degli anni ’30)” – Berlino, ottobre 2016.

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