In memoria di un ragazzo suicidato dalla madre

Vogliono farci credere che è normale chiamare le forze dell’ordine se qualcuno che conosciamo si fa una canna, che è normale permettere che un nostro congiunto muoia per nostra responsabilità, che è normale risolvere tutto in una passerella autoassolutoria, che è normale che moralisti e immoralisti mettano bocca su tutte le tragedia alla faccia di qualsiasi decenza. Senza riuscire in nessun modo a far comprendere come possano accadere certe tristi storie di matrigne crudeli, adolescenti confusi e guardie zelanti. Infatti, pur evitando di santificare l’uso di droghe leggere come è stato prassi di mode andate a male, e quindi considerando tutte le ricadute di tipo psicotico comportate dal suo abuso e comprendendo ogni forma di dipendenza quale sintomo di un disagio da elaborare nei modi adeguati, è ormai opportuno riconoscere le varie tipologie di utilizzo che, piaccia o meno, esistono e sono diffuse, anche in forme consapevoli e controllate. La questione decisiva è poi che attraverso una tolleranza maggiore, regolata dalle opportune disposizioni, si potrebbero probabilmente contenere quei danni personali e sociali che attualmente si registrano. Di questi, la vicenda della città ligure di Lavagna, dove Giovanni Bianchi, un sedicenne in possesso di 10 grammi di haschish, si è suicidato nel corso di una perquisizione presso la sua abitazione, offre un compendio terribile e mortale e allo stesso tempo terribilmente banalizzante. Inevitabile così considerare il testo di legge in discussione, bloccato da Lega e PD, per cui i maggiorenni potranno detenere per uso ricreativo una modica quantità di cannabis (15 grammi a casa, 5 grammi fuori casa). Sarebbe poi possibile coltivare marijuana domestica senza facoltà di vendere il raccolto (massimo 5 piante), e ai maggiorenni residenti in Italia sarà consentita la coltivazione in forma associata in enti senza fini di lucro (Cannabis social club fino a 50 membri). Per i minorenni il divieto sarà invece assoluto. Regole precise anche per la vendita: previa autorizzazione si potrà coltivarla e lavorarla e la vendita al dettaglio avverrà in negozi dedicati, forniti di licenza dei Monopoli; vietate invece importazione ed esportazione. L’auto-coltivazione sarebbe consentita per fini terapeutici, rispetto alle quali esistono varie casistiche più o meno riconosciute, e saranno più semplici le modalità di consegna, prescrizione e dispensazione dei farmaci a base di cannabis. Divieti di fumo nei luoghi pubblici, parchi compresi, e di guida in stato di alterazione. Se queste sono le prospettive che prima o poi dovranno essere oggetto di adeguata discussione, riguardo di questo drammatico evento l’informazione sembra aver scatenato un quadro non sempre consolante. Lo psichiatra Paolo Crepet, pur denunciando in modo sensato i fallimenti educativi e certe facilonerie antiproibizioniste, non sembra riuscire ad entrare né nel dramma specifico, né nella questione generale. Roberto Saviano trova soltanto blanda opposizione da parte degli antisaviano, e non sbaglia nel notare come il quadro giuridico proibizionista renda perseguibili cittadini comuni laddove invece lascia indisturbati proprio attività e profitti delle mafie. E dove Simone Cosimi riesce a notare lo squilibrio di piazzare le Fiamme gialle sull’altare e l’inadeguatezza di salutare un figlio facendo lezioni ai suoi coetanei, il gen. della finanza Renzo Nisi, pur difendendo il suo operato e appellandosi all’«imponderabile», dichiara che avrebbe preferito una soluzione alternativa, e soprattutto sottolinea in maniera definitiva come a rivolgersi alla caserma sia stata proprio Antonella Riccardi, madre adottiva del ragazzo. E al riguardo, le riflessioni del procuratore capo di Genova Francesco Cozzi sembrano dimostrare maggiore comprensione di quella mostrato da quella donna, facendo pensare che forse avrebbe dovuto adottare lui il ragazzo: «Occorre prevedere a supporto di una persona che vive un’età fragile e fa uso di stupefacenti, quindi manifesta un disagio, un aiuto psicologico. […] Ci deve essere proprio uno specialista. La nostra posizione riguardo ai minori, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla liberalizzazione delle droghe leggere per gli adulti, è che i minori sono fasce deboli e vanno tutelati in ogni modo.» Riconosce inoltre Cozzi: «La persona che riceve una perquisizione ha diritto ad avere con sé una persona di fiducia. A volte questa persona può non essere la madre o il padre, con cui magari si sta vivendo un momento di incomprensione.» E che l’incomprensione di un parente e l’incapacità relazionare possano arrivare alla piena mancanza di ascolto e anche alla stronzaggine più indegna, è una realtà che in casi come questi casi va adeguatamente sottolineata: come fa il blogger Diego Cerretti contrappuntando parola per parola il comizio funebre della matrigna del ragazzo suicida. 

 

Le mamme stronze esistono. State per leggere forse le peggiori righe che una persona, addirittura io, possa scrivere riguardo qualcuno che soffre. Qualche giorno fa un sedicenne si è suicidato, l’ha fatto gettandosi dalla finestra mentre i finanzieri perquisivano la sua camera per una decina di grammi di fumo trovatigli addosso durante i controlli richiesti dalla mamma. Una reazione inconsulta, esagerata, dettata dalla paura, dall’ignoranza, dal panico, una reazione sciocca, una di quelle cose che ci si potrebbe aspettare solo, che so, da un adolescente. Non so come impedirvi di leggere quanto segue, quindi se potete evitatelo.

Odio, rabbia, frustrazione, offese veementi e neanche un cazzo da ridere. Giuro che se avessero lasciato il cadavere dov’era non avrei avuto nulla da dire, ma quando ho visto che qualcuno ha iniziato a ballarci sopra, mi sono sentito in diritto di offenderlo.

Premessa: non conosco le persone coinvolte né la loro storia, né i dettagli della reale situazione prima dell’accaduto, né c’ero quando è successo, né ho voluto esaminare un particolare di vita. Ma, cazzo, ho sentito e letto quelle maledette parole, e se è possibile far morire qualcuno due volte, è quello che è stato fatto.

Non ce l’ho con quella donna per quello che è, quello è un problema suo ed è qualcosa che non possiamo sapere fino in fondo, ma trovo terribile quello che ha detto.

Non parlerò del proibizionismo, che trova in questa occasione la ciliegina su di una torta più piena di merda delle crociate e della Jihad messe insieme. Parlerò invece della signora mamma di questo ragazzo, una signora che ha perso un figlio, l’evento più doloroso possibile nella vita di un genitore. Una signora che potrebbe per questo aver perso il lume di una ragione già latitante. Forse quando avrò finito non vorrete più aver nulla a che spartire con me, ma parlerò di questa mamma e delle sue parole senza pietà alcuna.

Lo farò perché ne ho bisogno, per denunciare la mancanza di un’altro tipo di pietà, quella che certe idee stanno spargendo tra gli uomini, lo farò perché se nemmeno una madre in questo momento riesce a liberarsi dai vincoli di queste idee, non c’è “le donne ci salveranno” che tenga, non c’è “se i poveri governassero”, non c’è “l’uguaglianza tra le razze porterà giustizia”; non ci sarà null’altro che “io”, tanti, troppi piccolissimi “io” che scinderanno l’umanità fino al minimo comune denominatore: la merda che siamo.

Questa madre aveva un figlio che perdeva colpi a scuola, lo vedeva smarrirsi un po’, e ha reagito chiamando la Guardia di Finanza e “mandandolo bevuto”, causandone “indirettamente” la morte. Si può sbagliare, anche in modo grave, e le conseguenze ricadono su di noi. Non è questo, il problema. Il problema è che la reazione di questa madre è stata quella di scaricare la propria responsabilità di genitore sulle spalle “della gioventù”, che, implicitamente, non capisce un cazzo. Spoiler, mamma dell’anno: la gioventù capisce quello che gli spieghi.

Accusando i giovani di manie di protagonismo e di altre amenità usa l’altare della chiesa come il palco di un reality per la sua performance da tronista. Ed ora, siccome io sono più merda di lei, risponderò al suo comizio passo per passo, perché uno schifo del genere, questa mamma e tutti quelli che assecondano il medesimo pensiero, devono schiaffarselo nel culo ogni volta che viene loro in mente di avere un figlio. Anzi, INVECE, di avere un figlio.

Iniziamo: «Le ultime parole sono per te, figlio mio. Perdonami per non essere stata capace di colmare quel vuoto che ti portavi dentro da lontano. Voglio immaginare che lassù ad accoglierti ci sia la tua prima mamma e come in una staffetta vi passiate il testimone affinché il tuo cuore possa essere colmato in un abbraccio che ti riempia per sempre il cuore. Fai buon viaggio piccolo mio.»

Questo è l’unico mea culpa che sentirete, insieme a quello del padre, che ammette di non essere stato un buon padre, tanto per rinforzare la tautologia insita in questa rubrica. Non possiamo sapere se e quanto questa donna abbia provato a stare vicino al figlio adottivo, la cosa che stupisce è però la bellissima frase sulla staffetta che, se la rileggete, non vuol dire un cazzo. Il testimone di cosa? Boh. «Finalmente sei con la tua vera mamma», pare consolarsi la donna, omettendo di dire che il perché di questa reunion potrebbe non essere una fortuita disgrazia.

«La domanda che risuona dentro di noi e immagino dentro molti di voi è: perché è successo, perché a lui, perchè adesso, perché in questo modo? Arrovellandoci sul perché, ci siamo resi conto che non facevamo altro che alimentare uno stato d’animo legato alla sua morte senza possibilità di una via d’uscita. Allora abbiamo capito che forse la domanda da porsi in questa situazione è piuttosto: come?». E invece no, principessa Myškin: “perché” era proprio la domanda giusta, e il non voler accettare la risposta non è un buon motivo per cercare la scorciatoia di una domanda di riserva. Bisogna affrontare i problemi, anche e soprattutto quando il problema deriva da una propria mancanza. Ma quanto è più facile dire “è colpa della droga”? Quanto è miserabile e vigliacco evitare così la questione principale, alla disperata ricerca di un’assoluzione, non nel privato del proprio dolore, ma in pubblica piazza?

Prosegue, rivolgendosi ai ragazzi: «Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuol soffocarvi». Un adolescente che ha difficoltà ad esprimersi? Davvero? Perché non ha chiamato direttamente le teste di cuoio? Sa cosa? Fumare una canna È normale, quanto bere alcolici, è solo meno legale, se sapesse distinguere il “mala in se” dal “mala quia prohibita” capirebbe che l’unica cosa soffocante è la garrota dell’ignoranza in cui ha fallito di crescere suo figlio.

«Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp», disse la protagonista del film indie “Piuttosto che parlarci ancora chiamo la finanza“. Insistere sulle idee che hanno portato il proprio figlio ad un’ingiusta fine prematura, questo sì che è cercare lo straordinario. Se avesse mai giocato ai videogiochi con suo figlio saprebbe che una mossa del genere la chiamano overkill. Ma è un’eresia pensare che lei facesse qualcosa del genere, visto che denigra persino l’utilizzo dello strumento tecnologico per comunicare. “Ah, maledetti giovinastri che utilizzate cose che non capisco”. E sicuramente chi usa Whatsapp non parla mai guardando l’interlocutore negli occhi, è sempre stato così, nella vita vera a Paperopoli.

«Straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza ‘sei bella’ invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate. Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. Per mio figlio è troppo tardi ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo.» E certo che a questo punto usare una frase preconfezionata da lei dev’essere senza dubbio MEGLIO che usare una frase preconfezionata da un poeta, da un cantante o da chiunque altro. Perché lei sa cosa è meglio per i giovani. Si capisce dalla quantità di figli morti che può vantare.

Straordinario è chiedere ciò che non si sa e accettare che le cose possano essere diverse da come le si immagina o pretende. Dire ciò che si sa, o peggio imporlo, è solo da straordinarie teste di cazzo. Straordinario è andare incontro alle esigenze del prossimo invece che imporre le proprie “soluzioni”. Questo discorso è un tale coacervo di umanità retrograda che persino i beduini che hanno scritto la bibbia l’avrebbero guardato con sospetto, mentre segnavano la lapidazione come metodo contraccettivo.

«Noi genitori invece di capire che la sfida educativa non si vince da soli nell’intimità delle nostre famiglie, soprattutto quando questa diventa una confidenza per difendere una facciata, non c’è vergogna se non nel silenzio: uniamoci facciamo rete.» La “rete”. Funziona un casino la “rete”. Forse dovrebbe iscriversi ad un meetup. O forse avrebbe dovuto frequentarli un po’ ‘sti cazzo di giovani invece di giudicarli senza conoscere altro che i voti di scuola e i telefilm sulla droga.

La sfida educativa. Cristo, si lamentava dello studio di suo figlio, ma lei quanto ha studiato per fare il genitore? Quanti libri di psicologia, di sociologia, di neurologia, di scienze comportamentali ha studiato prima di decidere come fare il genitore? Forse il ragazzo non zoppicava per la droga. Forse qualcuno l’ha azzoppato “nell’intimità della famiglia”.

Non possiamo saperlo, certo. Ma, per esempio, sarei anche curioso di sapere quali specialisti ha provato a contattare prima di prevedere per suo figlio una segnalazione alla prefettura da sbandierare con orgoglio quando sarebbe diventato direttore di banca.

Vergogna invece ce ne dovrebbe essere, e non solo nel silenzio, ma anche e soprattutto nelle parole dannose, perché signora, con quello che sta dicendo e facendo con queste sue parole, le garantisco che per lei e per ciò che rimane della sua famiglia il silenzio sarebbe l’unico scampolo di dignità.

«In queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo. La domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci. Fate emergere i vostri problemi», ha detto la madre ai ragazzi. Ancora. La domanda invece è proprio “perché”, e la risposta probabilmente è “perché prima di suo figlio i veri problemi li ha avuti lei”. L’unica differenza è che lei può continuare ad averne. Perché ha scelto il modo peggiore per dimostrare che forse non era la persona più indicata per avere figli.

E alla Finanza ha detto anche: “Grazie per aver ascoltato l’urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di vedere suo figlio perdersi. E ha provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi.» Le canne, lei lottava contro la dipendenza di suo figlio dalle canne. Se avesse davvero chiesto aiuto a qualcuno, prima che alla Guardia di Finanza, probabilmente le avrebbero spiegato che le canne erano la lotta contro la dipendenza da una madre ottusa e ignorante, i cui limiti hanno sbarrato la vita del figlio. I cui limiti hanno creato il «troppo tardi» di cui parla.

«Con ogni mezzo» significa che li provi tutti, i mezzi, prima di far arrestare tuo figlio davanti ai compagni di scuola, prima di farlo trascinare da uomini in divisa nella sua stanza, in modo che possano violare legalmente l’unico posto “intimo” per un adolescente, nell’incoerente tentativo di dimostrare che sì, le canne fanno meno male di un salto nel vuoto che parte dalla vergogna e finisce diversi piani più in basso. «Non c’è colpa né giudizio nell’imponderabile, e dall’impoderabile non può che scaturire linfa nuova e ancora più energia nella lotta contro il male. Proseguite

“La legge non ammette ignoranza”, per una che risolve le difficoltà del figlio chiamando le forze dell’ordine, dovrebbe essere un concetto semplice da comprendere; ecco, allo stesso modo, quando uno concorre alla morte del proprio figlio, potrebbe non essere la cosa più dignitosa da fare lo scaricare le responsabilità su un generico “male” usando la frase “chi l’avrebbe mai detto”.

Il male contro cui lottare è questo modo di pensare. Le sue idee e il suo comportamento incarnano la rovina delle nuove generazioni che, semmai nonostante voi troveranno la forza di lottare, dovranno farlo proprio contro l’ottusa, convinta e prepotente ignoranza che li sta costringendo ad essere ciò che non sono o, in alternativa, a non essere più.

Fotografia: Burning joint with smoke, Czech Republic, 27.11.2007.

Diego Cerretti, “Imponderabile un cazzo”, «nonsiseviziapaperino» 16.02.2017.

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