Proposte didattiche per una scuola meticcia

Chi glielo spiega ai ragazzi di questa società multietnica che un certo Gesù nato tra gli Ebrei è profeta anche presso l’Islam? E dove reperire i fondamenti minimi della nostra vita associata? È possibile recuperare una funzione formativa alla scuola o siamo costretti a ridurle a palestre di consenso? Emiliano Sbaraglia (1971), scrittore e insegnante, cerca di comprendere come nella nostra società il concetto di educazione può trovare una nuova dimensione operativa.

 

Di recente a Berlino ho potuto guardare con i miei occhi quel che resta del Muro, e i solchi ancora visibili lasciati dalla sua presenza nel cuore della città, divisa dal 1960 al 1989, simbolo della Guerra fredda e dei conflitti vissuti nel Secolo Breve. La costruzione di nuovi muri oggi, e nei giorni prossimi a venire, lascia alquanto sconcertati ma forse poco sorpresi, in virtù di pruriti autarchici i quali ciclicamente la Storia riconduce, malgrado l’abusata definizione di “villaggio globale” sia divenuta con l’avvento della Rete e le innovazioni tecnologiche una ineludibile realtà.

Per trasformare tale realtà in risorsa da utilizzare, piuttosto che viverla come minaccia da risolvere, ripensare il mondo della scuola, più in generale il tema dell’istruzione e della formazione dell’individuo all’interno di un contesto di convivenza sociale, è  l’obbligo e il dovere dei tempi che corrono.

Con buona pace di chi si ostina a sostenere e sollevare barriere tra popoli, la quotidianità ci racconta la mescolanza continua di varie provenienze, che in Italia determina da ormai oltre un decennio la presenza nelle aule delle nostre scuole di studenti e studentesse di seconda generazione, se non di terza. Nati qui, o giunti nella Penisola in tenerà età, i nuovi italiani (possono chiamarsi anche così) hanno raggiunto il numero di circa un milione; ed anche con loro, forse in particolare con loro, bisogna misurare un efficace metodo di integrazione o meglio di interazione, lasciando cadere quella “g” che può fare tutta la differenza del mondo.

Integrazione significa infatti e soprattutto interagire tra persone, proponendo il proprio modello culturale senza escludere a priori quello altrui. In questo senso, la questione che qui interessa è in che modo tradurre il tutto attraverso l’attività scolastica di ogni mattina.

Senza indugiare sulle tante piccole storie comuni che nelle nostre classi raccontano un rapporto tra coetanei naturalmente portato alla convivenza, ma che in un momento non ben precisabile si trasforma progressivamente in sopportazione forzata figlia della reciproca diffidenza, alimentata dalle parole e le azioni mutuate dal mondo degli adulti (genitori o insegnanti che siano), cerchiamo invece di elaborare un paio di proposte precise e concrete, che in breve tempo potrebbero mostrare l’incisività necessaria a modificare il corso degli eventi.

A mio parere, un primo punto fondamentale e non ulteriormente procrastinabile riguarda la cosiddetta “ora di religione”, che già nella sua impostazione etimologica dovrebbe convertirsi (è il caso di dire) dal singolare al plurale.

“Ore di religioni”: di questo si deve discutere nelle nostre aule scolastiche ogni giorno; se si vuole, e se si vuole coinvolgere anche la componente accademica in  tale “progetto educativo”, la materia potrebbe chiamarsi “Storia delle religioni”, disciplina già presente nelle facoltà universitarie di carattere umanistico. In ogni caso, l’obiettivo non cambia: passare da una a due le ore settimanali per questo tipo di insegnamento, e approfondire nel suo programma annuale i principi fondamentali della religione ebraica e della musulmana, oltre naturalmente la cattolica, favorendo così la conoscenza delle origini del proprio compagno di banco, altrimenti tutto diventa per tutti maledettamente complicato.

Per evitare incomprensioni, non stiamo parlando di crocifissi da mettere o togliere dal muro scrostato di una scuola pubblica italiana: piuttosto stiamo cercando di capire, tra un Concorsone e l’altro, se abbiamo insegnanti in grado di interpretare un ruolo tanto delicato, e se siano adeguatamente preparati. Rimanendo propositivi, potremmo pensare a una sinergia tra Università e Ministero, in un funzione di una sorta di praticantato da inserire nel percorso formativo di un laureando e/o dottorando che contempli nel suo piano di studi almeno un paio di annualità tra Storia delle Religioni e Antropologia culturale. D’altra parte, in altri Paesi tutto questo da tempo risulta essere la normalità, vedasi origini e formazione del nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan.

A un’idea così strutturata per l’insegnamento della nostra e di altre religioni, dovrebbe far compagnia il potenziamento di una materia che nel percorso didattico ministeriale è già prevista: l’ “Educazione alla cittadinanza” o “Cittadinanza e Costituzione” (un tempo “Eduzione civica”), che come quella di religione dovrebbe essere impartita un’ora alla settimana, ma che rientrando tra le competenze dell’insegnante di materie letterarie, spesso viene relegata ad amena lettura nei ritagli di tempo, verso la fine dell’anno, di solito in occasione di qualche ponte tra Liberazione, Primo Maggio e Festa della Repubblica, quando c’è chi corre dietro all’ultima interrogazione, o alla tesina da presentare in Commissione d’esame.

Eppure, l’ora di educazione alla cittadinanza è determinante e imprescindibile, soprattutto se veramente si vogliono far prevalere i nostri principi e i nostri valori, la laicità nei confronti dell’oscurantismo, la conoscenza dei diritti in luogo dell’oblìo. Se si vuole far crescere una consapevolezza sociale, umana e condivisa. E allora la domanda: si vuole far crescere una consapevolezza sociale, fondata sulla libertà e il rispetto tra gli individui?

A corollario di tutto ciò, mentre l’unico punto dell’agenda politica rimane una Riforma non si sa bene quanto Costituzionale, aspettiamo fiduciosi di portare a termine l’iter parlamentare del cosiddetto “Ius soli temperato”, il diritto di cittadinanza, che dovrebbe contenere al suo interno un ciclo scolastico di almeno otto anni. Elemento, quest’ultimo, che restituisce una sensazione di urgenza: intervenire in maniera dovuta nell’articolato mondo della scuola, così da ricominciare davvero dalle fondamenta, dal concetto di educazione in una società civile, cercando di interpretare questa realtà meticcia, questo mondo mescolato che viaggia a mille all’ora, mentre c’è chi pensa quale unica soluzione la costruzione di un altro muro.

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