Lacrime e barche. Sanremo e la politica

Il Festival di Sanremo da specchio del costume a modello della classe politica. Digressione sull’essere datati oggi. Esempi eccellenti dall’edizione 2010. Cantanti, politici e verità. Bersani, Orietta Berti e l’eredità della DC. La Boniver, Bobby Solo e le lacrime d’amore. Osceni triangolazioni tra Bersani, Boniver, Berlusconi e Craxi. Cronistoria di canzoni e di governi. Gli auspici del Sanremo 2013, il panico di Crozza, l’ammucchiata dei candidati. Il ruolo di twitter tra politica e clamore. Le cantonate di Domenico De Masi. Salvatore Quasimodo e il sonno mentale. Un appunto di Giorgio Colli. Toto Cotugno e l’Armata Rossa contro l’oppressore.

 

Non stupisce forse più nessuno la considerazione che il Festival di Sanremo sia «specchio fedele del costume italiano», come recitava Gianni Borgna in La grande illusione (1980); tuttavia, forse si fatica ancora a rendersi conto di come rappresenti un preciso modello di riferimento per la spettacolarissima classe politica del paese. Per esplicare tale tesi, farò inizialmente riferimento a testimonianze eccellenti raccolte durante l’edizione del 2010, la sessantesima e particolarmente fischiata, per poi analizzare alcuni elementi dell’edizione del 2013, per certi aspetti atipica pur se piuttosto riuscita: non parlerò affatto di vincitori, e farò anche un po’ di storia. E anche se qualche fanatico dell’attualità potrebbe considerare inadeguati i riferimenti al passato, le sole canzoni con cui ci confronteremo saranno particolarmente datate: per essere precisi, saranno dei classici. In fondo, sono datati anche i nostri politici, che proprio “classici” non sono, ed è datata la stessa pretesa dell’attualità di risolvere tutto in un presente privo di residui. Ma bando alle riflessioni, e spazio alle ciance!

Per quanto possano essere piuttosto indicative, scavalchiamo ridicolaggini quali l’abbinamento dei cantanti in gara al festival ai candidati in lizza per le primarie del PD, a cui diede spazio Yuodem TV nell’anno di grazia 2010, e cerchiamo di cogliere qualche verità dalle parole dei politici: l’impresa è meno ingrata di quanto si possa pensare. Bersani che va al festival dichiarando «mi piace la musica» (e magari gli piace tutta, anche se afferma con solennità che «ognuno ha i suoi gusti»…), e cita Orietta Berti dedicando a Berlusconi Finché la barca va, denuncia sostanzialmente una parentela piuttosto diretta tra la vecchia buonanima della Democrazia Cristiana e il cosiddetto Partito delle Libertà, ed una loro spiccata somiglianza attitudinale. Tale considerazione non è nuova ai meno distratti, su di essa si potrebbe abbondantemente disquisire (peraltro molti gli ex DC anche in casa PD), ma forse sfugge allo spettatore medio del festival, il quale potrebbe risultarne anche scioccato: e ciò non sta bene, egli deve dormire tranquillo.

Invece la Boniver in quota PdL, che davanti alle telecamere canticchia canzoni (di cui non conosce né il titolo né l’autore…) e che ribatte al segretario dei PD dedicandogli in esclusiva Una lacrima sul viso, dietro l’apparente dileggio rivela ben più di un lapsus. Infatti, come forse sanno tutti gli appassionati di musica leggera, la lacrima sul viso che commosse Bobby Solo (e Mogol che scrisse il testo), era quella di una ragazza innamorata, a cui lui poi, dopo aver «capito molte cose», si dichiarò senza più riserve.

Quindi, è lecito chiedersi: in questa triangolazione di rapporti, chi sarebbe innamorato di chi? Qual è il «miracolo d’amore» che qualcuno si ostina a tenere nascosto? Proviamo ad avanzare alcune ipotesi, aiutandoci con qualche rudimento di psicologia e restando rigorosamente all’interno del contenuto della dichiarazione ufficiale della popolare pasionaria di estrazione socialista.

L’attacco è diretto a scoprire una realtà effettiva, e quindi Bersani sarebbe in realtà innamorato di Berlusconi? Questo spiegherebbe l’incerta opposizione che travaglia la cosiddetta sinistra, innamorata e quindi fondamentalmente in ostaggio di colui che si ostina erroneamente a dichiarare come nemico. Invece, sarebbe Berlusconi ad essere innamorato di Bersani? Nessuno scandalo, la nota voracità sessuale del presidente del Consiglio ha già mostrato di peggio. L’accusa rivela in realtà una dinamica di tipo proiettivo? Quindi, la Boniver potrebbe essere innamorata di Bersani? Ci troveremmo di fronte ad una nostalgia dei vecchi tempi in cui ex-socialisti ed ex-comunisti facevano casa comune: epoca che appartiene non all’esperienza diretta dei soggetti in questione, ma alla loro, chiamiamola così, storia familiare, che comunque un peso lo ha anche nelle scelte affettive compiute per impulso. Oppure, l’oggetto del sentimento della dolce Margherita è proprio il rubacuori Berlusconi, politicamente a lei molto prossimo? Si tratterebbe di un caso tipico di spostamento della libido, che si muoverebbe leggermente dal caro indimenticabile Bettino al suo protetto di un tempo Silvio: si tratterebbe poi anche di un modo per non disperdere l’eredità craxiana le cui ipoteche, dopo dieci anni di aspettative più o meno dichiarate, stanno per scadere.

L’aspetto interessante è che le diverse ipotesi possono benissimo convivere. Tutto ciò getta uno spiraglio inquietante sulle promiscue relazioni interne alla discutibile classe politica italiana, fornisce un segnale evidente di quanto l’ignoranza unita al pessimo gusto siano diffusi, e ci lascia anche la poco consolante certezza che gli abomini musicali di Sanremo non siano fini a se stessi.

Giova segnalare che Bobby Solo, il primo a esibirsi in playback al Sanremo nel 1964 – l’anno dei due primi governi Moro di centro sinistra, che fallirono la realizzazione del programma di riforme sociali propugnato dai socialisti – proprio con la canzone ricordata (che non vinse), nel 2006 fu candidato con l’UDEUR alla Camera dei Deputati (non fu eletto); cantò comunque a Montecitorio proprio Una lacrima sul viso il giorno dell’insediamento di Bertinotti come Presidente della Camera su richiesta di Clemente Mastella (non è uno scherzo, si vogliono bene davvero). Balzando all’alba degli anni ’80, mentre il paese testimoniava un’inflazione da terzo mondo (21,7%) e si scopriva con grande scalpore il complotto della loggia massonica deviata P2 (poi riuscito), la Berti stessa tornò sul suo motivetto di undici anni prima (Finché la barca va con Sanremo non c’entra niente, ma ottenne il terzo posto a Un disco per l’estate 1970), e senza lacrime, tristezze e nostalgie, ma cosciente, nel suo piccolo, che la strategia della sopravvivenza non avrebbe portato il paese molto lontano, cantò al Sanremo 1981: «porca miseria qui la barca non va più». Da allora non abbiamo più smesso di andare a fondo.

Potremmo considerare che se cadrà Sanremo e un certo modo di fare musica, finirà anche una certa politica, o viceversa. O forse, cambierà Sanremo e tutto il resto gli verrà dietro. Se tutto ciò non è dato saperlo, l’edizione 2013 sembra venire incontro a più di qualche auspicio, testimoniando cambiamenti enormi, dagli esiti non del tutto prevedibili. E dopo trent’anni e passa, la tesi centrale della lettura gramsciana proposta da Borgna risulta ancora più attuale, mentre decadono anche alcune critiche dettate dalle contingenze di discoteche et similia. Di fatto, il festival, a parte alcune canzoni orrende quasi per forza (e forse è solo l’immenso Elio a regalare spunti egregi), non è sembrato per niente «un reperto archeologico»: anzi, sono costretto a dire, come non ho detto mai, che questo è un bel Sanremo.

Infatti, ho apprezzato conduttori (la stramba e furbissima coppia post-umanista Fazio-Littizzetto), schema (due canzoni per uno non fanno male a nessuno), e varie trovate (però sul matrimonio gay non è che mi convincono con due cartelli). Crozza che prosegue nella sua satira politica eterodirezionale nonostante il panico provocatagli dai franchi tiratori presenti in platea fornisce stimoli per non credere nell’ennesima patetica campagna elettorale.

Peraltro, in questa tornata, i rapporti sono più intricati che mai: Monti corteggiato da sinistra guarda a destra, gli esponenti della destra sono divisi in casa però si scambiano malizie, il clown Berlusconi accusa delle medesime paturnie populiste di cui è focolaio il collega Grillo che da parte sua attinge voti a sinistra ma anche a destra, e mentre Bersani è sempre più democristianamente informe, Casini troneggia come il piccolo grande feudatario del suocero costruttore Caltagirone, e Ingroia si promuove quale buon rappresentante di classe. Tutti insieme oscenamente, pronti ad invertire ognuna delle proprie già contorte relazioni e, soprattutto, impegnati ad affondare ancora di più una barca che ormai naviga solo sulle sue lacrime.

Tra gli autori di Sanremo, già tempio del consenso, troviamo ora il lucido e critico Michele Serra, che fra i tanti miracoli di concisione e lucidità ha espresso a più riprese le sue riserve nei confronti della diffusa sbornia da social network: quando ha dichiarato di non apprezzare twitter, potete immaginare le reazioni degli sbronzi. Pure a me ‘sto Twitter, come anche Facebook, non fa impazzire per niente, anche se gli amici mi dicono che dovrei aprire dei cavolo di account perché a dir loro andrei forte. Per scafarmi un po’, ho seguito la prima serata del festival, io che la televisione l’ho cacciata da casa da un pezzo, anche attraverso la lettura di numerossimi cinquettii di 140 caratteri, e ho constatato che i «milioni di persone che scendono in piazza ognuna urlante un commento» di cui in un brillante articolo parla Giovanni Scrofani sono realtà.

Peccato però che la maggior parte degli utenti sappiano urlare povere inutili stronzate nemmeno tanto spiritose, di cui addirittura non ne ricordo nemmeno una. Twitter può rappresentare un elemento di raccordo decisivo, ma rispetto a cosa? Esemplifica una tendenza alla sintesi, alla rapidità e all’efficacia del linguaggio, ma per chi? Insomma, contro le vulgate dell’evangelismo dei media, occorre ormai che un messaggio, se c’è, trascenda i mezzi che attraversa, i quali vanno usati con somma discrezione: di fatto, più ce ne sono e meno si comunica.

L’inconsistenza mediatica continua ovviamente ad essere testimoniata anche nel suo luogo più liturgico, la televisione, e infatti nel dopo festival il pop-sociologo Domenico De Masi, consegnato all’immortalità per la cantonata sull’«ozio creativo» quale dimensione lavorativa delle società post-industriale, per darsi ulteriormente un tono, si è inventato la creativissima oziosa boiata che Sanremo da sempre sia qualcosa tipo «la vetrina dell’avanguardia», capace di anticipare stili e tendenze: qualcuno capace di guardare avanti ogni tanto all’Ariston capiterà pure, ma è anche successo che si è dovuto ammazzare per farsi sentire.

Tuttavia, a testimonianza della chiarezza di visione di Salvatore Quasimodo, e nonostante felici stagioni musicali ormai archiviate da un pezzo, ancora oggi nessuna vera intelligenza è generalmente richiesta ad una canzone, mentre lo «sdrucciolevole simbolismo beat» a cui faceva riferimento il poeta è confluito nei sogni del Sessantotto e, dove questi hanno poi tradito se stessi, il «sonno mentale dell’italiano medio» ha trovato nuovi modi per propagarsi.

In questo sonno profondo, trova spazio anche il clamore twitteriano, sicuramente molto trendy e dagli effetti spesso orrendi, piuttosto congeniale ai politici più arroganti e presenzialisti e a chi deve raccontare a tutti cosa fa anche quando va al bagno. Trovano perfetta aderenza le seguenti simpatiche parole: «la nostra epoca non è peggiore di quelle passate (ma neppure migliore). La cosa noiosa è che si fanno ascoltare, con toni assordanti, troppe voci che sarebbe meglio non udire. Le parole di chi prende la parola senza essere invitato risuonano ovunque.» (Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, 1974). Così va, signori, e ci siamo tutti in mezzo. E tuttavia, come suggerisce Colli nella frase successiva, non ha senso lasciarsi andare a stucchevoli lamentazioni sulla decadenza di questo e quello: «la decadenza precede la culminazione».

Insomma, se i tweet de Il Fatto hanno meritato di essere cancellati oggi, sicuramente domani saranno degni dello stesso trattamento quelli de Il Giornale, e altro ancora sarà degno di attenzione: dirigere l’attenzione, ecco un gesto che come tutto quanto è profondamente rivoluzionario troverà sicuramente molti avversari E mentre il paese si avvia alla sua ennesima prova di ingovernabilità, ben vengano, epifanici e surreali così come tutti noi li abbiamo visti proprio con i nostri occhi, Toto Cotugno e l’Armata Rossa, accorsi per mettere la barca in salvo, asciugare le nostre lacrime, liberarci dall’oppressore (e chi è? ognuno ci metta il suo!).

Fotografia: Claudio Comandini, “Relitto e magnificenza” – Roma, febbraio 2013.

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