Possedimenti e memorie della perduta città di Tuscolo

Tuscolo anima del medioevo romano. Le Goff: la dispersione locale dei poteri. Dispersione attuale del patrimonio archeologico. Distribuzione delle proprietà del feudo tuscolano: la rocca, i castelli, le torri, le coste, la via Latina. Congiunti e discendenti della potente casa baronale: i Colonna e gli altri. L’Aventino. I Templari al palazzo di Marozia e Alberico. Le chiese e i mitrei. Benedettini e basiliani. Papi e imperatori. Pellegrini e crociati. S. Pietro e l’immagine di Gerusalemme.

 

1. Possedimenti

Ci sono storie che già in tempi lontani sembravano lontane, e figurarsi quindi a noi quanto possono sembrare distanti. Tuttavia, la loro influenza sugli eventi è stata enorme e di queste storie, tra loro intrecciate come radici, tuttora le strade di Roma e le pendici del Tuscolo nascondono le memorie: forse memorie morte, comunque avviluppate e fitte.

Se la Roma medievale è un «fantasma inafferrabile» (Mario Sanfilippo), Tuscolo ne è l’anima, tanto viva ai suoi tempi quanto dimenticata oggi: metterne in luce ruoli e vicende può quindi in qualche modo dare voce al «fantasma» dal quale peraltro si formano istituzioni e concetti che ancora caratterizzano il nostro stesso mondo. Inoltre la storia dei luoghi, al di là di ogni retorico localismo, può offrire dettagli che nella loro concretezza sono ampiamente chiarificatori dei processi collettivi: soprattutto rispetto alla struttura feudale, «trionfo della dispersione locale dei poteri» (Jacques le Goff).

Quello che ci rimane di Tuscolo è pressappoco questo: siti cancellati, resti dispersi, dati carenti e fonti manipolate. Se l’accanimento distruttivo è stato notevole e anche protratto nel tempo in modo costante, al punto che il saccheggio arriva fino ad oggi, sostanzialmente insignificante è la tutela espressasi nel tempo, nonostante alcuni recenti e decisivi impegni, come un’ancora irrisorio per quanto elegante Museo Tuscolano a Frascati, e gli scavi archeologici nell’area, curati dall’Accademia Spagnola – in qualche modo, ancora troppo feticisti nel loro operato nonché espressione di una deterritorializzazione dell’interesse verso l’aera che non ne facilita fruizione e partecipazione.

Inoltre, si può tranquillamente affermare che i cronisti dell’epoca, quali Pier Damiani e Rodolfo il Glabro, e prima ancora Liutprando da Cremona, non erano lontani dal gossip giornalistico odierno, tanto vincolanti erano gli interessi da cui dipendevano e tanto esagerati, e spesso grotteschi, i toni che usavano per raccontare le loro storie. Quello che ancora oggi riusciamo a vedere del paesaggio perduto di Tuscolo è quindi strappato alla polvere: non sono tanto i resti a portarci testimonianze, quanto ciò che è andato distrutto.

L’entità dei possedimenti tuscolani nei secoli XI e XII, periodo in cui alla potenza dei Conti di Tuscolo segue il loro declino e la definitiva distruzione della città, fornisce indicazioni inequivocabili della loro importanza. Sulla collina al centro della Valle Latina, la rocca e la città dell’antica Tusculum sono ben difese dalla cinta muraria. Le ville patrizie prevalgono sul versante nord-ovest (Frascati) e la suburra si sviluppa verso sud (Grottaferrata), mentre verso est l’Algido (Rocca Priora) è popolato dalle chiese e dai monasteri di Santa Aurea, San Nicola, San Biagio (proprietà dell’Abbazia dei monaci Basiliani di San Nilo), e comprendono anche la chiesa di San Michele Arcangelo e l’antico convento di Sant’Agata fondato da Giovanni di Cappadocia (poi castello della Molara, e oggi Castellaccio – ma l’indicazione tradizionale del convento è contestata dagli scavi dell’Accademia Spagnola, che lo collocano sulla collina di Tuscolo, vicino al Foro).

I Conti di Tuscolo hanno inoltre feudi e castelli nei territori degli attuali comuni di Frascati, Grottaferrata, Monteporzio, Montecompatri, Colonna, Rocca Priora, Rocca di Papa (che compongono ancora oggi la diocesi tuscolana, già di Labico Quintanense), con propaggini che coinvolgono le attuali zone di Marino, Castel Gandolfo, Albano (Civitas Albaniensis, che ha un proprio episcopato), Ariccia, Genzano, Nemi, Lanuvio, Artena, Lariano, Velletri (Velitris, che ha un episcopato a sua volta, unito dalla Chiesa a quello di Ostia al tempo dell’antipapa Benedetto X proprio per contrastare il potere dei Conti), Zagarolo e Gallicano.

Il territorio, costituito dai residui del vulcano laziale, ha una sua naturale continuità geografica, e si muove fra dolci colline e piccoli laghi, su cui spicca con i suoi boschi la mole del mons Albanum o Cabuum (monte Cavo). I suoi prolungamenti seguono la via Labicana (grossomodo parallela all’attuale Casilina, e importante direttrice delle basiliche cristiane), la via Tuscolana (che rappresenta una strada minore), la via Latina (parzialmente l’attuale Anagnina, strada decisiva nei traffici verso il sud), la via Appia antica (la via sacra dei Romani). Le strade erano difese da numerose torri, attualmente in rovina, di cui alcune ancora visibili.

Andando verso Roma, sulla via Labicana possono esser attribuite ai Conti di Tuscolo le fortificazione di Torre Gaia (antica stazione “ad duos lauros“, presso Grotte Celoni), le Due Torri di Caminetti (presso colle Carcariola, dopo lo snodo verso Tuscolo), Torre Maura (antica chiesa di Santa Maura all’incrocio dello svincolo che ricongiunge con la Via Latina), forse Tor Vergata (ora scomparsa) e la Torre di Centocelle (già Torre di San Giovanni, sulla via Palmiro Togliatti), mentre Torrenova apparteneva (con diverso nome) ai rivali Crescenzi (sarà poi dei Cenci e poi degli Aldobrandini); dalla parte opposta, Torre Jacova (dei Colonna, presso Colonna) non esisteva ancora.

Invece, sulla via Tuscolana, che si congiunge alla via Latina (all’altezza del Raccordo Anulare), i Conti possiedono il monastero fortificato detto di Hierusalem (dal quale deriva toponimo De Salè, ora Torrione Micara, presunto sepolcro di Lucullo), e altre fortificazioni presso la Torre dei SS. Quattro e Tor di Mezza Via (con costruzioni più antiche delle attuali). Sulla via Latina hanno il Torraccio della Marrana (ora lungo la ferrovia di Frascati), il castello di Borghetto (Castel Savelli) e la valle Marciana. La via Appia (antica) è controllata dalla fortificata villa dei Quintili, dal castello di Cecilia Metella, e si congiunge alla via Latina attraverso la valle della Caffarella.

A Roma, dove i Conti di Tuscolo si definiscono Consoli e Senatori e controllano l’istituzione del papato e le cariche cittadine, sono attestate (seppur non tutte nello stesso periodo) proprietà come il palazzo di via Lata (SS. Apostoli, già casa di famiglia degli Anici, poi abitazione di Teofilatto, quindi palazzo Colonna), il palazzo sull’Aventino (Santa Maria del Priorato, precedentemente legata a San Giovanni, già casa di Marozia e Alberico, donato ai Benedettini cluniacensi, passerà poi ai Templari), zone come il circo di Massenzio e la tomba di Romolo, Silva Candida (via Aurelia) e Porto (Fiumicino), solo particolarmente legati a chiese quali Santa Maria di Via Lata e San Giovanni a Porta Latina. È poi ipotizzabile che venisse già utilizzato anche il sito della Torre dei Conti (già occupato dal Templum Telluris), edificata inizialmente verso il 867 da Niccolo I (probabilmente della gens Anicia, e forse antenato dei Conti di Tuscolo, comunque vicino alla loro estrazione), poi completata da Innocenzo III (dei Conti di Segni, nato a Gavignano, già dal 1153 feudo di Giordano dei Conti di Tuscolo, quindi loro discendente diretto).

La potente casa baronale ha nel periodo del suo acme la proprietà anche di zone costiere (Gregorio I è prefecto navalis) come Nettuno, Torre Astura e Terracina (questa sulla via Latina), inoltre tra i monti Lepini e la palude Pontina possiede Ninfa e Norma (l’una al mezzo e l’altra alla fine delle loro vicende), la sua influenza si estende a zone della Tuscia come Galeria (via Clodia), Mazzano (valle del Treja), Celleno (sotto Viterbo, presso il lago di Bolsena) e Vico (presso il lago omonimo, successivamente distrutta dal papato), nella Sabina ha come alleata la filoimperiale abbazia di Farfa, e al sud ha rapporti di parentela con il duca di origine longobarda Gaumario di Salerno.

Congiunti e discendenti più diretti dei Conti tuscolani sono i Conti di Galeria, i Conti di Segni, i Prefetti di Vico, i Monticelli da Tivoli, i Colonna, gli Annibaldi e i Frangipane, e hanno inoltre intrecci dinastici con discendenti dei carolingi (il papa Giovanni XIIl è figlio di Alberico II e di Alda, figlia di Ugo di Provenza), poi con la casa di Franconia (il conte Tolomeo II sposa una figlia naturale dell’imperatore Enrico V), e relazioni politiche con gli Ottoni (gli stretti e controversi rapporti tra Ottone I e Giovanni XII, e tra Ottone III e Gregorio I). Negli anni intorno al 1000 i Conti hanno anche amministrato, poi sostituiti dai loro rivali Crescenzi (che dal canto loro controllano Praeneste, l’odierna Palestrina), l’ampio territorio di Tibur (Tivoli), sede vescovile e ducato autonomo, che spoliata di beni a favore dei Benedettini di Subiaco, diventa filoimperiale per difendersi contro Roma.

Le vicende di Tivoli rappresentano un parallelo piuttosto interessante a quelle di Tuscolo, ed un altro elemento di decodifica della storia nascosta di Roma, che riguarda non tanto i monumenti del centro storico e la straordinaria capacità di assimilazione e di ospitalità che l’Urbe testimonia nel carattere composito dell’epoca dei Re e dell’Impero, quanto la spietata pretesa di dominazione e la rigida impostazione militare e fiscale, a cui si collega la sistematica distruzione delle città ribelli, già dal Gregorovius messa in evidenza come azione tipica sia della fase dell’antica Repubblica romana che del Comune medioevale. E infatti, della Tuscolo un tempo potente, oggi non ne resta più traccia.

 

2. Memorie

Se le storie di Tuscolo appartengono a pietre distrutte, spesso i documenti le riportano in modo frammentario e incerto. A Roma, alcune di queste storie sembrano incontrarsi, in tempi e modi diversi, in un palazzo celebre ancora oggi ma per altre attrattive, appartenuto a illustri proprietari che quasi nessuno ricorda, ancora visibile sull’Aventino e nell’antichità noto per essere luogo di sepoltura di Remo, fratello del fondatore della città.

Molte vicende sembrano concentrarsi nel 1138, quando dopo la morte Anacleto II Pierleoni, antipapa di origine ebraica, Innocenzo II Papareschi prende definitivo possesso di Roma, e assegna quella che all’epoca è perlopiù conosciuta come Sancta Maria de Aventino all’Ordine dei Cavalieri del Tempio di Gerusalemme. I Templari, uno dei più controversi ordini della Cristianità, avevano ricevuto la Regola nel 1128 al Concilio di Troyes da San Bernardo di Chiaravalle, potente alleato del papa. Il palazzo turrito, che con tutti i rimaneggiamenti subiti è ancora oggi visibile guardando al colle dai pressi del ponte Sublicio e di Porta Portese, figura tra i primi insediamenti Templari in Italia, ma già aveva una sua storia, essendo appartenuto nei secoli immediatamente precedenti ad alcuni dei principali antesignani dei Conti di Tuscolo.

Infatti, agli inizi del 900 è residenza di Marozia, la figlia di Teofilatto, il quale dal 901 figura tra i maggiorenti romani non patrizi nominati dall’esponente carolingio Ludovico III di Provenza. L’origine di Teofilatto è incerta, forse bizantina o ravennate, dove la presenza greca e bizantina nella zona che comprende Aventino e Circo Massimo è attesta da tempi precedenti. A palazzo SS. Apostoli presso la via Lata (attuale via del Corso) esercita la carica di Iudex Dativus e Vestararius, specie d’intendente di finanza, anche a capo delle milizie. Moglie di Teofilatto è la nobile Teodora, Vetusta Senatrix di Roma, forse appartenente alla gens Anicia, secondo alcuni tardi apologeti addirittura alla gens Julia.

Marozia diviene successivamente moglie dei tre uomini politici più influenti del tempo (Alberico di Spoleto, Guido di Toscana, Ugo di Provenza, questi ultimi due figli dell’altrettanto discussa Berta di Lotaringia), e amante e madre di diversi papi (tra i quali rispettivamente Sergio III e Giovanni XI, presumibilmente tra loro padre e figlio, mentre fu amante di Giovanni X, come già sua madre Teodora), ed è forse l’autentica regina d’Italia di tutta l’età di mezzo, probabilmente l’unica donna nella storia ad incarnare l’espressione piena del potere di Roma.

Sappiamo poi che l’edificio sull’Aventino diventa residenza del figlio di Marozia Alberico II il Grande, dal quale lei viene spodestata, e quindi imprigionata dentro Castel Sant’Angelo. Alberico, che attraverso il padre Alberico di Spoleto rivendica anche ascendenze franco-longobardo, è per ventidue anni signore laico della città, il riconosciuto Princeps Atque Omnium Romanorum. Alberico trasforma il palazzo in monastero cluniacense nel 939 e lo dona all’abate Oddone, il secondo priore dell’ordine benedettino riformista di Cluny; la chiesa interna viene dedicata al mistico greco San Basilio. Figlio di Alberico è Ottaviano, il generalmente malconsiderato pontefice Giovanni XII, il quale comunque incoronando Ottone I di Sassonia rinnova l’istituzione imperiale, con tutto ciò che ne consegue.

Sull’Aventino vi sono luoghi cruciali per il cattolicesimo e la romanità: cerchiamo di focalizzarne caratteristiche e riferimenti, senza considerarne le aggiunte successive all’epoca medievale. La chiesa di San Bonifacio (poi Sant’Alessio), coinvolta nel monastero cluniacense, è ceduta nel 977 da papa Benedetto VII, appartenente ai Conti di Tuscolo e fedele alleato dell’imperatore Ottone II, al monaco orientale Sergio, metropolita di Damasco, monaco basiliano fuggito dalle incursioni saracene. Invece, a Santa Prisca troviamo un fonte dove si vuole che l’apostolo Pietro impartisse il battesimo, tuttora usato nelle funzioni; al di sotto della chiesa, un ben conservato Mitreo mantiene l’affresco della souvetaurilla, sacrificio simultaneo di un ariete, un toro e un cinghiale.

Una chiesa antica come un tempio pagano è Santa Sabina, fondata nel 422 utilizzando le 24 colonne marmoree corinzie del tempio di Giunone Regina; nel IX sec. le sue decorazioni furono arricchite di finestre in selenite (sostitutivo del vetro). Nell’area è compreso anche il perimetro del santuario di Diana, fatto erigere dal re etrusco di Roma Servio Tullio, che condusse qui il culto, traslandolo dalla zona del lago di Nemi. Ancora precedentemente, come accennato, il monte era conosciuto per aver accolto la tomba di Remo, il fratello ribelle del fondatore dell’Urbe: sembra quindi che il colle abbia la vocazione a nascondere una memoria essenziale quanto problematica.

Nel medioevo l’Aventino, questa parte di Roma ancora oggi quasi nascosta, dopo essere stato sede della casa di Alberico II, diventa luogo di monasteri cluniacensi e basiliani. Successivamente vi hanno residenza due imperatori del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, più o meno altisonanti ma  sostanzialmente effimeri: Ottone III di Sassonia (insediatosi nel 996, nel 1002 è cacciato dal suo luogotenente Gregorio I di Tuscolo), e Lotario II di Supplinburgo (insediatosi nel 1133 grazie a Innocenzo II e s. Bernardo, e poi morto nel 1137).

Nella zona conosciuta come Piccolo Aventino, il monastero Cella Nuova (San Saba), frequentato da monaci greci dai tempi di una (non certa) donazione di Gregorio Magno dell’800, viene concesso da Lucio II Caccianemici ai cluniacesi nel 1144; lo stesso anno i Turchi riconquistano ai Crociati la città mesopotamica di Edessa (Şanlıurfa, Turchia), dove si conserva il volto di Cristo conosciuto come Mandylion, mentre i sovrani cattolici cacciano via gli Ebrei Sefarditi dai regni di Castiglia e Aragona.

Laddove guerre e religioni oppongono i popoli e segnano le migrazioni, luoghi come i monasteri sull’Aventino permettono l’incontro di diverse generazioni di benedettini latini e basiliani greci, favorendo una confluenza di culture che porterà anche al pellegrinaggio di San Nilo da Rossano verso Roma e al suo approdo a Tuscolo, e quindi alla fondazione dell’Abbazia di Crypta Ferrata (Grottaferrata) su terreni donati da Gregorio I di Tuscolo. Gregorio, già luogotenente e capitano di marina dell’imperatore è il primo effettivo esponente della casata dei Conti di Tuscolo a farsi conoscere con l’integrità del proprio nome. Forse è nipote di Giovanni XII, in quanto figlio di Deodatus, probabile figlio naturale del papa, che compare nelle genealogie in posizione intermedia tra i due.

L’Aventino va quindi a costituire la sede ideale per i Templari, che ufficialmente si propongono di proteggere i pellegrini diretti verso la Terra Santa. Qui però non parleremo dei Templari, della figura di Ugo di Payns e della circostanze oscure della loro fondazione a Gerusalemme nel 1119 circa, né di quelle altrettanto misteriose del loro scioglimento decretato da Filippo il Bello a Parigi nel 1332 e dello strano destino di Jacques de Molay (potrebbe essere proprio lui l’uomo della Sindone). Non ci occuperemo né degli ambigui simboli dei due uomini su un solo cavallo o della cintura fallica, e delle accuse di sodomia loro inflitte, né delle loro immense ricchezze patrimoniali e finanziare e degli elevati tassi d’interesse praticati. Non faremo riferimento né all’idolo Bafometto, raffigurato con una testa caprina e nel cui nome si può rintracciare la storpiatura di quella del profeta musulmano Maometto, e gli accenni ad una mistica erotica capace di far ascendere ogni impulso.

Non parleremo né alle vicende del Graal, già definito «oggetto mistico e mistica della storia», conosciuto come la coppa che raccolse il sangue di Cristo crocefisso, di cui si dice sia stato ricavato da uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, ma di probabile origine celtica. Non ci interesseremo né dei loro rituali demistificatori delle convenzioni cristiane, dello sputo verso la croce che elevava ad una fede maggiore, né della messa in discussione della divinità di Cristo, né tantomeno di un presunta discendenza sua e della Maddalena, né di eventuali parentele con i re fannulloni Merovingi. Non ci occuperemo né degli scavi da loro compiuti per cercare l’Arca dell’Alleanza o quanto restava del Tempio di Salomone sotto la Cupola della Roccia a Gerusalemme (il Monte Morìa, dove per gli ebrei fu risparmiato il sacrificio del figlio di Abramo Isacco, mentre i musulmani costui è Ismaele e il luogo dell’accaduto è presso La Mecca). Qui stiamo parlando di un edificio e dei suoi diversi proprietari, di questioni di pietre, concrete e materiali, non di storie quasi nascoste sulle quali si è poi esercitato un ricamo di secoli.

Dopo lo scioglimento dei Templari, la chiesa di Santa Maria che già fu il palazzo di Alberico viene assegnato ai Cavalieri di Rodi, e nel 1522 diviene proprietà dei Cavalieri di Malta; una sua sala viene utilizzata anche per le giureconsulte cittadine fino al XV sec. Quanto resta dell’insieme originale, che oggi si distingue per la sistemazione architettonica realizzata nel 1756 da Giovan Battista Piranesi (un’enciclopedia in simboli del mondo templare, elaborata da un aderente alla Massoneria dallo spiccato gusto neo-classico) è un sempre sorprendente buco della serratura dal quale si riesce a vedere in fondo ad una fila di abeti la cupola di San Pietro: che, nell’epoca delle vicende tuscolane, non era la sede papale, ma la chiesa dove venivano incoronati gli imperatori. Per i Templari rappresentava l’immagine di Gerusalemme, e l’intero Aventino era visto come una nave pronta a salpare. Noi invece, perlopiù, vediamo cose diverse.

Prima pubblicazione: «Controluce» a. 14  n. 4, aprile 2005; «Controluce» 3/XV, marzo 2006, «Lazio ieri e oggi» n. 501, a. XLII n. 1, agosto 2006. Riveduto e corretto.


Fotografia: Fabio De Simoni, “Custode” – Roma 2005.

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