«Conscientia mea»: Ratzinger e noi

Abdicare in latino. La storia al tempo dei media. Erodoto: vedere e presente. Kant e S. Giovanni della Croce: fede e ragione. Simone Weil: ripensare la fede nella libertà dell’intelligenza. I candidati del Conclave. La rinuncia del cardinale O’Brien, accusato di pedofilia. La commisione su Vatileaks. La distruzione del sigillo. Ratzinger tra canoni e originalità. Origene e Unamuno: apocatastasi, anacefalosi e ricapitolazioni varie. «Fare pulizia»: delitti della Chiesa e lateralità della decisioni. Le attività di Marcinkus e dello IOR, la morte di Giovanni Paolo I, il ruolo dell’Opus Dei, l’attentato di Alì Agca a Giovanni Paolo II, il rapimento di Emanuela Orlandi, il caso Calvi. La dichiarazione dell’avvocato Jonathan Levy. L’ambiguità eredità di Wojtyla. La Chiesa e la necessità a base contingente. Schmitt: cattolicesimo e politica. Perniola: il cattolicesimo culturale. Nanni Moretti profeta. L’eccellenza di S. Giovanni della Croce e S. Ignazio da Loyola. Il brick-a-brack spiritualeggiante e l’odio di sé. Ratzinger e la filosofia. Il corpo come segno e il caso Pistorius. Le persone oneste e lo schifo per la Chiesa. Jung: i doveri della Chiesa. Secolarizzazione e diffusione dei concetti religiosi. Derrida e Agamben: transustanziazione e liturgia. Ferraris: gli equivoci religiosi. Voltaire: le superstizioni omosessuali. Žižek: le dimissioni di Dio. Andiamo in pace.

 

1. Gesti e historia

In un mondo dove tutti sono attaccati ai loro uffici come cozze, in un paese dove nessuno ammette mai le proprie debolezze, assistere alle “dimissioni” di un papa, evenienza il cui verificarsi è certo più rada di una sua morte, giustificate dal fatto che «le forze […] non sono più adatte», fa una certa impressione. Formulate, com’è prassi, in latino durante un’omelia, hanno reso necessario un competente lavoro di traduzione: questo eleva il ruolo degli addetti agli uffici stampa a quello di archeologi ed epigrafisti e rende il gesto un “classico”, fornendogli visibilità ancora più peculiare. I politici italiani, coinvolti nel frattempo nella competizione elettorale, sono rimasti spiazzati da un’azione impossibile da imitare, per la quale è difficile trovare precedenti nella stessa travagliata storia della Chiesa.

In casi come questi, la cronaca assume rilevanza storica e scorre in fretta, diventa subito passato. Certamente, le insidie speculative sono molte: la distanza tradizionalmente reputata necessaria alla comprensione critica viene ad assottigliarsi in maniera decisamente spiccata, mentre già per statuto i fatti si dissolvono interamente nella notizia, intaccando ogni certezza nella comprensione degli eventi. Tuttavia, possiamo cercare di restituire dignità al nostro “vedere” testimonianze e documenti, laddove secondo Erodoto questo «vedere» racchiude il significato di historia e proprio il presente rappresenta l’elemento centrale nell’interesse storico. L’“ardua sentenza” dei posteri sembra così appartenere a categorie e interessi di un futuro di cui ignoriamo la consistenza, e occorre accontentarsi di qualche idea che quantomeno possa permettere di arrivare a fine giornata un po’ meno confusi.

Se per la nostra sanità mentale ciò che accade va accettato come necessario, il credere che esista un fine prestabilito è decisamente più problematico; laddove possiamo farci onestamente un’idea degli eventi, vanno anche riconosciute le smentite delle nostre umanissime pretese. Ed è Kant, che formula i criteri decisivi della razionalità del conoscere, a ricordarci che la religione deve accogliere quali comandamenti divini i doveri morali, elemento divino presente nella coscienza, di cui essa rappresenta l’intrinseca universalità (La religione entro i limiti della sola ragione, 1773); su una sponda diversa, troviamo che l’esortazione a dare un limite alle nostre esaltazioni è rintracciabile addirittura in un mistico come S. Giovanni della Croce (Cantico Spirituale, 1584), laddove riconosce che «la fede ha riflessi d’argento, ma la verità è d’oro». E se filosofi e santi consigliano che semplificare in nome della fede non serve al comprendere, sono poi tanto gli interessi del Vaticano quanto le fantasie dei media a richiedere l’impiego accanito e serrato di quella razionalità giuntaci dalla speculazione greca, che peraltro rappresenta una delle principali radici dei cristianesimi.

Suggerisce Simone Weil (Lettera a un religioso, scritta nel 1942 e pubblicata postuma nel 1951), un’ebrea profondamente innamorata di Cristo, in qualche modo chiamata ad «essere cristiana fuori dalla Chiesa», che la presenza in questa di troppi frutti marci fa pensare che, se esiste un errore, questo sia molto antico. Senza andare ora a cercare tale errore, possiamo semplicemente ammettere quanto oggi sia incerta la via dell’istituzione umana più antica del mondo. E così, possiamo trovare risposte proprio negli interrogativi formulati dalla straordinaria tensione religiosa e filosofica di questa donna, che alla grande intelligenza univa i voti verso la pratica più umile, riconoscendo poi espressamente che le numerose verità, esplicite quanto implicite, racchiuse dal cattolicesimo, possono essere attivate soltanto depurandolo da ogni giustificazione apologetica. Pertanto, contro ogni tentazione di teleologie e misticismi a buon mercato, alla storia deve essere restituito il pieno valore di indagine, da incrociare tanto con una teologia critica capace di riconoscere luce in ogni tradizione, facendo a meno di particolari sudditanze verso Israele o verso Roma, quanto con l’esigenza etica di emendare le inadeguatezze della Chiesa senza minimizzarne in nessun modo la gravità, esercitando peraltro proprio quella impersonalità che ne rappresenta uno dei nuclei più autentici.

Muoversi su certe linee di confine non permette alcun compromesso. Infatti, credere con amore alla «verità perfetta» racchiusa «in Dio, nella Trinità, nell’Incarnazione, nella Redenzione, e negli insegnamenti dell’Evangelo» e riconoscere alla Chiesa la missione di formulare indicazioni decisive per i fedeli in quanto «depositaria dei sacramenti e custode dei testi sacri», non valse a Simone Weil l’ottenimento ufficiale del battesimo, laddove rifiutò categoricamente al potere ecclesiastico il «diritto di limitare le operazioni dell’intelligenza», che esige una «libertà totale». Tale libertà deve rinunciare a quegli atteggiamenti di difesa interna e aggressione esterna che impediscono alla Chiesa di essere «ricettacolo universale», e favorire, laddove il discorso possa interessare,  l’approfondimento della religione in cui si è nati senza doversi sentire costretti a cambiarla, scelta «dannosa quanto per uno scrittore cambiare lingua». La fede andrebbe quindi ripensata con la consapevolezza delle affinità che possono legare il cattolicesimo ai filosofi greci, all’antico Egitto, al Tao, alle Upanisad, senza più imporre nessuna forma ad altre culture ma piuttosto riconoscendo uno spirito di verità ovunque questo sia presente.

Benedetto XVI, finora l’ultimo filosofo ad esercitare una carica di potere in questo mondo ignavo, ha esercitato e diffuso la propria intelligenza confrontandosi con sodali e avversari, e sembra proprio che fino al momento delle dimissioni non abbia avuto così grande ascendente su un contesto abbagliato da una spettacolarità generale, peraltro ampiamente alimentata anche dal suo predecessore. Infatti, gli stimoli intellettuali dello schivo Ratzinger sono stati raccolti più da quei settori del mondo laico abituati a pensare, che dagli ambiti strettamente confessionali. Wojtyla era un consumato attore, ma le conseguenze del suo operato hanno comportato cambiamenti enormi molto difficili da gestire: smantellare il comunismo è stato quasi facile, ma contenere il capitalismo sembra decisamente più complesso, anche perché il potere finanziario sa bene da chi dipendere. E così, se da una parte riformare banche e burocrazie vaticane appare quasi impossibile, dall’altra il mondo culturale cattolico va avanti per conto proprio: questa è la realtà con cui confrontarsi.

Con una tempistica formidabile, Ratzinger ha previsto che il nuovo pontefice ottenga la nomina per la Pasqua di Resurrezione, ma è pur sempre l’esponente di spicco dell’unica istituzione in grado di ragionare secondo piani millenari. Si è chiamato fuori anche dai cardinali incaricati di scegliere il nuovo erede per l’esercizio del ministero petrino, che inoltre saranno in numero minore rispetto ai 117 previsti in quanto lo scozzese Keith O’Brien ha rinunciato, sollecitato dallo stesso pontefice, in quanto accusato di molestie sessuali. Potrebbe seguirlo in tale decisione anche l’americano Roger Mahony, accusato di aver insabbiato diversi casi di denuncia sui preti pedofili, mentre l’indonesiano Julius Darmaatmadja ha rinunciato per gravi motivi di salute. Per avere un’idea delle tendenze in atto nella Chiesa, Sandro Magister (L’Espresso n.7 a.LIX) formula i nomi dei monsignori italiani Angelo Scola, Francesco Muraglia e Angelo Bagnasco, di Marc Oullett arcivescovo del Québec, e di Luis Antonio Tagle arcivescovo di Manila. Le soluzioni non si esauriscono qui, e i pronostici sono piuttosto difficili, dato che già soltanto nell’ultimo secolo si sono alternate sullo scranno pontificio figure molto diverse. Come oracolo possiamo prendere proprio una frase di Benedetto XVI, citata alla pagina di marzo del Calendario di Frate Indovino 2013: «Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di S. Francesco che, in qualità di simplex e illetteratus, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo, perché egli lo amava di più.»

Da parte sua, l’ottantaseienne Ratzinger, mentre rimediava ad omissioni centenarie santificando i martiri d’Otranto, alle ore 11:47 dell’11 febbraio 2013, data che a detta dell’ufficio stampa vaticano coincide solo casualmente con quella di sottoscrizione dei Patti Lateranensi, ha compiuto un gesto inedito per quanto premeditato e già annunciato da almeno due anni, svolgendolo all’interno di una procedura non ortodossa pur se legittima e convalidata (Codice di Diritto Canonico, Canone 332 comma 2), dichiarando di essere stato «guidato dal Signore». L’anno continua ad essere dedicato alla fede, e lui sarà “Papa Emerito” abilitato ad un abito talare semplice e privo di mantellina, e renderà al collegio cardinalizio l’Anello del Pescatore e il Sigillo di Piombo perché siano distrutti, restituendo la Chiesa a Cristo, o a chi per lui, e affidando le responsabilità della carica ad altri. Nell’ultima udienza a Piazza San Pietro del 27 febbraio ha accennato ai problemi della Chiesa dicendo «le acque erano agitate, il vento contrario e il Signore sembrava dormire»; il giorno successivo, alle ore 20:00 il Vaticano diventa Sede Vacante. Il Collegio Cardinalizio può godere della facoltà di svolgere il Conclave con tempi diversi da quelli previsti grazie alle disposizioni introdotte dal pontefice nel Motu Proprio, che prevede anche interventi contro le intercettazioni ambientali e limita al massimo i contatti dei cardinali con i laici.

Ratzinger nell’omelia precedente aveva già conferma le posizioni di dottrina, trattando del peccato che ostacola la vita ricevuta dall’altro, cosa sicuramente attuale in un mondo dove la grettezza regna ed è di moda fregarsene di ogni cosa. Due giorni dopo l’annuncio di abdicazione nel Mercoledì delle Ceneri ha fatto riferimento alle «divisioni» che «deturpano» il volto della Chiesa, gli scontri e i veleni interni alla Curia relativi alla fuga di notizie e di documenti riservati denominata Vatileaks. Gli intrighi, che hanno coinvolto anche il maggiordomo del papa Paolo Gabriele, prima licenziato e arrestato e poi perdonato dal pontefice e probabilmente a lui fedele, sono stati oggetto di un’inchiesta i cui risultati sono per il momento noti soltanto a Ratzinger e alla commissione composta dai cardinali Juliàn Herranz (giurista insigne ed esponente di spicco dell’Opus Dei), Josef Tomko (prefetto emerito della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli) e Salvatore De Giori (vescovo emerito di Palermo e presidente della Federazione italiana esercizi spirituali). Gli atti saranno comunicati ai cardinali coinvolti nel Conclave, obbligati al segreto sui loro contenuti pena la scomunica, e il nuovo pontefice avrà l’onere inderogabile di compiere le necessarie bonifiche. Alla luce di tutto questo, la decisione di Benedetto XVI rivela un aspetto decisivo di denuncia ed è senza dubbio storica, anche se non tutti sono convinti che alla storia appartenga anche l’ormai ex pontefice, se non per aver interpretato esigenze che altri dovranno sviluppare. Tuttavia, «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti», la storia è adesso.

 

2. Apocatastasi senza pregiudizi

La situazione richiede una ricapitolazione, e occorre anche comprendere il senso del “ricapitolare” anche nel cercare di rimuovere i nodi che legano un passato ancora imperfetto ad un presente piuttosto assente. Nell’impiego retorico, la ricapitolazione è resa dal poco comune anacefaleosi, che si può tradurre anche con apocatastasi, indicando il riepilogo della storia, che comprende la «restaurazione» di tutte le cose in Dio e la «consolazione» della Seconda venuta di Gesù (Atti 3, 20-21). Le due nozioni possono però distinguersi laddove l’apocatastasi riguarda il dissolversi in Dio e quindi nell’universale, mentre l’anacefaleosi riepiloga in Cristo e mantiene attenzione alle vicende individuali.

Tale sottile distinzione, aggiornata da Miguel de Unamuno (Il sentimento tragico della vita, 1913) confrontando tra loro protestantesimo e cattolicesimo, fa riferimento ad una dottrina che, per quanto condannata dal II concilio di Costantinopoli (553), è centrale in un teologo decisivo nella definizione dei testi canonici quale Origene (185-253), a sua volta condannato dalla Chiesa per la particolare escatologia comportata dall’apocatastasi, secondo cui tutte le anime torneranno in Dio cosi come preesistevano in lui. Dove gli scritti relativi a questi argomenti sono stati distrutti dalle autorità ecclesiastiche, possiamo però ipotizzare una loro preesistenza: così, le idee che contenevano possono esserci restituite e quindi venir restaurate proprio dal nostro pensiero.

Cerchiamo di ottenere il senso del nostro presente mantenendo attenzione agli aspetti peculiari di tale vicenda, e ricapitoliamo in tre semplici punti dal sapore sillogistico un aspetto dell’abdicazione di papa Ratzinger che sembra piuttosto decisivo:
1) Benedetto XVI voleva riformare la Chiesa e ripulirla da “sporcizia e delitti” (parole sue);
2) la sua azione è rimasta piuttosto isolata nella cricca vaticana, ed è stato isolato lui stesso;
3) abdicando dalla carica mette in crisi curia, gerarchie e gruppi prevalenti.
L’obiettivo «di fare pulizia» dichiarato dal timido ma severo pontefice potrebbe essere facilitato proprio dal suo gesto: l’ormai proverbiale “infallibilità” (concetto peraltro piuttosto recente, nato con l’unità d’Italia) s’incontrerebbe con una più moderna “lateralità”, e quindi con il modo di risolvere problemi attraverso soluzioni originali.

Ricapitoliamo ancora e facciamo le dovute somme, sempre parziali, ma non per questo da buttar via. Con autentica spregiudicatezza, che vuol dire semplicemente assenza di pregiudizio, facciamo i conti con il momento più controverso della Chiesa contemporanea, che si può riassumere nel caso Calvi; alcuni passaggi sono stati evidenziati da Sandro Provvisionato in Misteri d’Italia (1993), mentre una ricostruzione dettagliata è offerta da Ferruccio Pinotti in Poteri forti (2005). Alla luce di dati disponibili all’intelligenza di chiunque, si può serenamente riconoscere che l’alleanza tra Vaticano e CIA in funzione anticomunista, che ha caratterizzato il fronte occidentale della guerra fredda, abbia conosciuto la sua incandescenza nella gestione da parte di mons. Paul Marcinkus dello IOR (Istituto Opere di Religione), banca vaticana indipendente tanto dai ministeri economici italiani quanto dalla Banca Centrale del Vaticano, che prende tale nome e autonoma personalità giuridica con Pio XII nel 1942, fornendo da subito sbocchi finanziari a fascisti, nazisti, aristocrazia e mafia.

Se le attività di Marcinkus non erano gradite a Giovanni Paolo I, morto nel 1978 dopo soli trentatré giorni di pontificato, lo IOR diventa parte integrante di numerosi programmi per il riciclaggio del denaro che coinvolgono in diverso modo interessi collegati alla mafia, a membri della P2, a strutture eversive come la banda della Magliana, nonché a tutto l’arco dei partiti costituzionali. Mentre si registra il coinvolgimento di personaggi come Michele Sindona (potente bancario attivo tra Vaticano, America e “poteri occulti”, che dopo la liquidazione forzata della Banca Privata Italiana muore nel 1979 in carcere per un caffè al cianuro), Pavel Hnilica (vescovo gesuita slovacco noto come “papa rosso”, collegato al KGB e poi alla mafia), e Licio Gelli (capo della loggia massonica deviata P2 che sta approntando il Piano di rinascita democratica finalizzato a controllare il paese), il Banco Ambrosiano, del quale Marcinkus era stato direttore a Nassau e alle Bahamas, sotto la direzione di Roberto Calvi, prende il controllo degli affari bancari, e numerose società fantasma dirette dallo IOR a Panama e nel Lussemburgo fungono da canale sotterraneo per il flusso di fondi verso e organizzazioni anticomuniste quali Solidarnosc in Polonia e i Contras in Nicaragua.

Come segnala Samuel Huntington, il traffico d’armi verso i paesi del Sud America e dell’ex Jugoslavia (Croazia) ottiene la copertura dell’Opus Dei, specie di multinazionale cattolica di estrazione franchista già coinvolta nelle fosse comuni delle Asturie e nel Cile di Pinochet, che inoltre nel 1982 assurge a prelatura personale di Giovanni Paolo II dopo l’attentato di Alì Agca. Secondo Ferdinando Imposimato (Vaticano un affare di stato, 2003), l’attentato era finalizzato ad ostacolare per conto del KGB le offensive anticomuniste vaticane e contestualmente ad allontanare la Turchia dalla NATO in modo da portare il medioriente nella sfera sovietica; la giovane Emanuela Orlandi, figlia di un commesso del Palazzo Apostolico viene rapita nel 1983 proprio per sostenere l’attentatore turco e ricattare il Vaticano.

Roberto Calvi è arrestato nel 1981 per esportazione illecita di capitali, un sistema che permette di fare soldi dal niente attraverso continue compravendite tra società fittizie; se le questioni connesse arrivano fino alle vicende del Conto protezione e all’incriminazione nel 1993 del politico socialista Craxi per tangenti, i costosissimi errori di calcolo attribuiti a Calvi rivelano le macchinazioni finanziarie dello IOR. Il banchiere del Vaticano, prima incarcerato e poi indotto a fuggire, nel 1982 viene ritrovato impiccato a Londra sotto il ponte dei Blackfriars con dei sassi in tasca; lo stesso anno il Banco Ambrosiano chiude con un un buco di circa 1,3 miliardi di dollari: è il maggiore dissesto finanziario mai registrato fino ad allora.

Dopo lunga e contraddittoria epopea giudiziaria, nel 2007 l’ultimo processo sul caso Calvi ha stabilito che il “finanziere di Dio” sia stato ucciso, pur senza riuscire ad individuare un colpevole, anche perché sono davvero in molti tra Vaticano, mafia, massoneria e loggia P2, che potrebbero aver avuto interesse a compierlo (Philip Willan, Delitto Calvi senza verità, «Internazionale» 697, 15.05.2007; The last supper, 2007). Ricapitolando, senza i soldi dello IOR manovrati da Marcinkus e Calvi il comunismo non sarebbe caduto, le violenze sarebbero state minori e il pensiero unico non avrebbe illuso la popolazione mondiale. Il tanto osannato e iper-presenzialista Giovanni Paolo II, il quale non era riuscito nemmeno ad ottenere i nomi dei correntisti dello IOR, si è poi rifiutato di occuparsi del riciclaggio di denaro, e infine non ha fatto nulla per riformare la burocrazia vaticana.

L’avvocato californiano Jonathan Levy, che sta cercando di ottenere la restituzione di beni appartenuti ai nazisti e agli ustascia croati riciclati dalla banca vaticana, accorpando a questo altri casi di truffe finanziarie e abusi sessuali, ricapitola il tutto facendoci sapere qualcosa che è doveroso conoscere: «L’opinione pubblica non ha ancora messo assieme le tessere del mosaico, ma bisogna far sapere a tutti che il Vaticano, assieme a figure di alto spessore morale, è diventato anche un porto franco per truffatori, pedofili e avventurieri corrotti dalla finanza internazionale. Quando chiediamo l’accorpamento di casi connessi tra di loro e anche un pronunciamento urgente sull’immunità del Vaticano, stiamo di fatto dando una mano a quella parte di clero che è onesta ed è interessata a risolvere una situazione così imbarazzante.»

L’ultimo atto del lungo e influente pontificato di Wojtyla, quasi sicuramente dovuto agli uffici viste le terribili condizioni di salute che ne hanno segnato gli ultimi anni, è consistito nella secretazione dei documenti dell’archivio vaticano. Insomma, la sua eredità è molto meno rosea di quanto l’ipocrisia del “santo subito” possa far credere: forse, i santi dei nostri giorni sarebbe meglio cercarli altrove. E se probabilmente il comunismo non era un granché, il suo crollo non è stato certo un “miracolo”: oltre l’ex cortina di ferro le popolazioni stanno ancora a contare i morti dei vari conflitti e stanno peggio di quando stavano male; inoltre, mentre continuano a restare in piedi le vecchie burocrazie con tutte le loro magagne, se c’è qualche vantaggio questo dipende da alcune buone eredità del socialismo reale. Ovunque, la caduta di un’autentica alternativa ha reso le persone piatte e inerti, in preda a desideri di riconoscimento spesso banali e soprattutto pronti a capovolgersi in pulsioni distruttive pericolose quanto insulse. Sembra così essere negata proprio quella capacità di rigenerazione che il messaggio cristiano dovrebbe implicare.

Le élite vaticane perseverano imperterrite nell’ipocrisia, il gregge dei fedeli continua a pascolare ignavo: difficile negare che così sia. Forse, l’abidcazione di Ratiznger potrà permettere finalmente di fare chiarezza su un rilevante groviglio di vicende, e alla luce di tutto questo, il papa non ha soltanto dato dignità al vecchio adagio «Non ja faccio più»: l’ipotesi per cui abbia mollato per permettere più efficacia ai suoi effettivi intenti di pulizia è piuttosto realistica. Peraltro, svolgere un compito attraverso le circostanze date rinnova semplicemente l’osservanza di quella necessità a base contingente che rappresenta la configurazione concettuale tipica del cattolicesimo.

 

3. Forme del cattolicesimo culturale

Il pontefice, per quanto ne possiamo sapere, ha detto di aver rinunciato liberamente al suo ufficio per il «bene della Chiesa», qualunque cosa possa significare, e ha in maniera evidente rispettato le forme giuridiche dell’istituzione ecclesiastica pur se abdicando si è posto in discontinuità con ogni ordinaria celebrazione. I termini della questione si inquadrano nel rapporto storico della civitas humana con il Dio incarnato, a suo tempo individuato da Carl Schmitt (Cattolicesimo romano e forma politica, 1923) in questi termini: se le istituzioni ecclesiastiche oscillano tra rigidità e opportunismo, la mentalità cattolica odierna si situa tra logica giuridica e insoddisfazione dell’apologetica tradizionale. È tale tensione a conferire alla cultura cattolica il proprio pluralismo, spiccato per quanto non sempre coerente.

Oggi la mentalità evidenziata da Schmitt arriva a riguardare perfino il comportamento della più alta carica della Chiesa, riconducendo con forza la sua posizione al «partecipe distacco» che Mario Perniola (Del sentire cattolico, 2001) riconosce come tipico del cattolicesimo culturale. L’aspetto decisivo è che il pontefice viene ad assimilarsi a chiunque nel mondo cattolico esprima perplessità, se non piena indifferenza, rispetto a ruoli e uffici: forse, un tipo di indifferenza che un grande pensatore come Ignazio da Loyola non disdegnerebbe affatto, laddove riguardi soprattutto la propria presunta “identità” e sappia aprire al confronto con la realtà. Credo siano molti, anche perché sentirsi rappresentati da preti pedofili, finanzieri spietati, congreghe dagli intenti e composizioni poco chiare come Opus Dei e Comunione e Liberazione, e via cantando, ci vuole un pelo sullo stomaco che tante brave persone non hanno e nemmeno vogliono.

La circostanza diventa così indice del fatto che i rapporti tra religioso, laico, ortodosso ed eterodosso potrebbero definitivamente giocarsi sul discrimine di un diverso senso di responsabilità verso il mondo, finalmente meno vuoto, convenzionale e bigotto e davvero universale, ricco e vario. Occorre pertanto rileggere codici, compiti e ruoli, e segnalare la presenza di mutamenti rilevanti che potrebbero permettere alla cultura di matrice cattolica di individuare un’effettiva alternativa al dominante culto del denaro. Tutto il nostro laico scetticismo potrà comunque essere tranquillamente salvaguardato, perché non è affatto detto che tutto ciò accada e sarà sicuramente una particolare combinazione di caos e provvidenza a fare il lavoro sporco. E di fatto, allo stesso Ratzinger non è stato permesso di intervenire nello IOR, su cui dal 2010 indaga la procura di Roma e che continua a mietere scandali, dall’estromissione del presidente Ettore Gotti Tedeschi nel 2012 fino alla recente questione del buco finanziario della Banca Antonveneta, i cui coinvolgimenti nel mondo clericale sono piuttosto estesi.

Intanto, possiamo immaginare er sor Ratzinger a spasso per Roma a fare incetta di libri e spartiti, intento nelle sue stanze vaticane o in quelle di Castel Gandolfo a scrivere e a suonare felice, senza più rotture di coglioni, impegnato a «servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio», facendo a meno dell’occhio invadente delle telecamere. Possiamo anche figurarcelo a citare, oltre ai testi sacri, anche il personaggio interpretato da Michel Piccoli nel film di Nanni Moretti Habemus Papam (2011), denunciando così qualche «deficit di accudimento» relativo carriere frustrate ed esprimere il desiderio di scomparire dal mondo senza che nessuno sappia chi sia. Ovviamente, sarà tuttora fiero, così come molti dovrebbero, di appartenere ad una cultura che anche in un periodo controverso come quello della Controriforma è stata in grado di esprimere eccellenze che, pur meditando sulla morte, si sono ampiamente votate alla vita.

Infatti, S. Giovanni della Croce aveva formulato un atteggiamento capace di attraversare ogni «notte oscura», addirittura riconoscendo l’angoscia come segno di elezione ed elevazione; con un atteggiamento opposto, S. Ignazio da Loyola aveva invece espresso un pensiero capace di forte confronto con il mondo ponendo l’accento sulla gioia piuttosto che sulla mortificazione. Tuttavia, troppi esponenti ufficiali ostentano una tronfia mediocrità e molti persone di cultura cattolica sono costrette a provare soltanto vergogna. Non soltanto si svaluta la vita terrena, ma anche un’eredità immensa, mentre in tanti si accontentano di mode spiritualeggianti brick-a-brack a volte ridicole, alla mercé del mercantilismo e dello scientismo più biechi e, sopravvalutando l’effimero, dimostrano davvero di essere in preda ad un cieco e furibondo «odio di sé».

L’ultima espressione ricorre anche nello scritto Europa. I suoi fondamenti spirituali (2004), dove Joseph Ratzinger svolge diversi passaggi interessanti sull’«incondizionatezza della dignità umana» e sul «richiamo della multiculturalità a rientrare in se stessi»; rispetto ad altri contenuti, ci sarebbe da ridire, in quanto non possiamo più avere conoscenze di seconda mano riguardo Ebraismo e Islam, anche perché i musulmani affidano a Cristo addirittura la gestione del Giudizio Universale, mentre presso gli Ebrei il Messia dei cristiani ha conosciuto la nascita e formazione, proprio mentre da noi si bestemmia per farsi due risate e si crede che Gesù sia nato in una mangiatoia e basta. Sulla dottrina sociale, da bravo tedesco, sostanzialmente concorda con la socialdemocrazia: potrebbe ora anche assumere l’incarico della Merkel, per restituirci quella Sonderweg (via diversa) mai espressasi nei suoi potenziali migliori e attualmente piuttosto appannata; sul fatto che possa mettersi a capo dei nostri saltimbanchi politici, incapaci anche di permettere ad un governo di essere eletto, non scherziamoci neppure, perché forse non sarebbe per nulla la prospettiva peggiore.

L’auspicio finale di questo testo di Ratzinger sembra proprio l’aspetto ancora più disatteso: non sembra affatto che i cattolici confessionali costituiscano una «minoranza creativa» alla Toynbee, in grado quindi di fornire guida ai destini di una società. E questo è un autentico peccato, perché nel cattolicesimo ci sono potenziali in grado di condurre oltre la crisi attuale e così metterci al riparo da troppe assurde pretese. Tra questi, è cruciale il concetto di corpo vissuto, concepito quale segno divino e testimonianza della storia, il quale permette di articolare il vecchio dualismo tra materia e spirito su una base di integrazione reciproca. Un corpo capace di accettare gioiosamente il proprio sentire con tutti i propri limiti non incorrerebbe mai in follie quali voler fare l’atleta senza avere le gambe e poi uccidere la propria compagna il giorno di S. Valentino, come sembra altamente probabile potersi dire del sudafricano Pistorius, il cui caso è esploso in tutte le sue implicazioni pochissimi giorni dopo l’annuncio di abdicazione del papa. Se ci sono modi sicuramente meno violenti e paranoidi di trasformare un handicap in vantaggio, vivere oltre le proprie possibilità non è più possibile, è sempre stato sbagliato, ed è ora di farla finita: al di là dei casi esemplari, è questo un problema sociale da affrontare finalmente con estrema chiarezza.

Secondo un vecchio detto, che fa comprendere l’importanza e la rarità dell’evento, quando un Ebreo si converte al cristianesimo si ripete il miracolo di Cristo. Così, possiamo dire anche che l’allontanamento vile e bieco che sappiamo essersi compiuto nei confronti di Simone Weil si ripete ogni volta che una persona onesta è schifata dalla Chiesa: succede ogni giorno, chissà quante volte, e capirne la gravità non è poi così difficile. Se ciò che accade va accettato come necessità, occorre anche fare i conti con il fatto che la Chiesa adempie piuttosto malamente ai propri doveri e, mentre persevera nella corruzione che gli procura ricchezza e potere, allontana da sé chi tiene ancora in considerazione una certa decenza, il quale si sente magari costretto anche a buttare via fede, speranza e carità in scemenze demagogiche. Forse, per raccogliere l’eredità di un’universalità potenzialmente capace di «contenere in sè tutte le vocazioni» (Simone Weil) è necessaria la lucidità dei laici e addirittura anche quella degli atei: infatti, se stiamo ad aspettare i comodi della Chiesa e la pigrizia dei fedeli, e lo dico alla romana, papale papale, mi sa propio che so’ cazzi!

 

4. Andiamo in pace

Non può essere sottovalutato che se tutti noi, almeno un po’, odiamo noi stessi, è anche grazie all’istituzione ecclesiastica, che ha continuamente generato la disposizione a credere a cose che non si comprendono e ha poi pure mancato di agire con giustizia. Forse, dovremmo continuare a guardare ai nostri errori e alle nostre travi, ricordando anche di non gettare le perle ai porci (Matteo 7, 3-6): così, senza nessuna falsa generosità, occorre riconoscere le colpe della Chiesa senza concederle sconto alcuno, ma occorre pure evitare di fermarsi a ciò: sarebbe davvero troppo facile, senza considerare che laddove è parte della nostra cultura, vederla esclusivamente nei suoi aspetti peggiori ci impoverisce.

In momenti particolarmente drammatici, Carl G. Jung (Commenti sulla storia contemporanea, 1945) ricordava che la Chiesa, l’unica istituzione capace di educare le masse, dovrebbe impegnarsi ad affinare i propri strumenti e permettere che la fede completi la comprensione e non viceversa, in modo da raggiungere le persone di cultura e continuare nell’opera di ispirare e migliorare ogni singolo individuo. Oggi, mentre al dominio della politica è succeduto quello della comunicazione, le masse sembrano troppo presuntuose per riconoscere l’esigenza di un’autentica educazione, gli uomini colti sono privi di effettiva influenza, ogni individuo è sprovvisto di difese nei confronti della continua catastrofe collettiva: occorre quindi che lo sforzo indicato da Jung venga definitivamente compiuto e la Chiesa, per poco che possa ormai valere, raccolga tutte le sfide, rinnovando la capacità di evocare immagini di luce e di contenere il male degli uomini, laddove davvero intenda essere degna del millenario compito di giustiziale che le sarebbe stato attribuito. A richiederlo è un mondo stanco di essere sfruttato, del quale qualcuno dovrebbe finalmente prendersi cura.

Tali questioni riguardano fortemente l’Italia, che vive una tensione essenziale tra mentalità collettiva e religione di stato per la quale è piuttosto rilevante la continuità tra politico e religioso, e riguardano inoltre un mondo cattolico che comprende più di un miliardo di persone distribuite su tutti i continenti, Africa e Sud America in testa. Occorre poi anche prendere atto che la compiuta secolarizzazione dell’Occidente non comporta necessariamente l’annullamento degli elementi base della fede: piuttosto, possiamo osservare un processo per cui le verità trascendenti diventano immanenti alla realtà. Infatti, molte persone non si sposano, ma vivono l’unione come atto sacrale pur rimanendo “fidanzati” a vita; molte persone non vanno a messa, eppure permettono alle feste di santificarsi da sé e vanno come possono incontro al divino, riscoprendo persino il Natale senza preoccuparsi troppo che “quest’anno non si sente”.

I concetti cattolici sono rintracciabili in numerosi campi della vita sociale e non comporta affatto disprezzo della religione osservare come nel mondo secolare della presunta laicità si siano trasmesse, a volte anche degradandosi, alcune sue componenti, delle quali possiamo osservare la straordinaria rilevanza concettuale. L’influenza deleteria del cattolicesimo si può riscontrare proprio laddove falliscono oppure si corrompono i suoi concetti e dispositivi culturali più efficaci: se è evidente come anche il perdono si riduce troppo spesso a bieca connivenza e “tiramo a campa’”, analizziamo il ruolo che nella società secolare possono avere transustanziazione e liturgia.

Riguardo alla prima, Jacques Deridda in …soprattutto niente giornalisti! (2005) ne ha analizzato il ruolo nel mondo dei media: la transunstanzazione, per cui il corpo di Cristo è presente nell’ostia, piuttosto che realizzare il dono di sé più alto e dare immagine concreta all’evangelico “non si vive di solo pane” (Matteo 4, 4), secondo il filosofo diventa l’ostentazione continua di un evento irrealizzabile e autofagocitante: infatti, nelle forme culturali del presente, la “buona novella” si tramuta nella “notizia” sempre nuova e per questo sempre da rinnovare attraverso nuove notizie, in una produzione incessante di spettacolo; ciò può anche aiutare a comprendere come un culto delle immagini male inteso possa aver condotto ad una diffusa idolatria. Della liturgia ne tratta Giorgio Agamben in Archeologia dell’ufficio (2011) evidenziando il carico d’impersonalità e universalità di cui un officiante è reso degno; mi discosto dalla sua lettura per trarre mie conclusioni, laddove il concetto arriva a trasformarsi nelle pratiche istituzionali contemporanee nell’impunità dei potenti, favorendo, oltre all’arbitrio di chi ha una carica, un lecchinaggio indegno e spudorato piuttosto diffuso; in tale ambito, i servi sanno essere peggiori di padroni già pessimi, ipocritamente tronfi per la dignità del loro ufficio, santi già prima di morire.

Queste sponde critiche, che filosofi di matrice ebraica articolano da concetti cattolici, possono ovviamente riguardare credenti e non, ma forse questi ultimi possono riceverle a mente maggiormente sgombra, laddove chi crede spesso sfoggia un repertorio di equivoci grotteschi e anche divertenti, come ha evidenziato Maurizio Ferraris in Babbo Natale, Gesù Adulto (2006). Insomma, credere non basta, occorre conoscere, e se la fede spesso è stata confusa con la creduloneria facendo davvero brutti scherzi, oggi sembra evidente che l’atteggiamento dogmatico si eserciti da parte di chiunque in maniera piuttosto triste nei confronti di questioni infinitamente meno ricche di stimoli della verginità di Maria o della Trinità, costrutti complessi elaborati dal Cristianesimo sulla base di tradizioni ancora più antiche. Infatti, come insegnava un vecchio adagio nazista, si crede a qualsiasi cosa l’opinione pubblica ripeta per un sufficiente numero di volte, e questa evenienza può riguardare anche argomenti ordinariamente considerati progressisti quali gli omomatrimoni, che potrebbero probabilmente rappresentare una questione male impostata dovuta al vizio contemporaneo di legiferare su tutto.

Infatti, persino un deista libertino tremendamente lucido come Voltaire considererebbe il riconoscimento delle nozze tra congeneri quali un suicidio collettivo: sul Dizionario filosofico (1764-1769), insieme a critiche alla religione che in molti casi nessuno davvero in ‘buona fede’ può più trascurare, trattando l’«Amore cosiddetto socratico», lo definisce «distruttore del genere umano se divenisse universale».  Lo spregiudicato avversario di ogni oscurantismo, riconoscendo senza preconcetti l’omosessualità come «naturale», addirittura ne elogia l’attitudine per il suo essere propria dei «cuori inesperti» e della «cieca gioventù» e fornisce anche una chiave non moralistica per affrontare alcuni aspetti del grave problema della pedofilia; soprattutto, costringe a chiederci cosa significhi davvero diritto laddove non esita ad usare la parola «infame» nei riguardi di una possibile formulazione giuridica di «usanze vergognose» che, per quanto siano diffuse, in nessuna nazione civile sono mai state contemplate come oggetto di legge. Lo dice Voltaire, uno che acutamente mette in discussione ogni superstizione dei suoi e nostri tempi, donando all’intelligenza la possibilità di esercitarsi e riflettere, qualora se ne avesse veramente voglia.

Il gesto del papa può così fornire al mondo cattolico, molto più ampio di un’istituzione la cui torbidità è talmente proverbiale da non scandalizzare nessuno, lo stimolo sull’opportunità di una sua necessaria ricontestualizzazione, esplicitando quella possibilità di essere «ricettacolo universale» dell’esperienza che abbiamo visto già individuata da Simone Weil. Uno per uno e tutti insieme, religiosi, laici, indecisi e atei, occorre rispondere alle responsabilità più autentiche, che magari non sono dirette alla dottrina o all’istituzione, ma alla piena definizione, come suggerisce Perniola, della «possibilità di un’esperienza specifica suscettibile di universalizzazione», capace di conciliare equilibrio individuale ed efficacia mondana. In fondo, come ci segnala Slavoj Žižek in Il cuore perverso del cristianesimo (2006), Dio si è dimesso da un pezzo, da quando Cristo è morto in croce da solo! Colui che è stato chiamato figlio suo ha sofferto in una maniera insensata, e nel momento più drammatico è rimasto completamente solo: quindi, se ora il suo vicario molla perché afferma di non avere più le forze per compiere il proprio ministero «tanto con le opere e le parole, quanto soffrendo e pregando», sono affari suoi, va tutto bene.

Se il gregge si sente solo, smarrito e in contraddizione, forse sta soltanto crescendo: sarebbe poi pure ora che non sia più composto da pecorelle. Piuttosto, visto che effettivamente il nostro momento storico comporta scelte enormemente difficili per gli uomini, occorre preoccuparsi di guarire le ferite di un futuro incerto, così come ognuno può essere in grado di fare. Tocca a noi. Andiamo in pace.

Fotografia: Claudio Comandini, “Sulle spalle il mondo” – Frascati – Villa Aldobrandini, aprile 2008.

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