Monopoli e Risiko! Guerre globali e crisi finanziarie

Monopoli e Risiko! Regole e influenza. Teorie del gioco: Groos, Freud, Piaget. Fukuyama contro Huntington e loro due contro tutti. Le vendite allo scoperto alla vigilia dell’11 settembre 2001. I movimenti finanziari secondo l’antiterrorismo israeliano. La Deutsch Bank. A.B. “Buzzy” Krongart, direttore esecutivo della CIA. Speculazioni a Londra nel 2005. Soldi non prelevati. La famiglia Bin Laden. Il Gruppo Carlyle, interessi e ramificazioni. Gli affari di Bush jr. Le élite saudite. L’intelligence pakistana. Bin Laden, finanziatori e organizzazioni. Il dissanguamento dell’economia americana. Iraq. Iran. Rapporti tra potenze nell’area.

 

1. Il gioco e la guerra

Gioco trova quale sua definizione più chiara ed esaustiva quella di attività strutturata che offre gratificazione ai propri partecipanti, priva di scopi legati a necessità quali produzione e difesa. Se è così, è curioso constatare come due dei giochi da tavolo più diffusi globalmente negli ultimi decenni siano stati il Monopoli (marchio registrato da Charles Darrow nel 1935) e il Risiko! (nome originale Risk!, ideato dal regista francese Albert Lamorisse, commercializzato nei primi anni ‘60), i cui scenari e modelli riguardano proprio le forme più tipiche della produzione di ricchezza e della difesa militare, e che quindi articolano le simulazioni simboliche di comportamenti legati alle prassi del libero mercato e all’eventualità della guerra planetaria.

Infatti, gli schemi comportamentali trasmessi nella pratica di questi giochi, le cui numerose edizioni si sono adattate ai contesti più diversificati, sono improntati ad una competitività molto più serrata e a regole formali decisamente più strutturate rispetto a quelle dei giochi legati al semplice divertimento, e riguardano strettamente attitudini altamente culturalizzate: piaccia o non piaccia, fare soldi e muovere conflitti rappresentano le basi e gli strumenti privilegiati della nostra cultura, e certo non da oggi.

Se, come indica Groos, il gioco rappresenta un pre-esercizio degli istinti alle attività proprie dei mammiferi adulti, [1] il Monopoli, con i contratti, le possibilità e gli imprevisti, le case e gli alberghi da costruire, e il Risiko!, con gli obiettivi segreti, i cannoncini e i dadi, i paesi dai nomi quasi sconosciuti da conquistare, hanno in qualche modo rappresentato nella nostra epoca quell’elemento del gioco simbolicamente associato all’accettazione delle norme sociali e quindi allo stesso ingresso in società: la loro ritualità è di quelle che regolano i riti di passaggio e le iniziazioni.

Accade quindi che il gioco divenga non soltanto istituzionalizzazione del divertimento, ma anche propedeutico ad un ottimale inserimento sociale; conseguentemente, accade però anche che le sue caratteristiche più proprie, le quali dovrebbero essere associate alla spontaneità del corpo in relazione e alla sua autonomia da scopi estrinseci, vengono piegate ad altre esigenze. Consideriamo, inoltre, che non ha grossa importanza quali fini strateghi noi possiamo essere: indipendentemente da tale eventualità, è sempre la meccanicità del gioco a vincere, imponendosi ai suoi aderenti come una verità priva di discussioni. Sostanzialmente, è il gioco che ci gioca.

Nel Monopoli ognuno deve diventare il più ricco possibile, e scopo dichiarato è mandare in bancarotta gli avversari causando loro gravi esborsi di denaro. Il gioco prende il nome da “monopolio”, dominio del mercato da parte di un singolo venditore; i 750 milioni di persone che in tutto il mondo vi hanno giocato probabilmente non vedono ciò come problema, anche se non fanno parte di nessun monopolio e magari soffrono anche di qualche ipoteca. Vietato nella Russia Sovietica, tuttora è al bando nella Cuba di Castro. [2]

Risiko! gioca alla guerra, eppure la vede come una colpa: si difende così affermando che il gioco «promuove valori quali l’amicizia, il divertimento, la partecipazione. Aborrisce e ripudia lo scenario tragico della guerra vera, giudicando ineludibile e inevitabile solo la pace, mai la guerra. La pace è il valore supremo, irrinunciabile, per il quale si devono adoperare tutte le organizzazioni, a qualunque livello.» [3] Belle parole: quasi le stesse usate da ogni autorità impegnata in un qualsiasi conflitto.

Se a tutti piace parlare di pace, indipendentemente da quanto poi venga vissuta e praticata, occorre constatare che essa costituisce davvero una argomento irrinunciabile per gli aderenti alla cristianesimo, anche se non lo ricordano, derivano il proprio culto da una divinità letteralmente già definita nella Bibbia come «Signore degli eserciti», [4] piuttosto terribile e cruenta soprattutto nelle pagine del Deuteronomio, poi innestatasi sul bellicosissimo tronco dell’impero romano. Spesso i cristiani amano parlare molto anche di povertà, pur appartenendo principalmente alla parte più ricca del globo, mentre il nome cattolico associato alla Chiesa di Roma esprime la tendenza all’universalità del cristianesimo, che conosce numerose culture e si diffonde in sette e chiese piuttosto diverse. Il suo universalismo degrada ad una specie di monopolio delle anime che ha esponenti rappresentativi negli evangelisti americani, che con la loro spiccata attitudine a fare guerra e affari dimostrano un talento quantomeno potenziale anche per i nostri ormai proverbiali giochi da tavolo.

Significativamente, un sondaggio promosso da un sito dei cattolici romani esprime un ecumenico semi ex-aequo per i due giochi, che considerati i valori approssimativi sono separati solo dallo scarto dell’1% a favore del Risiko! (42%) rispetto al Monopoli (41%). Nel forum, emblematica l’opinione dell’utente Papa Re rispetto alla sua preferenza accordato al primo gioco, espressa in termini che credo in molti potremmo sottoscrivere: «Soprattutto mi piace quando le battaglie si incarogniscono, nel senso che qualcuno ha chiaramente vinto e qualcuno ha chiaramente perso ma venderebbe la pelle piuttosto di arrendersi, trascinando la battaglia per ore… la vittoria è molto più sentita… bè in quelle occasioni ovvio che preferisco essere io a schiacciare l’avversario, ma non disdegno neppure approntare la strenua difesa…» [5]

Le parole di Papa Re fanno capire come il gioco favorisca lo sfogo dell’aggressività su un piano simbolico, e permetta di gestire timori e ansie. Indipendentemente da ogni preoccupazione confessionale, tutto questo è suffragato dall’interpretazione dei giochi avanzata da Freud, formulata nell’osservare il nipotino Hernst giocare con un rocchetto, facendolo sparire e ricomparire all’improvviso. [6]

Tuttavia, dobbiamo constatare che, dopo decenni di partite a Monopoli e a Risiko!, timori e ansie di fronte a problematiche inevitabili quali sussistenza e conflitti non sono per niente diminuiti, e la nostra aggressività non si è affatto accontentata di trovare soddisfacimento nelle sue rappresentazioni. Insomma, il prevalente appiattimento della dimensione ludica a criteri di funzionalità sociale e alla logica del profitto indicato dalla diffusione di questi giochi sembra non aver portato grossi vantaggi, e non possiamo nemmeno nasconderci quanto oggi anche l’elementare guadagnarsi da vivere sia diventato più difficile, e come spesso siano diventati più aspri anche confronti piuttosto elementari.

Inoltre, anche presso adulti apparentemente civilizzati sono evidenti le ricorrenti difficoltà di procedere in alcune delle componenti più avanzate del rapporto tra gioco e sviluppo mentale, che per Piaget si compiono nell’equilibrio dinamico tra «assimilazione» e «accomodamento», e si sviluppano nella capacità di comprendere i punti di vista altrui, e in quella di dedurre le conseguenze di situazioni ipotetiche. [7]

Queste difficoltà sembrano verificarsi anche quando adulti anagrafici presuntivamente a capo della civiltà si trovano di fronte ai serissimi compiti dell’economia e della guerra, spesso ridotti nel pensiero dei pop-filosofi più autorevoli per le alte sfere, ai modelli proposti da questi giochi. Infatti, l’influenza del Monopoli può individuarsi come determinante nel pensiero di Fukuyama, per cui la storia è finita con l’imporsi dell’idea liberale su scala mondiale, [8] mentre Huntington sembra tradire una spiccata inclinazione al Risiko!-pensiero quando riduce le civiltà ad un gioco strategico su misura dei generali del Pentagono. [9] Uno immagina un’epoca in cui il capitalismo significhi pace, l’altro un mondo dove la cultura produca guerra: ambedue i modelli vogliono imporsi l’uno sull’altro, ambedue sbagliano. Alla fine, Monopoli e Risiko! sembrano addirittura confondersi e amalgamarsi, ed è difficile capire fino a dove arriva il loro vasto ascendente. Per comprenderlo, è opportuno confrontarsi con alcune situazioni in cui si affiancano aspetti legati alle emergenze e alle crisi finanziarie, come gli attacchi dell’11 settembre e le guerre globali.

 

2. Speculazioni e disastri

Già pochi giorni dopo l’11 settembre le autorità americane stavano indagando «su una quantità insolitamente consistente di azioni di linee aeree, compagnie di assicurazioni e fabbriche di armi che sono state svendute nel giorni e nelle settimane precedenti agli attacchi. Ritengono che le vendite siano state fatte da persone che sapevano dell’imminente disastro.» [10]

Diverse testimonianze hanno rilevato l’enorme incremento di vendita di strumenti finanziari derivati, nella specifico di quei contratti future chiamati put options. [11] La Financial Services Authority londinese riscontra che regolatori di mercato in Germania, Giappone e USA avevano ricevuto informazioni relative alla vendita di numerosi contratti di questo tipo, relativi a titoli di compagnie assicurative, aeree e produttrici di armi, crollati in seguito agli attacchi dell’11 settembre contro il WTC. Richard Crossley, analista e mediatore della City di Londra, ha notato una vendita di azioni in quantità insolitamente elevate a partire da tre settimane prima. [12]

John Kinnucan, direttore della Broadband Research, afferma che tale quantità di vendita nel mercato delle azioni è «insolita» anche in un  periodo dieci anni. [13] Per Ernst Welteke, presidente della Bundeskank, gli enormi movimenti finanziari sulle aviolinee e l’aumento del prezzo del petrolio sono «inspiegabili» laddove non ci sia un gruppo di speculatori ben informato. [14] John Norian, cofondatore di PTI Securities, attivo alla borsa di Chicago, conferma l’ «eccezionale» volume di transazioni. [15] Soltanto Dennis Lormel, capo dell’unità dell’FBI che si occupa dei reati finanziari, ha sminuito questi dati e l’eventualità di un collegamento tra attentati terroristici e speculazione finanziaria. [16]

Le put options sono vendite di azioni “allo scoperto”: consistono nella cessione di titoli che ancora non si possiedono, con la promessa di consegnarle entro una certa data, facendo affidamento sulla possibilità di comprarli quando il loro valore sarà diminuito. Sostanzialmente, le vendite allo scoperto sono una scommessa sul ribasso imminente delle azioni acquistate, e indicano solitamente speculazioni su società prossime al crollo. Queste operazioni hanno avuto come oggetto società implicate nell’attentato o nei pressi del luogo dove è accaduto.

Questo prova in maniera inequivocabile che qualcuno sapeva. I movimenti finanziari sono tenuti sotto osservazione in tempo reale, proprio per cogliere segnali di possibili attacchi terroristici, da CIA, Mossad e altre intelligence attraverso il software Promis, sviluppato nel 1979 da Bill Hamilton, che fornisce la possibilità di usare diversi linguaggi di programmazione trasformandoli in un unico formato.[17] Una sofisticata versione è pervenuta attraverso i russi anche a Bin Laden, che la usava principalmente per tracciare e anticipare gli avversari, e imboscare i suoi ingenti capitali (migliaia di miliardi), [18] che potrebbero essere nascosti nei meandri del sistema finanziario della Cina, dal quale verrebbe anche supporto ai Talebani. [19]

D’altra parte, non è necessario il Promis per accorgersi di una manovra speculativa enorme e sospetta come quella in atto, dove le disposizioni del programma Echelon permettono ai governi dei paesi anglosassoni di violare le proibizioni sullo spionaggio elettronico nazionale attraverso lo scambio dei dati. [20]

La ricostruzione più attendibile delle operazioni è fornita dall’Israeli Herzliyya International Policy Institute for Counterterrorism. Tra 6 e 7 settembre presso il Chicago Board Options Exchange vengono acquistate 4744 put options sulla United Airlines, la compagnia di tre dei quattro aerei dirottati (contro 396 call options, scommesse sul rialzo dei titoli). Sempre a Chicago il giorno 10 vengono comprate 4516 put options dell’American Airlines (contro 748 call options, opzioni d’acquisto), per un volume sei volte maggiore del normale (600% in più). Nessuna operazione paragonabile viene effettuata su altre linee aeree del Chicago Exchange, e non c’erano notizie che a quel momento giustificassero questo sbilancio: proprio il 10 settembre l’agenzia economica Reuters prevedeva un rialzo per le azioni delle compagnie di volo.

Nei tre giorni precedenti l’11 settembre sono inoltre acquistate dalla Morgan Stanley Dean Bitter & Co., banca d’affari che occupava 22 piani del WTC, 2.157 put options, contro i 27 contratti giornalieri medi di tutto il periodo precedente (1000% in più in tre giorni). Da un’altra banca d’affari, la Merril Lynch, locata vicino alle Torri Gemelle, sono state acquistate 12.215 put options; la media precedente l’attacco era di 252 contratti al giorno (aumento del 1.200%).

Simili speculazioni al ribasso furono fatte sulla tedesca Munich Reinsurance e sulla svizzera Swiss Reinsurance, due compagnie assicurative che avevano molto clienti fra gli inquilini delle due torri. Colpita dal diluvio speculativo anche la francese Axa Reinsurance (detentrice del il 25% di American Airlines), e United Marsh & McLennan Insurance, Bear Stearns, Zurich Re, American Express, Citigroup. [21]

I profitti stimati sono di 5 milioni di dollari per United Airlines, 4 milioni per American Airlines, 1,2 milioni per Morgan Stanley, 5,5 milioni per Merryl Lynch: un totale di 15,7 milioni di dollari. Andreas von Bulow, ex parlamentare tedesco già responsabile della commissione di controllo dei servizi segreti, riferisce che le speculazioni complessive sono arrivate fino a 15 miliardi di dollari, coinvolgendo numerose borse anche europee. [22] Ruppert riferisce che altri esperti hanno stimato un ammontare di 12 miliardi di dollari; La CBS News ha emesso una stima prudente di 100 milioni di dollari.

A queste indagini in corso da parte della Security & Exchange Commission si è poi affiancata quella del Tesoro USA sugli acquisti eccezionalmente alti di titoli quinquennali, di cui uno che ammonta a cinque miliardi di dollari. Questi sono proprio i titoli sicuri, che vanno al rialzo quando investimenti come quelli borsistici diventano più rischiosi. [23]

 

3. Giochi sporchi ai piani alti

In termini metaforici, giochi come Monopoli e Risiko! si impongono sulla realtà strutturandone le esperienze possibili, rendendo così tutti giocatori e giocati. In termini operativi, la stessa possibilità di effettuare operazioni come enorme vendite allo scoperto comporta rilevanti implicazioni dei vertici della finanza e dei servizi segreti. Le loro relazioni possono caratterizzarsi in questo modo: da una parte c’è il controllo della CIA sulle transazioni finanziarie, dall’altra il favore e la stessa partecipazione al gioco in borsa dell’intelligence e dei suoi esponenti e delle persone vicine ai loro ambienti.

In termini teorici, se la contrattazione politica si estremizza negli attentati, la speculazione finanziaria assume forme terroristiche: l’economia di guerra della globalizzazione si gioca su questa equivalenza, nella quale si esprimono molteplici conflitti intestini. Si riscontra quindi non soltanto conoscenza anticipata di tragiche disgrazie come quelle delle Torri Gemelle, ma anche una pianificazione e una contabilità competenti.

Una fonte vicina alla United Trades identifica la banca d’affari utilizzata per comprare almeno parte di queste opzioni nella Deutsche Bank Alex Brown, ramo bancario per gli investimenti americani del gigante tedesco Deutscheland Bank. La Deutsche Bank risulta anche al centro dell’attività speculativa condotta sulla Munich Re prima degli attacchi. La società che ha acquistato con certezza put options delle United Airlined è stata la Banker’s Trust – AB Brown diretta fino al 1998 da  A. B. “Buzzy” Krongard, dal marzo 2001 nominato da Bush jr direttore esecutivo della CIA. [24]

Già presidente della AB Brown, dopo la fusione con la Banker’s Trust del 1997 “Buzzy” era diventato vicepresidente della società, gestendo il settore “relazioni con clienti privati”, cioè le personalità più ricche e potenti del mondo. Nel 1998 entra alla CIA a tempo pieno come consigliere del direttore George Tenet, mentre la banca d’affari nel 1999 viene acquistata dalla Deutsche Bank (DB), la più potente banca europea. [25]

La DB aveva depositati circa 100 milioni di dollari su conti della famiglia di Osama bin Laden. [26] Traffici di armi, droga e riciclaggio intrattenuti con la filiale americana, la CIA, l’Afghanistan e il Pakistan portano il 28 agosto 2001 all’arresto dell’ex gestore di fondi Kevin Ingram. [27] La banca è stata anche collegata a Wadih el-Hage, un libanese naturalizzato americano, segretario personale di Bin Laden nel suo ufficio del Sudan e accusato di aver creato coperture commerciali del terrorismo in Kenya nel 1994. Le verifiche degli investigatori si sono indirizzate verso presunti collegamenti della DB con operazioni bancarie private saudite e con conti bancari di terroristi. [28]

Analoghe operazioni speculative sono state realizzate anche sulla sterlina nei dieci giorni precedenti all’attentato nella metropolitana di Londra del 7 luglio 2005, quando la moneta inglese è caduta sui mercati mondiali dei cambi del 6% rispetto al dollaro. [29] Operazioni di questo tipo su derivati valutari come future, sono un  campo non regolamentato, e rendono le indagini molto difficili, anche se permettono di comprendere chiaramente qual è l’estrazione sociale che caratterizza i mandanti degli attentati: i quali non devono necessariamente essere ebrei o musulmani, che possono anche essere cristiani. Semplicemente, adorano tutti il dio denaro.

Già subito dopo l’11 settembre Wall Street e i servizi finanziari sospendono le borse per quattro giorni, rendendo impossibile ritirare il denaro rapidamente e incassare i premi. Il 29 settembre una fonte vicina alle autorità di mercato rivela che «gli investitori non hanno ancora ritirato oltre 2,5 milioni di dollari di profitti ottenuti dalla speculazione al ribasso sulle United Airlines prima degli attacchi terroristici del 11 settembre». [30] Rimangono quindi chiusi nei forzieri più di due milioni e mezzo di dollari non riscossi derivanti dalla speculazione contro la linea aerea effettuata da qualche investitore anonimo che aveva «una precisa consapevolezza degli attacchi». [31] Al momento attuale, non saprei onestamente proprio dire dove siano quei soldi, né chi li abbia a disposizione, ma l’ex responsabile della SEC (Security and Exchange Commission) William McLucas ha già da tempo dichiarato che le autorità sarebbero in grado, volendo, di ricostruire ogni compravendita finanziaria. [32]

 

4. Affari di famiglia

Con il consenso dell’FBI, esponenti della famiglia Bin Laden lasciano l’America poco dopo gli attentati, per evitare che cadano vittima di rappresaglie; tra loro, come sostiene il principe Banda Bin Sultan, ambasciatore saudita a Washington, non dovrebbero comunque esserci testimoni materiali degli attentati. [33] La famiglia Bin Laden è molto stimata per opinioni e peso finanziario da personaggi come Caspar Weinberger, presidente della casa editrice newyorkese Forbes, già segretario alla difesa sotto Reagan e implicato nel 1989 nello scandalo Iran-Contras, traffico di armi verso il nemico iraniano che finanziava la lotta contro i Sandinisti in Nicaragua.  La famiglia Bin Laden ha poi avuto a lungo stretti legami d’affari con membri importanti dell’amministrazione americana e della famiglia Bush attraverso una merchant bank di Washington proprietaria di almeno centosessantaquattro società sparse per il mondo chiamata Carlyle Group. [34]

Thomas Carlyle era un conservatore scozzese, che peraltro inserì Maometto tra gli eroi dell’umanità; ma il nome della società non omaggia affatto l’autore, e più prosaicamente prende nome da una strada. Il Carlyle Group gestisce circa quattordici miliardi di dollari di patrimonio con vasti interessi in società di armamenti, che per le circostanze legate alla guerra hanno inevitabilmente registrato una notevole quota dei profitti.

Tra gli aderenti, diversi pezzi grossi repubblicani, tra cui Bush padre e figlio, il vicedirettore della CIA Carlucci, l’ex segretario di Stato Baker, e vi figurano come consulenti anche l’ex primo ministro inglese John Major, l’ex presidente della Bundesbank tedesca, gli ex presidenti delle Filippine e della Thailandia, [35] e, fino all’indomani dell’11 Settembre, la famiglia Bin Laden. [36] I Bin Laden sono anche coinvolti nel progetto dell’oleodotto che deve attraversare l’Afghanistan con la società di costruzioni H.P. Prince, che ha poi preso il nome Bredero Shaw Inc., proprietà di una sussidiaria della Halliburton Corporation, che fino alle elezioni del 2000 aveva fra i suoi dirigenti Dick Cheney, vice di Bush jr. [37]

Per avere idea di quanto possano valere certe alleanze, consideriamo che Raymond Seitz, vicepresidente delle Lehhman Brothers e già ambasciatore USA in Inghilterra, e Brad Bourland, capo della Saudi American Bank, hanno ipotizzato che i membri della famiglia reale saudita, circa quarantamila, inclusi ottomila principi, possano avere fino a mille miliardi di dollari, in parte depositati in istituti come la Banque Pictet di Ginevra, e in gran parte investiti in Europa e America. [38]

Collegamenti tra Casa Bianca e figure del mondo saudita che sostengono Al Qaeda, sono rintracciabili anche nella compagnia petrolifera che permette a Bush jnr di accumulare il suo primo milione di dollari. La Arbusto Company, la prima società di Bush, fu finanziata nel 1979 da James Bath, al tempo unico rappresentante negli USA di Salem Bin Laden, uno dei diciassette fratelli di Osama, i cui interessi e relazioni sono stati successivamente ereditati da Khalid Bin Mahfouz, la cui sorella è moglie di Osama. Bath è in rapporto anche con la Bank of Commerce and Credit Internazionale (BCCI), implicata in diversi scandali come il riciclaggio del denaro delle attività clandestine della CIA legate ai mujaheddin afgani ai pagamenti degli intermediari dell’affare Iran-Contra, e finanziatrice di Osama. [39]

Nel 1986 la Arbusto prende il nome di Harken Energy Corporation, alle cui difficoltà sopperisce lo sceicco saudita Abdullah Taha Bakhsh, il cui banchiere in patria è Mahfuz. Se Bath è indagato nel 1992 dall’FBI per i suoi legami con i sauditi e con l’accusa di influenzare la politica estera di Reagan e Bush snr., nel 1999 Bin Mahfouz tenta di trasferire tre milioni di dollari in Arabia Saudita per varie operazione di Osama, [40] e i due esercitano numerose attività comuni, dall’alta finanza alle telecomunciazioni alle costruzioni, attraverso il consorzio affaristico internazionale Saudi Binladin Group. [41]

Il clan Bin Mahfouz e quello di Al-Amoudi controllano in Arabia Saudita le tre società private Nimir Petroleum, Delta Oil, e Corral Petroleum, e hanno formato consorzi con i colossi petroliferi americani Amerada Hess, Frontiera Resources, Texano e UNOCAL per lo sviluppo di progetti petroliferi in Asia. Le relazioni persistono anche se è provato che i membri delle famiglie sono legati a società assitenziali islamiche come la Blessed Relief, definita dal Dipartimento del tesoro americano come un’organizzazione di facciata per procurare fondi ad Al Qaeda. Da parte loro, Bin Mahfouz e Al-Amoudi non ha mai avuto problemi con il Dipartimento del tesoro, e continuano a ricavare profitti dalle loro solide relazioni con l’élite petrolifera americana. [42]

Prima della sua candidatura a governatore del Texas del 1994, Bush jr. era azionista della Caterair, componente del Carlyle Group, che ha poi ampiamente finanziato la sua campagna elettorale. [43] Il Carlyle compare nei documenti quale fornitore del Dipartimento della difesa, ed è indagata dall’FBI per gli attacchi dell’11 Settembre. [44] Anche il nonno di Bush snr. era commerciante d’armi, in affari con i nazisti; Donald Rumsfeld ha comunicato ai paesi europei che devono incrementare i bilanci della difesa. [45] Insomma, il flusso continuo di miliardi di dollari che proviene dal mercato petrolifero e da quello delle armi, che coinvolge i leader delle società americane e l’élite dell’Arabia Saudita, può credibilmente intralciare gli sforzi di sconfiggere il terrorismo Islamico internazionale. [46]

Anche dopo l’11 settembre, la burocrazia della politica estera USA protegge l’establishment saudita con cui solo un ristretto gruppo ha relazione; il presidente preferisce non affrontare affatto gli argomenti relativi ai finanziamenti dei terroristi e alla non collaborazione alle indagini. [47] L’FBI ignora l’Arabia Saudita e agisce convinta che la chiave delle operazioni di Al Qeda sia in Germania, per quanto gli arresti condotti in Europa dimostrano che quelle cellule non sapevano nulla degli attentati. [48]

Anche le centinaia di cellule delle reti costruite in un decennio in America, costituite da “dormienti”, persone residenti e socialmente collocate, come erano gli attentatori, pronte a diventare attentatori suicidi dietro un ordine ben preciso, [49] sono conosciute da anni, e l’FBI, reputandoli con gusto davvero discutibile «presenza benigna», non li cattura. [50]

Il Pakistan è altro problematico alleato americano, e il suo ruolo è strettamente legato all’Afghanistan. [51] Al momento degli attacchi è sul suolo americano il luogotenente generale Mahamud Ahmad, capo dell’ISI, potente intelligence del paese, [52] arrivato il 4 del mese. [53] Tra gli argomenti affrontati a Washington nei colloqui con il direttore della CIA George Tenet e con il sottosegretario di stato Mark Grossman, certamente anche le questioni dell’Afghanistan e di Bin Laden; partecipa anche ad altri incontri non precisati al Pentagono e alla Casa Bianca. [54] Due giorni dopo l’11 settembre è di nuovo a Washington con una delegazione, a colloquio con i funzionari del Dipartimento di Stato. [55]

In conseguenza di questi colloqui e degli ordini ricevuti, Mahamud Ahmad si reca a Kandahar, chiedendo a Mahamud Omar, capo dei Talebani, la consegna senza condizioni di Osama, altrimenti sarebbe stata guerra degli USA e i suoi alleati con l’Afghanistan, alleato per l’Occidente ormai scomodo e impresentabile. [56] Poco prima dei bombardamenti angloamericani sull’Afghanistan, l’8 ottobre, Ahmad viene destituito dal suo incarico. L’ufficio pubbliche relazioni dell’ISI parla di una richiesta di congedo, ma emerge che i servizi segreti dell’India, accesa rivale del Pakistan, hanno fornito evidenti prove di un finanziamento di centomila dollari che Mohammed Ahmad avrebbe inviato dal Pakistan attraverso lo sceicco Ahmad Umar al capo dirottare Mohammed Atta. [57] Lo sceicco Umar è uno dei tre militanti rilasciati in cambio della liberazione dei passeggeri dell’areo della Indian Airlines dirottato nel 1998. [58]

L’FBI accerta il collegamento, che mette in evidenza un legame diretto tra gli attacchi dell’11 settembre e l’ISI: ma potrebbero esserci anche altri militari pakistani al corrente dei fatti, [59] e inoltre, proprio mentre parlava con le autorità USA, l’ISI avrebbe potuto avere contatti con gli attentatori. Anche altri esponenti delle forze armate e dei servizi segreti USA potevano sapere dei contatti dell’ISI con Atta, e potrebbero aver evitato di intervenire. Transazioni fra ISI e CIA sono confermate da Dennis M. Lormel, direttore della divisione dell’FBI per i reati finanziari. [60]

Per tutti gli anni ‘90, l’ISI finanzia Bin Laden, che addestra i militanti del Kashmir nei campi di Khost. Parallelamente procedono i rapporti tra USA e Pakistan. [61] La notte prima dell’11 settembre, Bin Laden era in Pakistan, nell’ospedale di Rawalpindi per una dialisi renale, scortato dallo stesso esercito che poi avrebbe promesso all’America di sostenere la lotta al terrorismo. [62] Il Pakistan è implicato nei finanziamenti agli attentatori, ha continuato a finanziare Al Qeda, e ha ospitato Bin Laden, [63] fino alla sua uscita di scena nel 2011.

 

5. Lo zibah dell’economia americana

Diverse organizzazioni americane, alcune anche finanziate dal governo, hanno sostenuto economicamente Osama Bin Laden, come evidenziato dalla Judical Watch di Los Angeles. Tra queste, l’Islamic African Relief Agency (IARA), con base in Columbia, Missouri, che nel 1998 ha ricevuto dal dipartimento di Stato due finanziamenti per un ammontare di quattro milioni e duecentomila dollari, trasferendo poi denaro a Mercy International, che risulta aver acquistato i veicoli usati per gli attentati in Africa del 1998. [64] Tuttavia, l’International Revenue Service non ha indagato; [65] il dipartimento di Stato di Bush jnr., per porsi in discontinuità con Clinton, ha avviato delle indagini sulla IARA, che però sembrerebbe aver continuato ad operare liberamente. [66]

La Faysal Islamic Bank del Baharein e la Kuwait Finale Haouse del Kuwait, secondo le relazioni europee collegate al terrorismo e operative come terminali di Deutshbank, collegata all’insider training, sono state escluse dai provvedimenti di Bush di congelamento, che riguardano anche banche di Somalia, Nassau, Bahamas, [67] ma nessuna di Bahrein, Kuwait, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che nel novembre 2001  hanno inoltre rifiutato di collaborare con le indagini federali sui fondi legati al terrorismo itineranti fra questi paesi. Dall’ordine esecutivo di Bush è esclusa anche la Al Shamal Islamic Bank di Khartum nel Sudan, la banca personale di Bin Laden, [68] che ha finanziato gli attentati di Al Qaeda del 1998 tramite transazioni con altri istituti di credito, [69] ed alla quale lo sceicco ha fornito un capitale in fondi privati di cinquanta miliardi di dollari.[70]

Questo reticolo di relazioni che faceva perno su Bin Laden continua a sussistere a svilupparsi, relativizzando così il suo coinvolgimento negli attentati. Le lunghe e tortuose ramificazioni dell’11 settembre, oltrepassano anche il ruolo dei Talebani nell’Afghanistan del 1979, e non finiscono con l’esecuzione compiuta dalla CIA di Bin Laden in Pakistan del 2011, rendendo plausibile, come ha affermato Jared Israel, che la «guerra infinita» sia una «infinita impostura», [71] un gioco perverso di potere, denaro e morte, nel quale l’amministrazione Bush ha una quantomeno un responsabilità indiretta per aver impedito indagini di approfondimento sull’ISI, [72] probabilmente per l’enorme importanza tattica dell’alleato pachistano. [73] Ma la tattica è anche più sottile, laddove, come suggerisce Steve Butler, veterano dell’aeronautica statunitense, Bush sapeva sia degli attacchi contro l’America, sia di quando sarebbero avvenuti, e li lasciò accadere proprio per procedere con la «guerra contro il terrorismo» già ampiamente pianificata. [74]

A sua volta, con terrificante simmetria, la guerra in Medio Oriente permette la realizzazione dei piani terroristici, attuando il piano di Bin Laden di «dissanguare l’economia americana», traslando il rituale di macellazione dello zibah, oltre ogni sua previsione e oltre ogni capacità di salvataggio. Nel 2008, anno in cui è fallita la Leheman Brothers, la guerra ha raggiunto costi di 12 miliardi di dollari, pagati con l’abbattimento dei tassi d’interesse e l’emissione sfrenata dei buoni del tesoro: le stesse misure che con i mutui subprime favorendo l’acquisto di case indipendentemente dalla capacità del rimborso si pongono alla base della crisi economica. Inoltre, gli investitori mediorientali già un anno dopo l’inizio dei conflitti spostano fuori dall’America ben 700 miliardi di dollari. [75] Il Monopoli permette il Risiko!, questo favorisce il primo, e al cambiamento di uno cambia anche l’altro.

Gli schieramenti in atto ricordano quelli di un gioco in cui gli obiettivi sono nascosti, le alleanze effimere, e armate, investimenti e lanci di dadi si susseguono incalzanti. La guerra in Iraq ha avvicinato il paese a Bin Laden, che disprezzava Saddam, favorendo la percezione del conflitto da parte dall’opinione pubblica islamica come una «crociata», peraltro termine usato anche da Bush, con cui le potenze occidentali intendono sfruttare la Mesopotamia, che effettivamente sarebbe uno degli obiettivi. Nel messaggio audio del 4 gennaio 2004 Bin Laden ha insistito sull’obbligo musulmano di difesa dei luoghi santi, denunciando la corruzione islamica che avrebbe portato all’invasione sionista-crociata, e insiste sulla ricomposizione tra sciiti e sunniti contro il Grande Satana. Da parte sua, lo sceicco sunnita già dal 1992 aveva stabilito uno speciale rapporto con l’Iran sciita, utilizzando per l’addestramento aree sciite dell’Iraq come quella di Nassirya.

L’Iran, da parte sua, dimostra inizialmente solidarietà all’America e desidera la sconfitta dei Talebani, dividendo i suoi interessi in due epicentri: quello palestinese, per cui utilizza un registro politico religioso, e uno attorno al Golfo persico, per cui valgono preoccupazioni strategiche ed economiche; sull’orizzonte rimane la preoccupazione che la guerra avvantaggi Israele. [76] Israele e America sono preoccupate per il riarmo dell’Iran e per il programma nucleare, e utilizzano contro di loro i Curdi, il cui separatismo crea attriti con la Turchia. [77]

La capacità di Monopoli e Risiko! di fungere da modelli scenari e scenari è ormai arrivata al punto di sostituire le altre realtà. E ora a chi stanno i dadi?

[1] Karl Groos, Die Spiele der Thiere, Jena 1896; Die Spiele der Menschen, Jena 1899.

[2] Fascinating facts about the invention of Monopoly by Charles Darrow in 1935, 1997-2007, «The Great Idea Finder».

[3] Risiko!, 2006-2016, http://www.risiko.it/index.php

[4] I Samuele, 17, 45.

[5] Preferisci Risico o Monopoli!, Forum Cattolici Romani, 2007.

[6] Sigmund Freud, Al di là del principio del piacere (1920), Newton Compton, Roma 1984, pp. 30-31.

[7] Jean Piaget, La formazione del simbolo nel bambino (1945), La Nuova Italia, Firenze 1972, pp. 235-236, passim.

[8] Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo (1992), BUR, Milano 2003, p. 66, passim.

[9] Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà (1996), Garzanti, Milano 2000, p. 27, passim.

[10] Doran James, «The Times» London 18.09.2001.

[11] Dave Carpenter, Exchange examines odd jump, «Topeka Capital-Journal»;

Who Bet the 9/11 Markets? «The Blacklisted Journalist» 1.09.2004.

[12] Mark H. Gaffney, Black 9/11: A Walk on the Dark Side, «Foreign Policy Journal» 2.03.2011.

[13] «Montreal Gazette» 19.09.2001; Barry Ritholz, Broadband Research’s John Kinnucan Tells FBI Off, «The Big Picture» 24.11.2010.

[14] Kurt Eichenwald & co., Doubbt Intensifies That Advande Knowledge of Attack was used for profits, «New York Times» 18.09.2001; EU searches for suspicious trading, «FOX News» 18.10.2001; John Hopper, Terror Made Fortune for Bin Laden, «The Observer» 23.11.2001.

[15] «Usa Today» 10.2001.

[16] Walter Hamilton, «Los Angeles Times» 18.10 2001.

[17] Michael Ruppert, A Timeline Surrounding September 11, «From the Wilderness» 2.11.2001.

[18] Michael Ruppert, Promis Software – Bin Laden’s Magic Carpet 22.11.2002.

[19] Jeffrey R. Nyquist, China Supports bin Laden And The Taliban, «Financial Sense» 10-10-2001.

[20] Michael Ruppert, Suppressed Details of Criminal Insider trading Lead Directly into the CIA Highest Ranks, «From the Wilderness».

[21] Black Tuesday: The World’s Largest Indider Trading Scam, «Israeli Herzliyya International Policy Institute for Counterterrorism» 21.09.2001, in Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, Fazi, Roma 2002, p. 107.

[22] Andreas Von Bulow, Interview by Stephan Lebert and Norbert Thomma, «Tagesspiegel» 13.02.2002, cit.

[23] «Wall Street Journal» 2.10.2001.

[24] «The Independent» 10.10.2001.

[25] MIchale Ruppert, Suppresed Details, cit.; Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p 112.

[26] Tom Flocco, Profits of death, «From the Wilderness» 6.12.2001, http://www.fromthewilderness.com/free/ww3/12_06_01_death_profits_pt1.html.

[27] »Welt am Sonntag» 5.09.1999; «Financial Times of Asia» 10.08.2001

[28] Lo strano caso della Deutsch Bank, «Studi Monetari» 1.2004.

[29] Maurizio Blondet, Chi ha speculato sulla sterlina prima dell’attentato?, «Disinformazione» 7.2005.

[30] «San Francisco Chronicles» 29.09.2001.

[31] «San Francisco Chronicles» 29.11.2002.

[32] Michael Ruppert, The Case for Bush Administration Advance Knowledge of 9-11 Attacks, «From  the Wilderness» 18.05.2002.

[33] Jane Mayer, The House of Bin Laden, «The New Yorker» 12.11.2001.

[34] Daniel Golden & co., Bin Laden Family Could Profit from a Jump in U.S. Defense Spending Due to Ties to U.S. Banks, «The Wall Street Journal» 27.09.2001.

[35] David Lazarus, Carlyle Profit from Afghan War, «San Francisco Chronocles» 2.12.2001;

[36] «France Press» 7.11.2001; «The Hindunistan Times» 7.11.2001.

[37] «Wall Street Journal» 19.09.2001.

[38] Robert G. Kaiser, Enormous Wealth Spilled Into American Coffers, «The Washington Post» 11.02.2002.

[39] Has Someone Been Sitting on the FBI, «BBC Newsnigh» 6.11.2001; Rick Wiles, Bush’s Former Oil Company Linked To bin Laden Family, «American Freedom News» 3.10.2001.

[40] Wayne Madsen, Questionable Ties, «These Times – Institute for Public Affaires» n. 25; «Intelligence Newsletter» 2.03.2002.

[41] Jonhatan Wells & co., Saudi Elite Linked to Bin Laden Financial Empire, «The Boston Herald» 14.10.2001.

[42] Jack Meyers & co., Saudi Clans Working with U.S. Oil Firms May Be Tied to Bin Laden, «The Boston Herald» 14.10.2001.

[43] Geoffrey Gray, Bush Snr Could Profit from War, «The Villane Voice» 11.10.2001.

[44] Wall Street Journal: Bush Snr in Business with Bin Laden Family Conglomerate through Carlyle Group, «Judical Wath» Washington DC, 28.09.2001.

[45] Daniel Golden & co., Bin Laden Family Could Profit from a Jump in U.S. Defense Spending Due to Ties to U.S. Banks, cit.

[46] Johnathan Wells & co., U.S. Ties to Saudi Elite May be Hurting the War on Terror, «The Boston Herald» 14.10.2001.

[47] Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p. 185.

[48] FBI Arrogance ad Secrecy Dismay U.S., «The Times» 3.11.2001.

[49] Ahmed Rashid, Bin Laden Has Network of Sleepers Across North America, «The Telegraph», 16.09.2001.

[50] Bob Woodward – Walter Pincus, Investigator Identify 4 to 5 Groups Linked ti Bin Laden –Operating in U.S. No Connection Found Between “Cell” Membres and 19 Hijackers, Official Say, «The Washington Post» 23.09.2001.

[51] Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp. 191-193.

[52] «Reuters» 13.09.2001.

[53] «The Daily Telegraph» 14.09.2001.

[54] Amir Mateen, ISI Chief’s Parleys Continue in Washington, «The News» 10.09.2001.

[55] «The Guardian» 15.09.2001.

[56] «The Washington Post» 23.09.2001.

[57] Manoj Joshi, India Helped FBI trance ISI-Terrorist Links, «The Times of India» 9.10.2001.

[58] Monitoring Desk, Gen Mahmud’s Exit Due to Links with Umar Sheikh, «Dawn» 8.10.2001; Wayne Madsen, Afghanistan, the Taliban and the Bush Oil Team, «Democrats.Com» 1.2002.

[59] James Taranto, Our friends the Pakistanis, «The Wall Street Journal» 10.10.2001.

[60] Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p. 193.

[61] Ahmed Rashid, Osama Bin Laden: How the U.S. Helped Midwife a Terrorist, 13.09.2011.

[62] Dan Rather – Barry Peterson, Bin Laden Whereabouts Before 9-11 «CBS Evening News» 28.01.2002.

[63] Paul Sperry, Did Ally Pakistan Paly Role in 9-11? «WorldNetDayli» 30.01.2002; Seymour M. Hersh, The Gateway: Questions Surround a Secret Pakistan Airlift, «The New Yorker» 21.01.2002.

[64] Judical Watch, Lettera all’onorevole Charles O. Rossotti, Presidente dell’International Revenue Services, 20.09.2001.

[65] Carl Limbacher, Judical Watch: Clinton IRD Turned Blind Eye to Terrorist, «NewsMax» 23.09.2001.

[66] Terrorism 2000/2001, «FBI», 2004.

[67] Jonathan Weiner – Linfa Wertheimer, Intervista, «National Public Radio (NPR)» 21.11.2001.

[68] Tom Flocco – Michael Ruppert, The Profits of Deaths, Part III, «FTW Publications» 9.01.2002.

[69] «The Washington Post» 29.09.2001; «The Financial Times» 29.11.2001.

[70] «U.S. News» 8.10.2001.

[71] Jared Israel, Did “Our” Allies, Pakistani Intelligence, Found the WTC Attackers?, «The Emperors’s New Clothes» 15.10.2001.

[72] Michael Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit.,  pp. 65-66; Cover up or Complicity of the Bush Administration? The Role of Pakistan’s Military Intelligence Agency (ISI) in the September 11 Attacks, Center for Research on Globalisatione (CRG), Montreal 2.11.2001.

[73] Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp. 198-199.

[74] «Monterey County Herald» 26.05.2002.

[75] Loretta Napoleoni, La morsa, Chiarelettere, Milano 2009, pp. 64-66,77.

[76] Bijan Zarmandili, L’Iran vuole la sconfitta dei Talebani, da  La guerra del terrore, «Quaderni Speciali di Limes», supplemento a «Limes» n. 4/2001, pp. 123 -127.

[77] Seymour Hersh, Plan B, «New Yorker» 28.06-2004; John K. Cooley, L’alleanza contro Babilonia, Eleuthera, Milano 2005, pp. 307-308.

Prima pubblicazione parziale: 1. come “Monopoli e Risiko!: giochi di realtà”, «Argo» n. 14, 06.2008; 2. come “11 settembre, la pista finanziaria”, «Controluce» a.14, n.9, 09.2005. Riveduti e ampliati.
Fotografia: Claudio Comandini, “Palle di guerra” – Ferrara, ottobre 2008.

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