L’uomo e la gallina

Le galline sanno contare fino a tre, l’uomo fino a due: Giovani Marmotte e Gurdjieff a confronto. Neolingua, principio di non contraddizione, insignificanza: Orwell, Aristotele, il politically correct. La matematica secondo l’induzione totale e il giudizio sintetico a priori: Poincaré e Kant. Limiti e grandezza della condizione umana.

 

Proviamo a contare, e chiediamoci cosa significhi contare: un mondo dominato dalla quantità lo impone. Facciamo anche più di un passo indietro e volgiamo il discorso verso l’esatta immaterialità del numero. Potremmo scoprire che l’uomo, se rivendica la scoperta o l’invenzione di cifre e sistemi di numerazione, non è però l’unico animale che sa far di conto: infatti, come ricorda anche l’infallibile Manuale delle Giovani Marmotte, alcuni esperimenti hanno dimostrato che le galline, spesso bistrattate per la loro scarsa intelligenza, sanno contare fino a tre. Così, se di tre chicchi di granturco consecutivi che l’animale ha di fronte, due sono incollati al terreno, dopo alcuni tentativi la gallina è perfettamente in grado di saltare quelli che non può prendere e beccare il terzo chicco, l’unico effettivamente disponibile.

Presso un ambito diverso da quello proposto dalle Giovani Marmotte, il filosofo russo Piotr D. Ouspensky in Frammenti di un insegnamento sconosciuto espone gli insegnamenti ricevuti dal maestro armeno Georges I. Gurdjieff, il quale, trasmettendo al mondo moderno un’articolata serie di conoscenze di origine pitagorica, neoplatonica e gnostica, sostiene, tra le altre cose, che normalmente l’uomo sappia contare soltanto fino a due. Infatti, non rendendosi conto della meccanicità delle proprie reazioni, la maggior parte delle persone riesce a comprendere la realtà soltanto attraverso coppie di opposti inconciliabili, concepiti l’uno in funzione dell’altro e riferiti perlopiù soltanto alle proprie reazioni più elementari: bianco o nero, destra o sinistra, amico o nemico, tutto quello che l’uomo riesce a vedere è la grossolana semplificazione di una complessità ricca di sfumature. Tale comportamento si verifica prima che l’uomo si renda conto «di non essere cosciente» e «di non essere compiuto» e di avere quindi bisogno di una evoluzione personale autonoma e volontaria per la cui realizzazione deve innanzitutto «svegliarsi». Questo è raro che accada, anche perché perlopiù gli uomini, come rimarca Ouspenskj «non lo desiderano».

Chi lo desidera, potrebbe ricavare alcuni stimoli anche solo dall’osservazione e senza affrontare un impegnativo “lavoro su se stessi” in scuole come quelle fondate da Gurdjeff, scampando così al rischio di cadere in club “esoturistici” a volte lontanissimi da ogni onesto amore per il sapere e meno formativi delle Giovani Marmotte. Potremmo forse anche provare a chiedere direttamente alla gallina, che a vedersi sembrerebbe piuttosto sveglia: ma purtroppo non siamo in grado di capirla, in nessun modo: né riguardo alla dibattutissima origine che contende con il famoso uovo, né per quanto concerne il proprio specifico linguaggio. Potremmo finalmente provare anche noi ad imparare contare, almeno fino a tre, ma è davvero possibile? Contare fino a tre può aiutarci ad essere, se non svegli, almeno attenti quanto basta da non cadere vittima di false opposizioni, paralogismi e abbagli vari, che comprendono anche forme di manipolazione mentale?

Purtroppo, anche tre vocabolari possono trarre in inganno, laddove il loro intento è dare forme ad una neolingua come quella teorizzata da Gerge Orwell nel romanzo 1984 quale strumento di un bispensiero che costringe a «condividere simultaneamente due opinioni palesemente contradditore e di affermarle entrambe». Il Vocabolario A, detto delle «parole comuni», ha tra i suoi principali strumenti l’assimilazione dei concetti opposti: per dire cattivo, si usa sbuono, per dire buio, sluce. Il Vocabolario B, detto dei «termini politici» o delle «parole composte», si basa soprattutto sull’amalgama nome-verbo: l’ortodossia si esprime come pensabuono. Il Vocabolario C, o dei «termini tecnici», è  purgato da ogni interesse di tipo universale e quindi dell’idea stessa di scienza. La neolingua, nel suo contare fino a tre, dopo il due ricomincia da sempre da uno: il pensiero è del tutto incapace di sintesi esplicativa, e in questa maniera permette che la realtà oggettivata dal potere prescinda da ogni conoscenza possibile. Il bispensiero, portando ad affermazioni come «la guerra e pace» e «la libertà è schiavitù» viola il principio di non-contraddizione alla base della logica aristotelica (per cui sarebbe impossibile una formula tipo: A è anche non-A) e ci confonde le idee; inoltre, pensando l’opposto in esclusiva funzione dell’identico, inibisce la capacità di concepire l’alterità.

Nel nostro mondo il bispensiero si manifesta nell’annullamento delle diversità tipico della comunicazione e caratterizza anche le cautele linguistiche del politically correct e le stucchevolezze dei radicalismi di maniera. La neolingua impera laddove lo sviluppo di un discorso che presuppone esercizio e competenza lascia spazio alla codifica dell’incapacità di elaborare e fornire significato, oppure all’esibire recriminazioni alle quali si delega ogni possibile ragione. Osserviamo, in tutti i media vecchi e nuovi ma anche in ogni circostanza concreta, coloro che non smettono mai di parlare e dicono di tutto senza affermare alcunché, impedendo così che alcunché di significativo possa essere detto: anche laddove la loro capacità di ragionamento arriva fino a tre, non somigliano forse a tante galline?

Rivolgiamoci ad un ambito specificatamente matematico, senza voler vedere nella matematica la generalizzazione della logica, come fanno lo stesso Ouspenskj, il grande Leibniz, e anche molta psicologia comportamentale, questa valida per galline, marmotte e criceti ma forse non per animali che si suppongono un tantino più evoluti. E, sorpresa, in La scienza e l’ipotesi, il matematico Jules-Henri Poincarè, affermando che una sola intuizione diretta non è in grado di cogliere una verità aritmetica, ci riporta ad una condizione molto simile a quella di galline confuse dalla loro prima esperienza verso chicchi di granturco che qualche ricercatore creativo e un po’ dispettoso ha incollato per terra. Infatti, ’intelletto ragiona passando dal finito all’infinito attraverso l’«induzione totale», che permette di condensare in un’unica formula un’infinità di sillogismi concatenati. Il numero infinito invalida il principio di non-contraddizione e l’esperienza e va oltre le condizioni poste da Kant nel giudizio sintetico a priori, che com’è a tutti noto, è trattato nella Critica della Ragion Pura.

Nel vocabolario di Kant, solo apparentemente astruso e filosoficamente imprescindibile, «sintetico» indica ciò che connette un soggetto un predicato che non rientra nel suo concetto, «a priori» significa dotato d’universalità e necessità: tale giudizio è quindi in grado di estendere la nostra conoscenza ed è valido come condizione trascendentale del conoscere. Nelle concezioni di Poincaré, ancora di notevole rilevanza nel dibattito scientifico, la matematica ha carattere aprioristico ma non trascendentale, e quindi non dipende dall’esperienza e non ne determina le condizioni di conoscibilità ed è a queste contingente: insomma, è una manifestazione di pensiero il cui oggetto è la manifestazione di pensiero stessa.

In qualche modo, queste cose le galline le sanno, dimostrando inoltre di non subire u condizionamenti di neolingue et similia. Infatti, nei loro conteggi sembrano in grado di affermare, per usare le parole di Poincaré, «una potenza dell’intelletto che si riconosce capace di concepire la ripetizione indefinita di uno stesso atto dal momento in cui questo atto si è reso possibile una volta. L’intelletto ha, di questa potenza, un’intuizione diretta e l’esperienza non può rappresentare che un’occasione per servirsene e prenderne coscienza per suo tramite.» La matematica permette al pensiero di manifestare se stesso; tuttavia, saper contare anche fino a tre, come le galline, non ci consente di fare affermazioni sensate sulla realtà: questa capacità può tuttavia essere realizzata da uomini abbastanza grandi dal comprendere i limiti della propria stessa condizione.

Prima pubblicazione: «Controluce» a. XII n. 4 aprile 2006. Riveduto ampliato.

Fotografia: Claudio Comandini, “La maschera e il gallo” – Ca’ Benassi di Veggio 2013.

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