Zone di transito

«I testi esemplari qui prescelti […] possono considerarsi precipitati di un più che decennale, multiforme processo alchemico, risultati di un’intensa ricerca di amore, libertà, conoscenza, esperita in presenza del gioco vitale degli elementi, del mistero del dì e della notte, della parola e del silenzio. Di questo gioco, di questo mistero, rimane traccia, ora come filigrana ora come lievito, nelle strutture poetiche di Claudio Comandini, severe, ma anche a volte aperte al balenare di un’accesa visività. L’approdo poetico rappresenta per Comandini l’autentica meta, il punto di condensazione di un’ampia spirale di appassionate avventure intellettuali attraverso non soltanto le contrade d’Europa, o i suggestivi ipogei dove regnano le Madri e gli archetipi, ma anche attraverso le filosofie d’oriente ed occidente, la vecchia e la nuova scienza, la musica direttamente praticata.» (Emerico Giachery)

 

IL GIORNO PIU’ LUNGO

Vive della sua distruzione – fango senza tregua-
come vortici trasportano la danza –

la verità è un errore – assenza di niente –
caduto è il cielo con la terra –

(inverno 93 – autunno 95)

 

SINFONIA DI LEI

Lei non è come se fosse cialda,
una mannequin che gira fra festoni e cellulari
oppure una strega di wicca rifugiata in pizzeria.
È solo un passo di velluto
che solca un sentiero che porta non so dove.

Lei non è soltanto quella compiacente,
che s’incanta di quando mi prende a delirare
o inventa tragedie sperando di piacere.
Non è mai lo stesso orizzonte.
È un sogno in ascolto, partenza senza ritorno.

Lei non è la verde insidia dell’edera
che s’abbarbica sull’uretra e sull’aorta
e mi costringe a trascinare un frigorifero fino al 7° piano del Parnaso.
Quando ti guarda la riconosci,
quando si avvicina lei è presente.

(inverno 95)

 

MARE DEL NORD

Ansante sordida metallica distesa
Sponda compatta erompi di spuma
Carezzata dei gabbiani le strida
Le teste sotto la sabbia sepolte
Schiacciata dalle nuvole qui nate
Freddo abisso del nord

Sulla superficie olio
Melma nel profondo
Veliero abbandonato alla tramontana
Che porta l’eco di campane fiamminghe
Nei morti capelli d’un’alga marina
Mare del Nord

Nella chiara luce del vuoto accogli
Carcasse rami spezzati detriti
A queste bianche e secche piagge tratti
Dal fiottolo lucente attraversando
Vasto l’orizzonte che cupo cerchia
il golfo

(texel estate 88)

 

PASSAGGIO

e giunge sull’ametista di trasparenze insondabili
la risonanza rapita alle grida
dell’occhio di fuoco di luce impazzito
sulle infinite increspature di braccia ridenti
di là del confine segnato dallo sguardo
fiero del suicidio vellutato
l’occhio di fuoco di luce impazzito
nelle frequenze dell’acquamarina
oro dipinge e cinabro

fra desiderio e sublimazione
a sud il cuore transita nell’aria
e si confonde il cielo con il mare
il sole declina a morire
oscillano fra l’abisso e la parvenza gli archi
del cerchio sul limite sospeso
e poi un bagliore
immemori luci e tenebre si conquistano
e poi più nulla

un altro mondo inizia, lo stesso,

(tharros equinozio d’autunno 88)

 

L’ASSENZA

Non è la morte a dividerci
ma questo spazio che non ci accoglie
nella distanza dove tu sei presente.
Ogni cosa serba traccia del tuo passaggio
e solo resto a tessere quello che resta.
La prossima vita sapremo riconoscerci,
la prossima volta saprà essere migliore,
ed intanto ti porto con me come
una ferita, come un sorriso,
come un ombra che la luce non cancella.

Per te,
e per tutti quelli che abbiamo amato
e perduto.

(primavera 95 )

 

REGINA COELI

E dritta in piedi accanto
alla tua branda senti, quando,
senza più stelle né conforto, la notte,
serrata da quattro ordini di inferriate,
né sonno né coscienza tracciano in disegni
sequenze di attimi, grovigli di fili spezzati,
fra pareti da dove promana un sentore
di putrefazione.

Come il piccione senza volo
che t’accompagna per un’ora nell’agonia
di uno squallido trapezio. Qui orbita ed indugia
nei domini suoi la mezzaluna
e tutto è fuori. Non c’è ragione per te
e sei solo uno fra tanti, come sempre, come tutti,
ad aspettare, senza sapere, qualcosa di più
di un telegramma, di una morte che non puoi
morire, e speri che l’inferno ti salvi.

(autunno 97)

 

ANNULLAMENTO GRAVITAZIONALE TOTALE

Possiamo soltanto sperare che
il collasso di una stella stanca
un immane buco nero, una efficientissima
macchina del tempo
inghiotta questo coacervo di
forze gravitazionali
interazioni varie e banali
energie cosmiche e nucleari
censurando dall’orizzonte degli eventi
casa nostra e tutti gli altri condomini solari.

E riavvolta la spirale dell’entropia
si ritorni a quell’altro caos,
innocente
all’inizio della grande bugia.

(estate 94)

 

LA VOCE DELLE OMBRE

– vorrei parlarmi
ma ora non siete qui –

guardando verso l’alto
la terra è tradita
guardando verso il basso
il cielo è precluso
guardando dritto di fronte a sé
nè cielo nè terra si apriranno mai
guardando dietro le spalle
si va a sbattere da qualche parte

– vorrei parlarvi
ma ora non sono qui –

(primavera 87 – inverno 93)

Prima pubblicazione: «La Scrittura» n. 7, autunno-inverno 97/98.
Fotografia: Claudio Comandini, “Some candies publications” – Paros, agosto 1993.

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