La popsophia, i greci e la critica del presente

Principî e ambiti della popsophia. I greci e la modernità. Umberto Curi: pensiero e narrazione. Il Protagora di Platone. Stupore e timore. Pathos e mathos nel mondo greco. La Poetica di Aristotele. La storia e le sue trasformazioni. Racconti impossibili tra Leibniz e Benjamin. Protagora e la formazione politica. Fichte e la diffusione della ragione. Leo Strauss tra persecuzione e reticenza. Narrare la frattura del presente.

 

Prolegomeni per una popsophia (2011-2013) di Umberto Curi si propone di svolgere l’esposizione preliminare di alcuni principî che possano permettere di applicare l’interrogazione filosofica ai fenomeni della cultura di massa. Un approfondimento delle ragioni del presente, capace di permettere la demistificazione dei luoghi comuni dell’attualità, è sempre necessario e il testo, in base ad un ripensamento di decisivi aspetti del pensiero greco, ne propone alcuni criteri.

L’operazione della popsophia è condotta con l’intento di sciogliere la filosofia dall’appartenenza a rigidi ambiti scolastici e disciplinari e così ricondurla ad un’attitudine e ad uno stile di scandaglio critico e razionale della physis e della polis, riguardanti il modo di interrogare un tutto e di stare in una comunità.

Dalla modernità in poi, il rapporto tra pensiero e realtà si è reso problematico, e da tempo la natura e la società degli antichi non sono più le nostre; il testo di Curi indaga la praticabilità delle opportunità conoscitive trasmesse dai greci per formulare una sorta di «prologo in cielo» allo studio del legame tra pensiero e affettività. Il suo intento è soprattutto quello di confutare il diffuso pregiudizio per il quale il lavoro intellettuale deve essere privo di risonanze emotive, dimostrando che nell’esercizio del pensiero lo stupore si congiunge al timore, la dimostrazione razionale alla narrazione.

Umberto Curi, docente universitario di storia della filosofia a Milano e Verona, è particolarmente interessato ad un pensiero capace di partecipazione civile non ortodossa, ed è autore di studi dove in base a pensatori quali Eraclito, Eschilo, Nietzsche e Heidegger, e registi come Fellini e Wenders, si interroga su eros, guerra, morte, narrazione per parole e per immagini (Polemos. Filosofia come guerra, 2002; La forza dello sguardo, 2004; Un filosofo al cinema, 2006; Meglio non essere nati, 2008; Straniero, 2010; Passione, 2013).

Proporre il ritorno della filosofia a quelle che sono definite come le sue origini “pop” non sembra avallare alcuna futilità: piuttosto, attraverso un esame filologico serrato, che parte dalla destituzione della falsa opposizione tra logos e mythos elaborata dall’interrogazione radicale di Heidegger, vengono scandagliate nuove interpretazioni di testi fondamentali della Grecia arcaica e classica.

L’idea di base, tratta dal Protagora di Platone, è che lo statuto epistemologico del “dimostrare” [epideiknymi] coinvolga tanto l’argomentazione del logos, quanto il racconto del mythos. Il primo termine riguarda il “raccogliere” e il “calcolare” [leghein] la “parola su cui si è riflettuto”, utile a convincere; il secondo attiene un discorso né vero né falso, la sua attendibilità è circostanziale, e dove riguarda la “parola in senso oggettivo” indica il vero storico. Protagora, interessato a comprovare l’insegnabilità dell’arte [techne] politica, stabilisce sul piano della potenza dimostrativa [epideiknymi] piena equivalenza tra logos e mythos, discorso e favola. La distinzione tra i termini si basa sui diversi ambiti semantici, non presuppone verità dell’uno e falsità dell’altro e nella sua esposizione i momenti si susseguono sostenendo posizioni analoghe; nel testo, offrono particolare interesse tanto le personali variazioni attraverso cui è formulato il mito di Prometeo, quanto l’invito a guardarsi dall’invidia ed essere prudente rivolto al giovane Ippocrate, che vuol diventare allievo di Protagora per «mettersi in vista in città».

Argomentazione e racconto possono distinguersi laddove questo, dotato di maggior potere di coinvolgimento, comporta la risonanza emotiva e sentimentale [charis] caratteristica dei discorsi che, al “dimostrare”, accompagnano un “piacere” [charieston] estraneo ad ogni calcolo, e quindi al logos stesso. Tale piacere è tradotto dal latino gratia che indica quanto, essendo dato o ricevuto senza nulla ricevere in cambio, si sottrae alla logica dello scambio esprimendo così l’unilateralità del dono.

La storia del termine mito [mythoi] è ricostruita da Curi nei passaggi che legano pensiero dei poeti e scrittura dei filosofi. Se mito in Omero è paradigma di autorità regale, per Erodoto indica racconti non attendibili. Tucidite distingue la «narrazione non necessariamente vera» [tò mythodes] dalla «storia narrata con pretese di verità» [historia]. Platone (Fedone 61b) pur utilizzando il verbo mythologein, sintesi tra mythos e logos, distingue tra bugie e favole [mythoi], e [logoi] discorsi razionalmente dimostrabili.

La tesi di Protagora sulla coincidenza di scienza e sensazione è contestata nella prima parte del Teeteto evidenziandone le aporie e il loro sottintendere l’inaccettabile condizione del divenire universale; all’assenza di giustificazione razionale [logos] che rischia di far prevalere la massima ignoranza è quindi contrapposta l’opinione vera [alethes doxa]. Tuttavia, Socrate riporta la sensazione alla conoscenza laddove rivendica per sé l’arte ostetricia [techne maieutike], esercitata da sua madre Fenarete: le donne partorienti e le giovani menti «patiscono [paschousin] le stesse pene», e i secondi «hanno le doglie [odinousin] e giorno e notte sono pieni di difficoltà [aporias] molto più delle donne».

Quanti sono sul punto di creare, tanto nel corpo come nell’anima, sono accomunati dall’indispensabile requisito della sofferenza [pathos]: «la generazione del nuovo presuppone il patimento» (Platone, Simposio, 206c-207). Nel nesso genetico tra dolore e conoscenza s’instaura una condizione “patetica”, ed esclusivamente da questa è prodotto il nuovo. La filosofia, anche laddove si configura con piena razionalità, comincia e prende origine nell’esser colmi di stupore e timore [thaumazein] (Platone, Teeteto, 155d), portando così a coincidenza principio [arché] e origine [ghenesi], l’inizio in senso eziologico e il cominciamento temporale. Per Aristotele (Metafisica, Alfa 982b 14) il thaumazein è causa e inizio della filosofia e si rapporta al mythos laddove «pure colui che si rivolge e vive nel mito [philomythos] è in certo modo filosofo, in quanto anche il mito viene a formarsi in un inquieto stupore [thauma]». Nel mito è però più immediatamente individuabile il rapporto con il “numinoso” e l’elemento “fascinans et tremendum” espresso nel thauma.

Il mondo greco arcaico e classico sa che il pathos produce conoscenza [mathos]: Euripide fa affermare a Medea che il parto è più cruento di una guerra, in Eschilo il coro riconosce saggezza a Zeus laddove ha permesso ad Agamennone di «imparare attraverso la sofferenza» [ton pathei mathos], in Omero «ciò che suscita paura e incute sgomento» ricorre dove Polifemo è un «mostro immenso» [thaum’ettykto pelorion] (Odissea, IX v. 190). Nei Vangeli sinottici, scritti in greco e, a detta di Simone Weil, manifestazioni delle tensioni del pensiero ellenico, Ponzio Pilato, di fronte al non rispondere di Gesù, prova uno stato d’animo che trova descrizione nel thaumazein, convalidando l’opposizione di questo rispetto al banale senso comune.

Ogni narrazione, per la Poetica di Aristotele, comporta una trama [desis] o intreccio [ploké] nella quale si “annodano” i diversi fatti, e quindi lo “scioglimento” [lysis] dove i nodi intrecciati si districano e il racconto si conclude; nelle forme con cui tale movimento si realizza, possono essere tra loro distinti il “colpo di scena” [peripeteia] e il  “riconoscimento” [anaghorisis].

Riconducendo la poetica alla metafisica e riconoscendole così piena importanza teoretica, è stabilito che l’aspetto decisivo del cambiamento di fortuna del protagonista deve saper provocare stupore nello stabilire una particolare “consecuzione” tra antecedenti e conseguenti che intervenga contro le aspettative, in modo imprevisto e in contrasto con l’attesa [para ten doxan] per quanto in maniera non inverosimile.

La storia narrata comporta quindi un mutamento radicale [metabolé], un rovesciamento e una trans-formazione che stabilisce una nuova forma, diversa e irriducibile rispetto a quella precedente, da cui consegue con verosimiglianza e necessità un cambiamento radicale e oggettivo non sulla propria opinione, ma rispetto alla “realtà” in se stessa.

La narrazione permette di partecipare al processo di conoscenza dell’”imitazione” [mimesis] alla base del creare artistico: contemplandone le immagini [eikonas], coloro che imparano [manthanein] e ragionano [zylloghizesthai] ricevono il particolare “piacere” del comprendere.

Tuttavia, la forma dimostrativa del narrare è stata ampiamente censurata dalla filosofia, favorendone un’assunzione rigidamente disciplinare, eterogenea alle forme del racconto. Questo ha portato a separare ambiti della ragione e delle emozioni, che invece hanno una parentela profonda, tutta da riscoprire e sempre operante.

Le suggestioni principali di tale proposta sono soprattutto nel permettere di comprendere le implicazioni teoretiche del racconto, rintracciabili negli ambiti moderni e contemporanei in Leibniz, che riconduce la storia universale a «romanzo della vita umana», e in Benjamin, per il quale la “storia naturale” del narrare è la morte che ne sanziona la possibilità. Il primo non raccontò mai quella storia che si svolgeva nella mente divina, l’unica realmente possibile; il secondo si misurò attraverso un’elaborata serie di opere incompiute con il fallimento della storia e l’impossibilità di ricostruirne il senso. Tali argomenti fanno riflettere sulla fragilità di ogni storia, raccontata o meno.

Nell’argomentazione di Curi, c’è un passaggio da sciogliere e riannodare. Protagora, il quale fornisce gli argomenti principali ad una teoria del pensiero narrato, è assertore di un relativismo gnoseologico secondo cui una cosa si risolve nel movimento sensibile del proprio apparire, inevitabilmente limitato al particolare e quindi impossibilitato all’oggettività al punto che ogni giudizio è equivalente ad un altro e nessuna posizione si può contraddire, con difficoltà di stabilire criteri di merito e valore.

Tale posizione non è assimilabile, com’è invece proposto, a quanto per Aristotele è permesso dal “verosimile” [eikos] caratteristico della poesia nel riferirsi all’universale nella forma della probabilità e capace di renderla “più filosofica” [philosophoteron] e “più seria” [spoudaioteron] della storia, invece ancorata al particolare in quanto si occupa soltanto di cose effettivamente accadute. L’approfondimento di tale passaggio può aiutare a comprendere la tensione tra uno e molti dalla quale nessuna filosofia può sottrarsi.

Protagora era un sapiente conosciuto e apprezzato, «abilissimo dell’arte della parola», il primo ad insegnare dietro compenso e a tenere gare dialettiche; laddove sophia indica il sapere intellettuale e politico, il termine sofista da cui è connotato non ha ancora il  significato dispregiativo che assumerà in seguito. Nell’argomentazione esposta dal dialogo platonico, non prescinde da un principio di giustizia [dike] di relazioni reciproche capace di permettere l’umana convivenza e l’utilità pubblica e privata, insito per natura negli uomini e sviluppabile attraverso un’educazione capace di assicurare la necessità della legge dello Stato [nomos]; chi non è interessato ad esserne partecipe, la legge di Zeus ne stabilisce la soppressione.

Nel testo Sullo stato primitivo Protagora salvaguarda la politica e quindi le basi della propria professione d’educatore, ma nella Verità o i discorsi demolitori esclude norme universali dalla natura umana, lasciando ad ogni singolo uomo l’esclusiva “misura” del proprio piccolo mondo particolare. Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX 51) segnala che era specializzato nei dissoi logoi o Antilogie secondo cui su ogni argomento si possono tenere discorsi contrapposti e inconciliabili; se Platone ne riporta il pensiero in modi imprecisi e caricaturali, il sofista cade in contraddizione rispetto all’unità delle virtù, per Socrate imprescindibile, proprio per assecondare una vanitosa disinvoltura di dire tutto e l’opposto. Pur rivalutandone i contributi nella definizione di un “pensiero narrato”, occorre salvaguardarsi dal rischio di restare confinati in piccole storie irrelate banalmente competitive, ed essere così «vinti dall’ignoranza» in modi sin troppo simili a quanto accade nell’imperversare di un pop-pensiero piuttosto sofistico, poco filosofico e per nulla critico, almeno rispetto all’inevitabile significato kantiano d’interrogazione sui presupposti del conoscere.

Laddove l’esigenza è far prevalere la riflessione razionale su ignoranza, superstizione e idolatria, lo stile definito da Curi quale popsophia, che si sviluppa «nella relazione vitale con i problemi presenti in una comunità», trova un antecedente nella diffusione della libera critica della ragione concepita quale patrimonio inalienabile di ognuno, per la quale tra settecento e ottocento Fichte si impegnò cercò di permettere ad un pensiero molto elaborato un’ampia partecipazione pubblica, anche attraverso la partecipazione attiva alla travagliata vita sociale che accompagna e segue l’occupazione napoleonica della Prussia.

Mentre Fichte appare perlopiù piuttosto obsoleto e ha un posto preminente tra filosofi più trascurati d’ogni tempo, oggi nelle nostre comunità assenti l’esercizio delle virtù etiche e la formazione delle capacità politiche trovano tra loro ancora meno accordo che nella polis greca: l’ansia di verità della filosofia, inevitabilmente demolitrice nei confronti degli idola tribus, rozzi e insidiosi quanto diffusi e inquestionabili, non può più prescindere da quella “reticenza” suggerita da un pensatore atipico come Leo Strauss, e così salvaguardarsi dalle persecuzioni di cui il potere può essere capace, peraltro già subite tanto da Socrate quanto da Protagora e dallo stesso Platone.

L’apice della narrazione, come ricorda Sergio Givone (Il bibliotecario di Leibniz, 2005), è rappresentato da Hegel, primo grande teorico del romanzo e autore della storia dello Spirito raccontata attraverso quella del mondo. Il mondo di oggi formula sembra però fornire un dilemma non riducibile ai paradigmi precedenti: le narrazioni della modernità potrebbero sono esaurite con tutti i loro presupposti, oppure occorre portarle a compimento criticandone gli assunti originari. Infatti, laddove il soggetto né si contrappone all’oggetto, né è identificabile con la coscienza, per diffondersi in “maschere” e “strutture”, chi è che racconta cosa?

Ad ogni modo, molte trame sono disponibili per una epideiknymi (capacità dimostrativa) in grado di sottrarsi ai riduzionismi delle scienze e ai particolarismi della politica, incompatibili con un pensiero intenzionato ad attraversare le fratture del presente e a recuperare ruolo e influenza nei confronti della realtà fisica e di quella sociale.

Pubblicato come “Contributi ad una popsophia quale critica del presente”,  «Popsophia» 29.06.2014. Riveduto e ampliato.

Fotografia: Claudio Comandini, “Athenapop” – Atene, agosto 1993

  • urna

    Profilazioni predittive e comportamenti elettorali

    Denunciare una realtà e svelarne il nome, piuttosto che assecondare luoghi comuni, significa iniziare a trasformarla. Svelare l’ideologia implicita della digitalizzazione, e demistificare le illusioni di progresso sociale e di smisurata libertà di Internet, può contribuire a tutelare e proteggere […]

  • Tomas_particolare

    Frammenti di Tomàs

    «Speravo che si aprisse sotto di me un baratro, un inferno in cui nascondermi e da cui rinascere dopo molte generazioni.» In una città sul mare il sogno di un autocrate ambizioso e senza scrupoli sta per realizzarsi. L’apparizione di una […]

  • Old_City_of_Jerusalem

    Gerusalemme: guida possibile alla terra negata

    Dichiarazioni americane e conseguenze mondiali. Storia di una città, dei suoi popoli e dei suoi monumenti. Parcellizzazione dei Luoghi Sacri e parzialità dei poteri umani.   1. La città senza pace La storia ha già dimostrato quanto sia difficile pretendere, senza […]

  • Angel-o

    Le nature spirituali di Enrico Fraccacreta

    Enrico Fraccacreta è nato nel 1955 a san Severo (Foggia) da padre pugliese e madre emiliana. Compie i suoi studi universitari a Firenze e Bologna, dove partecipa al movimento del Settantasette. Laureato in Agraria, è appassionato di botanica. La natura, […]

  • paolo_pedrizetti_14_Maggio_1977

    Premonizioni del Settantasette

    Se forse gli anni settanta non iniziano con le rivolte del 1968 ma vi trovano la loro origine mitica, probabilmente finiscono come in una tragedia greca con il 1977. Segnala Nicola Tranfaglia che in tale pagina «in buona parte ignota […]

  • kalinin-lenin-trotzki

    Colpo di Stato in Russia

    Tra le testimonianze della rivoluzione russa, quella offerta da Tecnica del colpo di Stato, pubblicato da Curzio Malaparte a Parigi nel 1931 e dato alle stampe in Italia soltanto nel 1948, presenta la singolarità di metterla in sequenza con altre […]

  • Vetrata Palma di Montechiaro (AG)

    Piotr Merkurj: la pittura della luce

    Un pittore russo tra Oriente e Occidente. Pensare le icone, dipingere nel pensiero. Dialogo su luce e materia, forma e colore, spiritualità dell’arte, autonomia della cultura.   «Il disegno è una scienza se esplora l’anatomia con la precisione del tratto, una deità se suggerisce il […]

  • Catalogna_protesta

    Catalogna. La costruzione di un regno inesistente

    Dopo la fuga di Puigdemont in Belgio, accusato di ribellione, sedizione e malversazione insieme ad altri esponenti indipendentisti, e la sua dichiarazione di non presentarsi ai giudici di Madrid, si può considerare chiusa una prima fase dell’autoproclamatasi Repubblica di Catalogna. Questa, bocciata all’unanimità […]

  • olio_di_ricino

    I giornalisti americani e il giornalismo fascista

    Di fronte al fascismo, parte della stampa statunitense azzardò analogie con i protagonisti della propria epopea. Gli Stati Uniti si sentivano vicini all’Italia laddove, usciti dal loro isolazionismo soltanto con la partecipazione alla Grande Guerra, erano passati per un periodo […]

  • Fascist Architecture in Washington - Lisner Auditorium (1941-1943) by Faulkner & Kingsbury

    Affinità e divergenze tra fascismi e New Deal

    Una polemica apparsa recentemente sul The New Yorker a firma di Ruth Ben-Ghiat si chiedeva perché in Italia edifici legati al fascismo, quali il Foro Italico e il Palazzo della Civiltà Italiana (o del Lavoro), non venissero abbattuti. E nel […]