Sisma all’italiana e altri terremoti

Il terremoto è una brutta cosa, e non bada né alle date, né alle norme: possiamo soltanto tenerci pronti al verificarsi delle scosse, inevitabili in molti parti del territorio nazionale. Alle vittime è dovuta ogni forma di solidarietà: tuttavia, bisogna onestamente riconoscere che non sono aiutatate in nessun modo dal sensazionalismo estremo della televisione o dalle gare bontà dei social. Va poi considerato che nel terremoto della notte del 24 agosto, ad Amatrice, Accumuli e altre zone, hanno retto palazzi storici e monumenti antichi, mentre sono venute molte delle case con tetti in cemento realizzati pochi anni fa. A ben vedere, proprio certe forme di speculazione sono state l’obiettivo della vignetta di Felix  e Coco pubblicata da “Charlie Hebdo“. Infatti, “Sisma all’italiana” (qui riprodotta) filtra sin troppo celebrati tic gastronomici attraverso immagini edilizie: la denuncia effettiva, compiuta con i mezzi propri alla satira, è quella contro la mancanza di prevenzione; infatti, una seconda vignetta, pubblicata in seguito, ha persino cercato di spiegarlo mettendo in evidenza in maniera decisamente didascalica le responsabilità di tipo mafioso. Eppure, forse perché in Italia la satira è caduta generalmente in disuso, la vignetta, invece di favorire un sensato ragionamento, ha attirato indignazioni compulsive che purtroppo non favoriscono comprensione: come se per davvero ogni tragedia sia buona per mantenerla in piedi la malapolitica e costituisca uno sport nazionale piangere il morto per fregare il vivo. Peraltro, il rischio di infiltrazioni mafiose è stato apertamente denunciato anche da Raffaele Cantone, presidente dell’autorità anticorruzione, mentre pure il vescovo di Rieti Domenico Pompili aveva ammonito, nel corso del funerale delle 242 vittime di Amatrice e di Accumuli, che «Uccidono le opere dell’uomo, non il sisma», ricordando inoltre, contro ogni facile demagogia, che ci vorranno anni per compiere una ricostruzione credibile. È ora necessario verificare se i 115 edifici crollati, nonché tutti quelli costruiti negli ultimi 15 anni, sono conformi al testo unico del 2001 con le disposizioni in materia di progettazione antisismica; al riguardo il Procuratore di Rieti, Giuseppe Saieva, ha aperto un’inchiesta per disastro e omicidio colposi, che ha già rilevato la presenza di più sabbia che cemento nella loro composizione. Renata Polverini, all’epoca dell’autorizzazione dei lavori governatrice del Lazio, ha detto di non sapere nulla. Il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, anche lui in quota per la destra, costituitosi parte civile contro nel crollo della scuola, è da molti anni nell’amministrazione comunale. Infatti, nel 1995 viene eletto consigliere comunale ed è nominato vicesindaco, mantenendo il ruolo fino al 2001. Nel 2004 è eletto consigliere provinciale. Nel 2009 è quindi nominato sindaco della città, e nel 2014 riceve un secondo mandato. Come segnala il giornalista Antonello Caporale: «La ricostruzione deve passare per le sue mani e per quelle dell’ufficio tecnico. Il Comune di Amatrice si troverà a essere indagato e a indagare»; inoltre, i fondi europei destinati agli adeguamenti antisismici sono stati utilizzati soltanto parzialmente. Gianfranco Truffarelli, titolare della Edilqualità, la società che nel 2012 ha ristrutturato la scuola elementare di Amatrice, costata 700 mila euro di finanziamento pubblico e crollata sotto le scosse, ha dichiarato: «Non mi hanno mai detto di fare l’adeguamento sismico della scuola»Lavori urgenti per il «miglioramento antisismico»  erano già stati assegnati alla società “Cricchi Carlo”, già finiti nell’inchiesta penale sulla ricostruzione de L’Aquila. L’urbanista Paolo Berdini (“Le città fallite”, 2014), nel segnalare i fattori che hanno distrutto la funzione pubblica della città, ha evidenziato come non sono dipesi, come vorrebbero diffusi luoghi comuni, dalla burocrazia e dall’assenza di decisionismo, ma piuttosto dalla mancanza di pianificazione, responsabilità e cultura. Ad ogni modo, il Comune di Amatrice ha depositato la mattina del 12 settembre, presso la Procura del tribunale di Rieti e a nome dell’avvocato Mario Cicchetti, esperto di diritto alla salute, una denuncia-querela per diffamazione aggravata per Charlie Hebdo. A monte di tutto questa vicenda, c’è anche chi, come Lino Ricchiuti, presidente del movimento politico “Popolo Partite Iva” e in prima linea nel denunciare i soprusi di Equitalia, ha dichiarato la sua contrarietà alle gare di beneficenza, rifiutandosi così di dare anche un euro, oppure due al 45500, i cui fondi verranno utilizzati per ricostruire le opere pubbliche. La motivazione, come chiarisce il testo riprodotto di seguito, è ispirato da un’etica di ferro, incapace di facili compromessi e realmente intenzionata a smuovere coscienze e azioni; tale posizione non sembra troppo diversa da quella riscontrabile anche da parte del giornale francese, la cui impostazione illuminista rimane un patrimonio critico irrinunciabile, il quale prescinde anche dall’aderire o meno alle sue singole manifestazioni. E proprio per rispetto dei morti e dei vivi.

 

Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms. Non partiranno bonifici da banche che non hanno avuto neanche il pudore di azzerarsi le commissioni. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.

Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no-stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficenza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficenza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro. Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo.

Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti e grandi evasori che attraversano l’economia del nostro Paese o ai politici di lungo corso che non hanno mai lavorato in vita loro e hanno yacht arenati in porti turistici o mega ville. E nelle mie tasse c’è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella. Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori.

Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho ascoltato la “classe dirigente” dire che “in questo momento serve l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme – da generazioni – gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è. Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mio padre, che ha lavorato per 40 anni in campagna, prende di pensione in un anno meno di quanto un qualsiasi parlamentare guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa?

A proposito. Quando ci fu il Belice i miei nonostante avevano una vita dura, diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate. Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente e poi l’Aquila con quella casa dello studente. Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto sarà il paravento per giustificare tutto anche le migliaia di suicidi di Stato per ragioni economiche e vessatorie sui quali volutamente hanno fatto cadere il silenzio. Vergognatevi. Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know-how del Sol Levante fosse solo un’esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia. Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso. Come la natura quando muove la terra, d’altronde.

Lino Ricchiuti, Scusate, “Scusate, ma io per il terremoto non do neanche un euro”, «L’eco del sud» 29.08.2014.

Immagine: Felix-Coco, “Séisma à l’italienne”, «Charlie Hebdo» 2.09.2016

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