Qualcosa di vuoto nel cielo

11 settembre: immagini di un giorno. Delillo: le rovine del futuro e la scrittura del presente. Gonzales: lo schermo nero e la luce di Dio. Spiegelman: l’ombra di quello che non c’è più. Eisner: la realtà e i fumetti. Human Target: la strana storia dell’uomo che finse di morire. La reazione del presidente e la fiaba della capretta.

L’11 settembre è fatto anche di storie e impegni di routine, di ritagli di giornale e cose che non quadrano; quindici anni dopo, sembra ormai tornato ad essere un giorno come un altro: anche perché tutto quello che quel giorno cadde, continua ancora a cadere. Su questo giorno, uno dei primi scrittori a prendere la parola è Don Delillo, con In the ruins of the future, che esce a dicembre, più di due mesi dopo dopo la tragedia di New York. Oltre a non preoccuparsi di non gettarsi sulla tragedia ancora calda, non si limita a descrivere: cerca piuttosto di rispondere a quanto accaduto [1]. E il suo rammarico è che in un mondo nel quale la finanza ha scolpito le coscienze e le multinazionali hanno avuto più autorevolezza dei governi, in un mondo dove mercati e investimenti sono privi di limiti e controlli, le cose sono cambiate soltanto quando abbiamo lasciato che a raccontarci compiutamente il mondo fossero dei terroristi, con l’assenza di logica propria dell’apocalisse.

De Lillo sa che le Torri Gemelle rappresentavano la possibilità di raggiungere ogni limite, teorico e tecnologico: tuttavia, è cosciente che poche persone hanno cambiato tale orizzonte, facendoci cadere indietro nel tempo e nello spazio. Nessuno ha saputo stare al passo con il loro crollo, nemmeno con l’immaginazione. E mentre sembra ancora troppo presto per capire cosa è accaduto, il poco tempo che abbiamo diventa sempre più scarso, compresso e distorto. Eppure, laddove è impossibile separare il linguaggio da un mondo che lo provoca, occorre iniziare proprio dalle torri, cercando disperatamente di immaginare il momento di terrore primordiale che le coinvolge, precedendo la politica, la storia e la religione, .

Disertando ogni paragone, l’evento afferma la sua irriducibile singolarità. «C’è qualcosa di vuoto nel cielo. Lo scrittore cerca di dare memoria, tenerezza e senso a tutto quel vuoto urlante.» E mentre la democrazia è violentata dalle ingiustizie, mentre il futuro va incontro alla sua fine, Delillo si unisce alla preghiera di una donna musulmana. [2]

Don Delillo ripercorre le sue motivazioni lucide e non-apocalitttiche di scrittore visionario e non visivo, che presuppone le immagini dipingendo con il bianco e nero delle parole un mondo che è finzione, trasformato da quell’altra finzione che è la scrittura. [3] Il vuoto lasciato dalle Torri è gemello di quel vuoto di idee che in una realtà frammentata già da tempo ci accompagna: «Non dobbiamo aggrapparci artificialmente alla vita, e neanche alla morte. Non si fa altro che procedere verso le porte scorrevoli. Onde e radiazioni. Guarda come è tutto ben illuminato. Questo posto è sigillato, conchiuso in sé. È senza tempo. […] Qui non moriamo, facciamo acquisti. Ma la differenza è meno marcata di quanto si creda.» [4]

Laddove tra morire e spendere la differenza risulta ormai minima, non stupisce riscontrare che l’incapacità dell’amministrazione di proteggere il paese è stata proporzionale a quella di indagine dimostrata da popolazione e intellighenzia. Lo evidenzia Susan Faludi: mentre nessuna leadership morale è stata in grado di emergere, l’America si impegnava in una fuga collettiva nelle grandezze cinematografiche e nel passato, con l’imperversare di western anni ’50 e smielata retorica hollywodiana.

La reazione al trauma è stata così quella di avvolgersi in una «crisalide di celluloide». Coerentemente, realizzando un circuito chiuso della rappresentazione, Bush si è rivolto a Hollywood per riuscire a “comunicare”, e quindi a vendere, la nuova guerra la terrorismo; a metà dicembre del 2001, l’industria dell’intrattenimento riversa la sua risposta su più di diecimila schermi cinematografici. [5] Ma comunque in tutto il mondo era in corso il revival dei sogni di gloria.

Proprio per questo, l’omaggio più sincero e commovente è in 11’09’’01 del regista messicano Alexadro Gonzales, che riesce a far urlare uno schermo ancora più di quanto fece Guy Debord. Uno scorrere continuo di fotogrammi neri sono interrotti per brevi momenti da immagini, che, come lampi, mostrano corpi in caduta verticale sul profilo delle torri, destinati ad una morte asimmetrica e trasversale rispetto a quella scelta dai kamikaze. Ascoltiamo il tonfo del loro urto con il terreno, inframezzato alle voci dei commentatori televisivi mondiali, e ad una composizione, di Gustavo Santaolalla. Una musica concreta procede quasi tutto il tempo, confluendo quindi nel silenzio; mentre apriamo appena gli occhi sulle torri che esplodono, si chiude su un lento requiem eseguito dagli archi. Infine, una frase in arabo recita: «Possa la luce di Dio guidarci, oppure renderci ciechi.» [6]

La forma di regressione mostrata da Art Spiegelman in una delle tavole di The Shadows of No Tower (malamente tradotta come L’ombra delle torri), ripercorre la storia del fumetto come se fossero le età dell’uomo; più avanti, l’autore confessa che la vergogna di leggere fumetti gli è passata quando ha capito che avevano annunciato «la morte dell’infanzia»; più avanti, constata come «se una volta erano considerati la morte della cultura, oggi sono gli unici libri stampati che hanno ancora successo.» In un’altra tavola, l’autore è a letto con una fila di persone che dormono beati, mente lui, scosso per gli eventi dell’11 settembre, desideroso che il mondo finisca perché il suo «piccolo mondo» è finito, terrorizzato perché forse «il mondo ha smesso di finire», grida, svegliando i suoi compari: «Il cielo sta cadendo!!!» [7] L’allegoria fumettistica che aveva caratterizzato la sua celebre opera Maus, racconto delle deportazioni naziste, è qui spinta all’estremo, e il fumetto è utilizzato per descrivere una realtà allegorica a sua volta.

Per Will Eisner invece non c’è nessuna fine e nessuna allegoria: ci sono soltanto una data e realtà, nominata con l’abusata parola “REALITY”, in maiuscolo. Un televisore mostra un paesaggio devastato, mentre una nube coinvolge un salotto ricoprendo completamente una persona seduta su una poltrona, tutta l’immagine è in bianco e nero, tranne del sangue che rosso sgorga da uno squarci sullo schermo e cola sul pavimento. [8] L’impatto è netto, e indica al fumetto l’opportunità di elaborare l’evento all’interno delle sue coordinate stilistiche, senza nessun didascalismo.

Will Eisner ha raccontato New York tanto con le crude storie del Bronx, che attraverso le avventure del surreale giustiziere Spirit. Ha anche lavorato per il Pentagono, e non è diffilcile immaginarlo nel consiglio dei trenta uomini che in ogni generazione sono giusti come Abramo. [9] Ha scritto anche opere teoriche sul fumetto, questa arte singolare e ibrida che seppur legata all’immagine può esaltare la scrittura, permettendo di osservare una sequenza di eventi lasciandoci tanto la facoltà di concentrarci su ognuno di questi, quanto di scorrerli a nostro piacimento in ogni direzione. Il fumetto ci porta l’esempio di una cultura popolare che nei suoi casi migliori è davvero raffinata e indispensabile, carica di pathos e mai priva di umorismo. A chi li legge, può fornire l’opportunità di ricredersi che si tratti di cose da sottosviluppati, oppure che negli USA siano davvero tutti stupidi.

Secondo le stime ufficiali, esclusi i dirottattori, gli attentati fecero complessivamente 2977 vittime, [10] ma non c’è concordanza tra le diverse stime. Potrebbe così anche esistere qualcuno che ha fatto finta di morire. Una vicenda di questo tipo, piuttosto indicativa di un mondo dove realtà e finzione si scambiano di posto così bene da non riuscire più a distinguersi tra di loro, è raccontata dallo scrittore Peter Milligan e dall’illustratore Javier Pulido nel fumetto Human Target, scritto proprio con l’intento di «andare oltre la solita immagine dell’America contemporanea […] e mostrare narrativamente il cambiamento del nostro mondo»; l’argomento è scelto, mentre stanno conversando a tavola, da Milligan e dall’editor Karen Berger, responsabile per la linea Vertigo della DC Comics della narrativa disegnata più rappresentativa degli anni che girando attorno New York corrono tra un millennio e l’altro.

Il protagonista è James Chance/Human Target, un personaggio degli anni settanta completamente destrutturato, una specie di trasformista mercenario che diventa esattamente le persone da lui interpretate e «vive l’esistenza di chi non è mai se stesso.» [11] La vicenda che lo rende partecipe di questa morte fittizia nasce quasi per caso, quando Chance incontra un contabile coinvolto in numerosi falsi in bilancio, il quale ha inscenato la sua morte nell’attentato alle Torri Gemelle per sfuggire a condanne e grattacapi, continuando come un ombra la sua vita di espedienti, truffe e finzioni. Costui tenta di uccidere il suo vecchio capo, un pezzo grosso della finanza: eppure, sul più bello, si astiene, facendosi incantare da un’offerta in denaro, che si rivela poi una trappola.

Nel mirino dei sicari entra quindi sua moglie, presa in ostaggio; lui inizialmente rifiuta di aiutarla, e si decide solo quando vede la possibilità di uccidere il capo e di sfogare così la sua competitività. La moglie, stupita ma non felice, gli racconta rispetto alle circostanze della sua morte hanno inventato che si è sacrificato per aiutare gli altri, diventando un eroe, almeno per suoi figli, riscattando una vita infima e spregevole; gli consiglia quindi di restare morto.

Nel corso della storia, Human Target ci si riconosce, lo impersona, è da lui coinvolto in una trappola dove rischia la vita, lo salva, gli chiede i soldi, gli lascia la pistola. Questo contabile dalla vita e dalla morte fittizie e perfettamente intercambiabili, trovandosi alla fine della storia di fronte a Ground Zero, si punta la pistola alla gola, ma poi ci ripensa. [12] Una narrazione esemplare, che non affastella ipotesi improbabili e non fa morali assurde, convinta che ad aver provocato l’attentato sono semplicemente persone che «credono tutte nelle stesso Dio», il denaro.

E intanto, tutto quel che cadde continua ancora a cadere, come una fine che non vuole finire. In un mondo capovolto, che gira veloce e inconcludente, finirono i nostri giorni giovani e ogni troppo semplice fiducia.

Una narrazione esemplare ma apparentemente meno realistica è quella che coinvolge il mattino di quel giorno il presidente Bush jr. Mentre tra le 7:59 e le 8:42 quattro aerei vengono simultaneamente dirottati, il presidente Bush inizia la giornata con due giri di un campo di golf, quattro miglia e mezzo. Si trova a Longboat Key, in Florida, stato retto dal fratello Jab. [13] Esce dall’hotel, seguito da addetti ai servizi segreti e alla sicurezza costantemente informati. Andrew Card, capo dello staff, gli dice qualcosa in un orecchio; un reporter gli chiede se sa cosa sta accadendo a New York, lui risponde affermativamente, aggiungendo che dopo avrebbe «sarebbe tornato sull’argomento». [14]

Circa alle 8:46, mentre il corteo di automobili presidenziali è in movimento, la telefonata di un collega avvisa la reporter Sonya Ross del primo schianto. [15] Nello stesso momento, mentre tutto il mondo è a conoscenza dell’accaduto e centinaia di persone cercano salvezza dalle Torri in fiamme gettandosi nel vuoto, Bush Junior sfida ogni elementare norma di sicurezza soffermandosi nel salone della scuola elementare Emma E. Booker di Sarasota, a promuovere le politiche educative della sua amministrazione. [16] È in posa per la foto con insegnanti e bambini, e sono presenti stampa e televisione, che fa parziali riprese della visita. [17] Mentre entra in un’aula accompagnato dal Segretario all’istruzione Ron Paige e dal vicegovernatore della Florida Frank Bogam per promuovere la sua politica sull’istruzione, Andrew Card gli comunica qualcosa rispetto al volo 11. [18]

Ci sono varie versioni su chi e come avvisa il presidente. Qualche attimo dopo l’attacco alla Torre Nord, gli fornisce notizia dell’accaduto Karl Rove; mentre sosta in una sala privata, è il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleeza Rice a comunicargli di un «terribile incidente». [19] Mesi dopo, prendendosi più di una licenza, il presidente stesso, rispondendo alle domande di un ragazzo di nome Jordan, racconta ad una convention di evangelisti ad Orlando, che vide in televisione addirittura la scena del primo schianto (che non fu trasmessa in diretta, ma filmata a parte), commentando: «Quel pilota è davvero terribile!», aggiungendo che una delle prime sue reazioni fu quella di «allertare le forze armate». [20]

Alle 9:00 il presidente è con diciotto bambini del secondo grado, a sentir leggere una favola su una capretta. Si congratula delle loro capacità di lettura, e li interrompe  dicendo: «Ma questa deve essere la sesta elementare!». [21] Alle 9:05, due minuti dopo il secondo attacco al WTC, Andrew Card, sussurra all’orecchio di Bush dell’avvenuto schianto del secondo aereo, e che «l’America è sotto attacco». Il presidente «si rabbuia per qualche istante». [22] La situazione è drammatica. Lui è l’unico che può dare ordini decisivi, come quelli di abbattere un aereo civile.

A detta di una telefonata ricevuta alle 9:00 dalla Casa Bianca, in seguito smentita, [23 ] anche l’Air Force One, l’aereo presidenziale, si configura come bersaglio; quello stesso pomeriggio la notizia viene confermata dal Procuratore Generale John Aschroft, [24] dall’addetto stampa della Casa Bianca Ari Fleisher, che utilizza anche la frase in codice «Angel is next», [25] e da Karl Rove, stratega politico del presidente e azionista Enron, che paventa da parte dei terroristi una conoscenza accurata delle abitudini del presidente. [26] Peraltro, il nome in codice dell’aereo presidenziale Air Force One viene cambiato ogni giorno: su questa dato, avvalendosi di informazioni della intelligence israeliana, seppur non delle loro conclusioni, Tarpley riconduce il messaggio all’ultimatum della fazione golpista, ancora presente all’interno dell’apparato statale statunitense, che avrebbe così imposto il proprio indirizzo politico. [27]

Alle ore 9:00 dell’11 settembre, Bush sembra non reagire in nessun modo per fronteggiare la situazione. [28] Non lascia la scuola, non la fa evacuare, non la fa proteggere, non interviene in alcun modo per assicurarsi che l’aeronautica militare svolga il proprio compito, non convoca una riunione di emergenza, non si consulta con nessuno. Nemmeno menziona gli eventi di New York, ignora le richieste dei servizi segreti, e continua ad ascoltare deliziato i bambini leggere la fiaba della capretta. Non sembra preoccupato. [29]

Per un militare esperto come Stan Goff, il fatto che mentre accada un «evento senza precedenti» il presidente perseveri in banalità, fornisce la netta impressione che la versione ufficiale sia «una storia costruita» dal governo. [30] Intanto, alle 9:06 Washington trasmette a tutte le strutture del traffico aereo nazionale del sospettato dirottamento del volo 11, informando d’emergenza il Pentagono, mentre alla stessa ora il Dipartimento di Polizia di New York trasmette: «È stato un attacco terroristico. Avvertite il Pentagono». [31] Alle 9:25 il Centro FAA di Herndon ordina il divieto totale di decollo per qualsiasi aereo su tutto il territorio nazionale, e agli aerei in volo è permesso di seguire regolarmente la loro tabella di marcia.

Alle 9.30, mentre l’aereo è a dieci minuti dal suo obiettivo, Richard Clarke ordina la chiusura immediata di tutte le ambasciate statunitensi nel mondo, l’innalzamento del livello di allerta in tutte le basi militari, l’immediato imbarco del Presidente Bush sull’Air Force One. [32] Sempre alle 9.30, alla biblioteca della scuola di Sarasota il presidente tiene una breve conferenza stampa di fronte a 200 persone. Dichiara, inevitabilmente, che «Questo è un momento difficile per l’America» e «Il terrorismo non avrà la meglio sulla nostra nazione», conclude dicendo che tornerà immediatamente a Washington, e chiede: «Unitevi a me per un momento di silenzio.» [33]A bordo del suo aereo personale, solo alle 10:00 avvisa il vicepresidente Cheney e le forze armate, e dopo essersi recato alla base di Barkdsale in Luisiana e al comando strategico di Offtut nel Nebraska, arriva a Washington ormai alle 19:00. [34]

Durante tutto questo tempo, potrebbe aver avuto contatti, essere stato ricattato o aver condotto trattative con chiunque. Se non è affatto probabile che sia stato lui a compiere gli attentati, come vogliono le teorie del complotto più grossolane, non si può neppure escludere che non sappia davvero nulla rispetto alle loro implicazioni, come pretendono i legittimisti più rozzi. Certamente, ha dovuto gestire un momento di enorme difficoltà, dimostrando, nonostante alcune evidenti ingenuità personali, il tempismo e la fermezza proprie ad un politico responsabile, evidenti laddove riconosce che l’11 settembre ha saputo chiarire il ruolo dell’America e ha dischiuso grandi opportunità. [35] Peccato però non sia stato assolutamente in grado di comprendere le conseguenze delle proprie azioni. Oppure no?

In un cielo vuoto continuano ad affastellarsi le immagini di questo giorno fatto di storie e impegni di routine, di ritagli di giornale e cose che non quadrano.

[1] Marco Abel, Don DeLillo’s “In the Ruins of the Future”, «Modern Language Association» Vol. 118, N. 5, Oct 2003, pp. 1236–1250.

[2] Don Delillo, The Ruins of Future, «The Guardian» 22.10.2001; anche in 11 settembre. Contro narrazioni americane, a cura di Daniela Daniele, Einaudi, Torino 2003.

[3] Marco Belpoliti, Crolli, Einaudi, Torino 2005, pp. 64-68.

[4] Don Delillo. Rumore Bianco (1984), La Biblioteca di Repubblica, Roma 2003, p. 46.

[5] Susan Faludi, L’incubo del terrore (2001), in AAVV, Gli Anni Zero, a cura di Carlo Antonelli, ISBN, Milano 2009, pp. 23-27.

[6] Alexadro Gonzales 11’09’’01 (complete).

[7] Art Spiegelman, The Shadows of No Tower (2001), tradotto in L’ombra delle torri, Einaudi, Torino 2004.

[8] Will Eisner, in 9-11 Emergency Relief, Alternative Comics, New York 2002. p. 45.

[9] Alan Unterman, Dizionario di usi e leggende ebraiche, Laterza, Roma-Bari 1991, cit., p. 8.

[10] List of Victims from Sept. 11, 2001, «Fox News» 10.09.2001.

[11] Peter Milligam – Javier Pulido, Human Target – Strike Zone, Vertigo/ DC Comics 2004 (Vite in prestito, Magic Press, Pavona 2005).

[12] Peter Millgam – Javier Pulido, Human Target, cit., n. 2-3.

[13] «Orlando Sentinel» 11.09.2001.

[14] Planes Crash into World Trade Center, «ABC News» 8:53 AM 11.09.2001.

[15] «Associated Press» 12.09.2001.

[16] William Langley, Revealed: what really went on during Bush’s ‘missing hours’ «The Telegraph» 16.12.2011.

[17] Bush in Classroom on 9/11 (9:06 a.m.-9:16 a.m.).

[18] «Orlando Sentinel» 11.09.2001.

[19] Jenna Heath, Bush wow to punish Attackers ant those Horbored Them, «Cox Newspapers» 12.09.2001.

[20] The Great Conspiracy, 1.09.2004, pdf, p.9.

[21] «Orlando Sentinel« 11.09.2001.

[22] Stan Goff, The So called Evidente is a Farce, «Narco News» 10.10.2001.

[23] «CBS Evening News» 25.09.2001.

[24] «Washington Post», 13.09.2001, p. A01.

[25] Angel is next, «911myths».

[26] Daniel L. Greenberg, President Bush’s False ‘Flashbulb’ Memory of 9/11/01, «Applied Cognitive Psycology» 2004. 

[27] Webster Griffin Tarpley, Anatomia di un Coup D’Etàt, in Zero2, cit., pp. 303-304; 9/11 Synthetic Terror: Made in USA, 2004),«Indymedia.uk», pp. 268-269.

[28] Gore Vidal, Le menzogne dell’Impero, Fazi, Roma 2002, pp. 20-21.

[29] Jenna Heath, Bush wow to punish Attackers ant those Horbored Them, cit,

[30] Stan Goff, cit.

[31] «New York Daily News» 12.09.2001

[32] Sett. 11, 2001: Counterterrorism ‘Tsar’ Clarke Asks White House Bunker for Air Force, «History Commons».

[33] Bush’s First Public Statement at Booker Elementary School, 9/11/2001.

[34] William Langley, «The Telegraph» 16.12.2011.

[35] George W. Bush, Security Freedom Triumph, «New York Times» 11.09.2002, p. A33.

Fotografia: Claudio Comandini, “Nel vuoto del cielo”, Berlino, ottobre 2015.

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