Siamo morti da sempre

Dove si lascia l’estremo commiato ad un amico, ucciso da un sasso sull’autostrada. Un frammento narrativo del “Basso Impero” (ambientato nell’anno di disgrazia 1994).

 

Di Bombo proprio non se l’aspettava nessuno: ma va’ a pensare che una persona così tranquilla e paciosa si mette a passare sotto un ponte dell’autostrada per prendere un sasso in testa. Morire come in un videogame giocato alle tue spalle e a tua insaputa. Bombo, il dottore in economia Enrico De Amicis, che aveva trovato impiego in banca e si era tenuto tutta l’anima, tutti i suoi interessi e la sua allegria. E quella povera ragazza, quella simpaticissima di Susanna tutta panna, che ha visto schizzare pezzi del cervello di suo marito sulle proprie mani.

Andavano sulla Milano-Brennero, intenti a fare turismo eno-gastronomico per paesetti come piccioncini che s’ingozzano felici di piazza in piazza. Come quella volta: loro, io e Serena forse nel nostro momento migliore, e quel pur sempre cornuto di Eugenio, tutti insieme nello splendore di Spoleto e dei suoi tanti mondi, che a ripensarci adesso sembra davvero l’assoluto, senza né prima né dopo. E Susanna adesso è qui, in calma rassegnazione, ricordando a tutti di una dignità più forte del morire, di un amore che travalica il vivere immediato.

Se ci penso, mi pare strano. Tutto è strano. Tutta questa gente che non sa bene a cosa pensare e non dice niente, non saluta nessuno, né dentro né fuori dalla chiesa. Cazzo, Bombo, proprio lui, che era sempre in buona fede con tutti, pagava sempre da bere e non pretendeva mai niente. E poteva esserci chiunque: io, te, e invece è capitato a lui. E ora stiamo in questa cazzo di chiesa che è quella dove ci portavano a fare le preghiere alle elementari, che è da allora che lo conosco, no, che lo conoscevo, e prendevamo sempre un sacco di schiaffoni perché scoppiavamo sempre a ridere. E ridevamo, come se tutta la felicità fosse lì. Perché Dio è un figlio di mignotta e sa nascondersi ovunque, persino in chiesa.

E mi chiedo cosa vogliano queste telecamere assassine, oltre a dare testimonianza dell’inutile massacro di cui in fondo sono mandanti e sensali. Cosa vogliano se non accertarsi che la scena sia conforme al copione già deciso, e che ognuno si convinca della necessità di mantenere ordine e disciplina, chiaramente garantiti dalla politica e dall’informazione. Se mi si avvicinano le acchiappo e le distruggo. Se mi si avvicinano meno a tutti. Se mi si avvicinano faccio un macello.

Mi si avvicinano, non mi muovo neppure. Vorrei ridere, vorrei semplicemente ridere. Spero che qualcuno, zitto zitto, mi sorprenda alle spalle, dica qualche cazzatona assurda e mi faccia scoppiare di riso proprio mentre tento, senza riuscirci e senza volerlo, di trattenermi, facendo facce ancora più atroci, ridendo ancora di più. Perché così era lui, così era Bombo, il mio amico Bombo. Ma a dir la messa non c’è più nessuno di quelli d’allora. Non c’è don Abbondio, non c’è don Dan, non c’è chi vende le merendine, non c’è chi ci porta in gita.

E mi si avvicina Eugenio e mi chiede se ho visto Bombo. Il prete loda l’Altissimo.

 

Evito tutti, al massimo scambio qualche sguardo con le persone con cui ci vogliamo davvero bene, fuggo via prima della benedizione e vado solo per la strada, lasciando Serena e Susanna dirigersi al cimitero nel piccolo corteo perseguitato dai cronisti. La mia trappola personale attende però implacabile, e tra i tanti a commemorare un amico perduto, mi si appiccica proprio quella pippa al sugo di Gaetano.

Non mi offre, ma mi impone un passaggio in macchina. A nulla vale la mia dichiarazione di preferire comunque camminare. Mi parla e mi straparla del suo lavoro, «Un lavoro interessante, sai, di rappresentante di abiti firmati, Dolce e Gabbana, RoccoBarocco e tutte cose di classe, sai», e io che me lo ricordo vestito male, ma male davvero, con le imitazioni grossolane dei vestiti alla moda, già brutti per conto loro, roba tipo piumini viola squillante e jeans invarecchinati a gocce e strisce. Anche adesso è davvero un bel cesso, con questa cravatta coi disegni a cashmere, un tempo frikkettoni e ora chissà, che sembra di plastica, a disegni troppo grandi e annodata troppo stretta. Oppure va così? E dove va se va?

Ad ogni modo, lui è convinto: credente, direi. Parla senza fermarsi mai, adesso esprime le sue speranze per i mondiali, si pronuncia da CT della formazione e formula strategie, come se quella disgrazia di Sacchi non bastasse. Poi, ovviamente, tocca alle donne, e mi dice di quante se ne ficca, lui, che c’ha ‘sta bella macchina, «Che alla fica piace quando piotti e la velocità arriva dal culo alla testa, che gliela stacchi quasi, sai.» Mi sa che se le scopa con la macchina, non in macchina, che se no si sporca, ma proprio con il veicolo assunto come protesi, ad un livello, per così dire, virtuale.

Virtuale. C’è uno dei sensi di questa parola che ora mi sembra prevalere su tutto, coinvolgere tutti, e sprofondo, mentre con l’orecchio al cellulare e noncurante del traffico Gaetano litiga con la madre perché non sa ancora se va a pranzo a casa, e le dice che tanto è in contatto con il cellulare. Simulazioni di simulazioni: ecco dove siamo, ecco il mondo com’è: e siamo troppo parte del gioco per accorgersene. E ‘sto poraccio di Gaetano vive la simulazione imposta dei condizionamenti più cretini, nella propria finzione quotidiana, assolutamente certo non vi sia altra realtà. Meglio non svegliarlo: tanto, siamo così un po’ tutti. Siamo morti da sempre, intrappolati in una vita che non è viva, più terribile del morire.

Mi faccio lasciare in piazza, con una scusa, lontano da casa, che sennò mi si invita pure a pranzo. Prima di salutarmi richiama comunque la madre, soltanto per dirgli che è in contatto col cellulare. Vorrei sinceramente mandarlo a fanculo, ma farebbe male soltanto a me, idiota com’è. Così, lo ringrazio educatamente per il passaggio, e lui mi saluta dicendo:

«Bella chiaccherata. Si vediamo, eh?»

Non avevo pronunciato una sola parola una.

Dal romanzo “Basso impero”, Sovera, Roma 2006. Riveduto.

Fotografia: “Atropo” – Bologna, maggio 2008.

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