Il cavaliere, le armi e gli amori (o giù di lì)

Berlusconi e la giustizia. La corruzione dei poteri dello stato. Politica e teologia: il cieco e lo zoppo. Secolarizzazione e secolarismo. Pasolini e il romanzo delle stragi. Retroscena istituzionali e implicazioni internazionali degli attentati del 1969 e del 1974. Indagati, assolti e deceduti. Consociativismo e servizi segreti. Escatologia politica e società apocalittica. Il caso Moro. Ritratto di tre papi. La crocifissione dell’intellettuale. Altre stragi e la conquista dei media. Dalla P2 a Forza Italia. L’implosione comunista. Lo spettacolo e il fondamentalismo. La lotta iconoclasta e il riverbero dell’aureola di Gesù. La  scesa in campo. Leopardi e il popolaccio. L’Unto del Signore. Vattimo: pensiero debole e televisione. Dalla televisione didattica a quella commerciale. Perniola: attualità e svanire del presente. La cultura dopo il Sessantotto. La rivelazione del vuoto. Genova 2001, l’abuso e le convenienze: i dispacci di Wikileaks. Roma 2011, le spaccature e le violenze: il ruolo di Maroni. Iconicità di Mike Bongiorno. Politica estera e compagni di merende. Opinioni della stampa internazionale. Le donne in piazza per la dignità. Ruby e le donne del bunga-bunga. Pornocrazia e sangue del popolo. Ripresa delle vicende vaticane. Rimozione della realtà ed oblio della storia. Autoassolvimento e disprezzo di sé.

 

0. Penultime notizie

Colui che è noto per essere l’uomo più discusso e potente del paese è anche particolarmente impegnato in dibattimenti giudiziari, rispetto ai quali la Cassazione non ha ancora mai emesso pene definitive: infatti, sono circa 30 i procedimenti in cui è implicato Berlusconi [1], e le condanne che hanno coinvolto il suo seguito sulle questioni della prostituzione minorile lo espongono ad ulteriori complicazioni. [2] Mentre per la compravendita dei diritti televisivi è confermato che la Cassazione emetterà la sua sentenza il 30 luglio, [3] parte del parlamento ha elaborato i modi per condizionare in forme irrituali lo svolgimento dei processi, [4] e l’interessato sembra anche valutare la plausibilità di una via di fuga all’estero: [5] sicuramente, fioccheranno altri piani e ipotesi più o meno credibili prima che possa formularsi una mezza certezza. Le sentenze più recenti riguardano una condanna in secondo grado a quattro anni per la cessione dei diritti televisivi Mediaset, per cui l’accusa è di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita, e una condanna in primo grado a sette anni di prigione più l’interdizione dai pubblici uffici per prostituzione minorile e concussione. Tra esecutivo e giudiziario continuerà l’infinito cerimoniale di insulti e dispetti a cui da tempo siamo avvezzi, nessuna componente rispetterà il suo mandato istituzionale, pur pretendendo inquestionabilità e altri crismi.

trans.gifNegli ultimi quarant’anni la corruzione nei rapporti tra poteri dello stato si è espressa anche nella chiusura di ogni istituzione nella liturgia di se stessa, proprio dove alle controparti vengono negate rispettive competenze e legittimità. La celebrazione dell’incapacità di fornire dimensione operativa a riti e uffici è una delle ragioni per cui i compiti intellettuali di decodifica e critica sono stati sostituiti da occupazioni più proprie al settore delle public relations. Per comprendere l’attuale crisi, e non solo quella italiana, si possono incrociare tra loro la politica e la teologia, proprio dove nessuna delle due vuole farsi carico dell’altra mentre però avanzano insieme così come procedono un cieco e uno zoppo. Infatti, due e diverse sono le modalità di rapporto che intercorrono tra società moderne e cultura religiosa: una dimensione politica e secolare nella quale sono cristallizzati e presupposti i concetti propri alla religione (spesso non compresi), e c’è un secolarismo per cui le strutture civili pretendono a loro volta un carattere divino (perlopiù non riconosciuto).

Dove tali modalità si scontrano e si confondono, la comprensione degli eventi non può limitarsi a criteri di cronaca e pubblicistica che all’attualità favoriscono esclusivamente l’opportunità di proseguire una continua fuga in avanti. Non serve a nulla sperare che le vicende abbiano termine e risoluzione, anche perché niente ha mai fine dove l’informazione ormai fonda i fatti e il presente si fa inafferrabile: addirittura, sarebbe più facile trovare il paradiso nell’inferno. Tuttavia, laddove siamo forniti di almeno una minima base documentaria aperta a continui arricchimenti e possibili falsificazioni, senza idolatrare i fatti e senza lasciarsi incantare dalle interpretazioni, possiamo tentare di riconciliare l’universalità del pensiero con la transitorietà del particolare, e così snodare i fili che tra loro legano le perle degli anni.

 

1. Il romanzo delle stragi

I cambiamenti della società italiana iniziano a farsi tanto concitati quanto indefiniti nella stagione dello stragismo. Pier Paolo Pasolini si sofferma con una celebre requisitoria sui primi importanti episodi, rappresentati dalle bombe di piazza Fontana di Milano del 1969 (definita come «fase anticomunista»), di piazza della Loggia di Brescia e del treno Italicus presso la stazione di San Benedetto in Val di Sambro nell’appennino bolognese del 1974 («fase antifascista»). La sua tesi, che prende la forma di un «progetto di romanzo», è che il potere costituito abbia cercato di tamponare le conseguenze della stagione di proteste del Sessantotto e dei successivi esiti riformisti referendari con una precisa pianificazione di attentati. Questi attentati si configurano quindi come «una serie di ‘golpes’ istituatisi a sistema di protezione del potere» gestita da una cupola politica e dalla loggia massonica deviata che poi si sarebbe chiamata P2 in complicità con servizi segreti, militari, mafia, CIA, colonnelli greci. Pasolini sa «i nomi del ‘vertice’», «i nomi del gruppo di potenti», «i nomi delle persone serie e importanti»: tuttavia, non ha le prove, e nemmeno gli indizi. Nessuna sa o vuole dire quei nomi, ed egli stesso, che si è «messo in condizioni di non avere nulla da perdere», dicendo «io so» e pronunciando la sua «debole accusa», si limita di ricordare al potere le proprie responsabilità. Anche se la ricostruizione dei fatti non è particolarmente complicata, nella situazione effettiva «coraggio intellettuale della verità e pratica politica sono due cose inconciliabili»: l’intellettuale funzionario deve rigidamente attenersi ad una pratica d’intervento strettamente codificata, quello libero non ha accesso alle informazioni relative alla verità politica e non ha nessuna influenza. [6]

Nella propria ammissione di impotenza, Pasolini formula l’ipotesi di un «romanzo» che, se non sostituisce la realtà, aiuta a leggerla meglio. Oggi, la sua sofferta presa di posizione appare addirittura come un titanico atto di eroismo, dal momento che il gioco del potere di escludere dalla propria verità da una parte e di coinvolgere nelle proprie pratiche dall’altra ha conquistato tutti gli spazi di mediazione, fornendo in questo modo così discutibile proprio quell’«autorevolezza» che Pasolini rifiutava. Nessun ruolo sociale è quindi possibile all’intellettuale, se non in un cortile pseudo-ideologico e bassamente moralistico nel quale, per buffo paradosso spesso nemmeno riconosciuto, le rivendicazioni non solo si impongono come modello, ma addirittura vengono elevate al rango di utopia. L’omologazione è compiuta, la passione civile incomprensibile. La nostra situazione è tre volte ridicola, eppure consolatoria. Infatti, a motivo di stragi, attentati e altri orrori avvicendatisi nel paese, non sappiamo più neanche cosa abbiamo perso per davvero, e tuttavia abbiamo a disposizione molti dati in più per completare un romanzo all’epoca soltanto abbozzato, e se a qualsiasi intellettuale o affine manca ormai ogni influenza, in definitiva nemmeno Pasolini ha concluso niente.

Un prologo a questo romanzo si può scorgere nel maggio 1965, un anno dopo il mancato golpe del Piano Solo ordito dal capo dei servizi segreti Giovanni De Lorenzo. All’Istituto di Studi Militari Alberto Pollio di Roma è in corso il convegno La guerra rivoluzionaria, nel quale si elabora in funzione anticomunista e filoatlantica il nucleo della strategia della tensione, matrice della strage milanese del 1969. Invece, una scena decisiva è quella dove veniamo informati che «gli americani appoggerebbero soltanto un colpo di stato democristiano o comunque di centro», come dichiara ai giudici Carlo Fumagalli, tra i responsabili del golpe pianificato da Edgardo Sogno per il ferragosto 1974, successivamente gli attentati di Brescia e dell’Italicus. Il piano è mancato per un soffio a causa delle dimissioni di Nixon provocate dallo scandalo Watergate, e mentre nel frattempo impazza la guerra ai vertici dell’intelligence nostrana, a novembre cade il governo Rumor; segue il quarto governo Moro, che rimane in carica fino al febbraio 1976.

Con una certa verosimiglianza, il romanzo di Pasolini prosegue con i toni di apocalisse strozzata che ne marcano gli inizi. Le stragi del 1974 conoscono indagati e assolti (Franci, Tuti, Fianchini, Bittoni) e anche un morto in circostanze poco chiare (Esposti), principalmente appartenenti all’estrema destra di Ordine Nuovo e alle sue suggestioni di mistica della Tradizione, mentre le strutture spionistiche del SID vedono coinvolti nella sorveglianza e nelle indagini relative a Brescia il col. Delfino (che nel 1993 compie la discussa cattura del capomafia Totò Riina), e in quelle sull’Italicus la Ajello (vicina anche ai colonnelli greci). Il processo relativo alla strage di piazza Fontana, dal quale sparirono subito dopo l’attentato gli elementi probatori utili alle indagini, si apre con un anarchico che vola dalla finestra (Pinelli) e l’esecuzione di un commissario (Calabresi), indaga quindi tra comunisti (Valpreda) e fascisti (Zorzi), per chiudersi con l’assoluzione degli indagati (compresi Freda e Ventura condannati oltre il terzo grado di giudizio) soltanto nel 2004; [7] l’anno successivo sono prosciolti anche gli ultimi indagati e le spese processuali vengono attribuite alle famiglie delle vittime. Politica e giustizia mantengono copioni diversi e i tre attentati, nonostante le molte accuse, lunghi processi e morti d’ogni tipo, restano senza veri colpevoli. Indizio certo che vi sono coinvolti nomi importanti. [8]

Nella seconda parte degli anni 70 conquistano la ribalta le organizzazioni armate di sinistra. I terroristi conquistano valore iconico nella comunicazione nascente e preparano il clima culturale della globalizzione affiancando gli hippy e i sessantottini. Mentre nessuna categoria antagonista riesce ad intaccare il potere, fino al 1984 si registrano otto stragi: 15 anni di morti (150) e feriti (744). Gli atti terroristici hanno un nuovo sussulto nel 1993 in Sicilia con i terribili assalti mafiosi di via D’Amelio e Capaci e con attentati in altre città. Il romanzo procede, è pieno di violenza e insensatezza, e sa piacere. Nel caso in cui i suoi piani siano realmente giunti a conclusione, i nomi di cui avevamo bisogno sarebbe dovuti essere comparsi nei titoli di coda: come accade al cinema, la gente sarà sicuramente uscita senza nemmeno guardarli. Oppure, possiamo fare un’altra ipotesi, e immaginare che le stragi si siano continuate a compiersi con più eleganza, seppure con bagni di sangue d’idiozia, nelle trasmissioni televisive e nelle teste della gente.

Comunque vada, il romanzo di Pasolini sopravvive ad autori e personaggi e procede per conto proprio, esercitando notevole influenza; mentre la metaletteratura scrive la storia del paese, la comunicazione offre all’ignoranza, così come ad istituzioni e lotta armata, un posto in prima fila. Alla luce di circostanze e sviluppi effettivi, ci sono alcuni nodi interni da sbrogliare. Pasolini considerava la contestazione pericolosa per la stabilità del paese, segnando grossa parte della mitologia politica a venire. Tuttavia, va considerato che i risultati più costruttivi del Sessantotto si verificano abbastanza presto con la creazione di istituzioni di garanzia quale Psichiatria democratica e Magistratura democratica che, collegando vita civile ed impegno politico, aiutano a riformulare il senso della cosa pubblica e a stabilizzarne la partecipazione. [9] Tuttavia, nel suo progressivo sedimentarsi, la contestazione degenera in nuovi conformismi, e infatti nel corso degli anni gli slogan dei contestatori diventano parole d’ordine del sistema: infatti, la liberazione dell’ignoranza è stata incarnata da Berlusconi, mentre la sostituzione del gioco al lavoro l’ha realizzata il capitalismo finanziario. [10]

Il finale originariamente previsto per il «romanzo delle stragi» formulava l’ipotesi che il potere americano avrebbe dovuto acconsentire ad un Watergate italiano. Nel suo augurarsi che gli USA allentino la presa per permettere che i «responsabili minori» denuncino i «responsabili maggiori», Pasolini non fa altro che affidare, com’è tipico nella storia del paese, la risoluzione sostanziale dei problemi italiani a degli stranieri, la cui influenza effettiva deve però essere realisticamente misurata con le guerre ai vertici dei servizi segreti che in quegli anni coinvolgono gli opposti orientamenti della sicurezza occidentale. In Italia, la componente filoautoritaria è rappresentata da Vito Miceli, mentre quella moderata è incarnata da Gian Adelio Maletti: queste due realtà nella DC hanno come rispettivi referenti Moro e Andreotti.

Il corto circuito è netto: infatti, le protezioni internazionali delle quali godono le due principali correnti del maggiore partito italiano risultano completamente invertite rispetto a quanto da loro espresso nella politica nazionale: il sostegno al centrosinistra in politica interna è condizionato dalla copertura internazionale a destra, la quale è inoltre anche destinata a scemare. Pertanto, la conclusiva speranza di Pasolini che il «paese pulito» del PCI potesse davvero essere in grado di rappresentare esigenze di rinnovamento era del tutto irrealizzabile, in quanto non era conforme ai rapporti di forza che tenevano in piedi gli stessi comunisti: il consociativismo, o spartizione degli incarichi, permetteva tanto la stabilità del paese, quanto la definizione del proprio ruolo e, per quanto fosse obliquo, funzionava. Pasolini muore nel 1975, lasciando in sospeso molte trame, e nessuno resta a curare le speranze della sua escatologia politica.

Nel 1978, per mano delle Brigate Rosse Aldo Moro viene rapito in un agguato in cui vengono uccisi i cinque uomini della sua scorta, e dopo 55 giorni di prigionia è eliminato. Il gruppo terrorista è allo stesso tempo nostalgico dell’organicismo politico ottocentesco, esponente dell’antiautoritarismo contestatario, profeta della spettacolarità integrale incipiente. Il 16 marzo, credendo di colpire il cuore dello stato borghese e di fornire un simbolo forte ad una rivoluzione considerata imminente, Mario Moretti e altri brigatisti prelevano Moro nel giorno stesso del giorno che avrebbe segnato l’ingresso del PCI di Enrico Berlinguer nella maggioranza. Nella sua ultima lettera ricorda «il Governo che m’ero tanto adoperato a costruire», rimarcando che si trova ad essere ostaggio e condannato anche a causa della chiusura della politica a quel possibile «scambio di prigionieri» [11] che avrebbe coinvolto soprattutto il leader brigatista Renato Curcio.

La morte del più significativo esponente della cultura della mediazione provoca un vuoto di potere che i membri delle bande armate non sono certo in grado di colmare, al quale provvedono i socialisti di Craxi, tra i pochi favorevoli a trattative. I Brigatisti esprimono un’irrealistica e intransigente pretesa di “assoluto” densa di matrici apocalittiche e religiose, per le quali va paradossalmente a finire che un governo con partecipazione comunista non offre garanzie alla realizzazione del comunismo in terra. L’appello del pontefice Paolo VI rimane inascoltato. La sinistra parlamentare è, definitivamente e in modo irrecuperabile, in preda allo smarrimento, e denuncia il complotto internazionale. [12] Se i responsabili materiali hanno ricevuto le loro condanne, i responsabili delle sconclusionate indagini furono in grande parte membri della Loggia P2, mentre all’abbondante letteratura sul ruolo di servizi segreti e CIA si aggiunge la storia dei documenti scomparsi. [13] Il gesto riesce tuttavia nel suo intento dove si evidenzia la paralisi dello stato, la sua lontananza della società civile e l’impraticabilità del suo ricambio interno. [14]

Su un altro fronte, lo stesso anno si succedono anche tre papi: muore Paolo VI Montini, dopo appena trentatré giorni di pontificato scompare anche Giovanni Paolo I Luciani, e quindi viene eletto Giovanni Paolo II Wojtyla. Le vicende vaticane sono particolarmente decisive in un paese caratterizzato da una particolare tensione tra politica di governo e religione di stato, che dopo il Concilio Vaticano II sta andando a sua volta incontro a decisivi cambiamenti. I tre pontefici sembrano esprimere una spiccata dialettica. Il primo è un rigoroso tradizionalista, fortemente impegnato per la pace nel mondo e l’unità delle Chiese e delle fedi, consapevole che nel mondo il ruolo della Chiesa di Roma è ormai indebolito e che è addirittura invasa dai «fumi di Satana». Il secondo, pur se di famiglia socialista, è un’antimarxista e, per quanto aperto alla modernità, è ostile al potere della finanza, rappresentato nella Chiesa dal suo rivale card. Marcinkus, direttore della Banca d’affari nota come IOR. Il terzo, con raro ecumenismo, riesce a sintetizzare tutto questo: il papa polacco parlando di povertà e pace contribuisce al crollo dei paesi socialisti e apre alla globalizzazione, anche attraverso la gestione delle risorse dello IOR e in intima solidarietà con gli USA.

Pasolini aveva espresso l’idea che il tempo storico elaborato dal cristianesimo come provvisto di una “fine” era stato definitivamente importato dal mondo urbano: pertanto, in tale cultura collettiva e in continuo divenire la Chiesa, abbandonando definitivamente il potere, avrebbe dovuto trovare la propria sopravvivenza. La Chiesa, effettivamente, si allarga molto più in là delle periferie di Tormarancio e Tuscolano e, mentre mantiene accordi con paesi ricchi che non hanno più nessun bisogno di lei, cresce di autorità e consensi nei confronti del Sud del mondo. [15] Sotto il semiprotettorato americano l’Italia gode di un notevole arricchimento e di uno spiccato benessere, e tuttavia le zone d’ombra coinvolgono, oltre alla questione della sicurezza, anche il Vaticano. Il caso del banchiere Roberto Calvi, dal 1975 alla guida di un fitto intreccio di compravendite fittizie, si intreccia con le attività di finanziamento alle associazione anticomuniste internazionali fatte con i soldi della malavita a spese dei risparmiatori italiani. Le implicazioni di questi affari coinvolgono anche l’attentato a Woytjla del 1981 e la morte di Calvi, avvenuta l’anno successivo a Londra, rubricato ufficialmente come omicidio anche se privo di responsabile, rappresenta un altro snodo decisivo delle vicende repubblicane. [16]

Ai tempi di Pasolini, l’ignoranza vaticana e quella borghese impedirono lo sviluppo culturale. Dopo, mentre il mondo borghese-contadino si scava la fossa con la propria stessa bolsa rozzezza, religione e clero si ritrovano senza appeal in città in cui la trascendenza inizia a svuotarsi. Il Partito comunista, che aveva già perso l’egemonia culturale, inizia un’inarrestabile ed eterna disintegrazione. Negli anni 80 il bisogno d’ignoranza del popolo viene indotto e assecondato da nuovi paradigmi. Alla sezione si sovrappone la discoteca che quindi sostituisce la chiesa; la liturgia dell’effimero fornisce alla quotidianità forme di ecclesia più funzionali a potere, così come la fede verso la stabilità è minata da modelli d’instabilità fascinosamente eretici. Il grande capitale diventa deviante e dissipatorio, la logica del padre di famiglia e degli uomini in bombetta non gli serve più: al lavoro si sostituisce lo sciupo, al risparmio il gioco d’azzardo. La realtà si fa sempre più folle e la storia è travolta da processi che ne oltrepassano la capacità d’autocomprensione. I politici chiedono al “chierico” di dire sempre sì e il ruolo di chi fa professione di critica sociale è costretto a disperdersi. Troppo difficile chiedersi perché. L’intellettuale è crocefisso nel disprezzo sociale; i farisei dell’opinione seducono le masse. Tutto regolare.

 

2. Lo spettacolo dell’illusione

Il marcire italiota di egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo, giunge così a coniugarsi con una mutazione antropologica di carattere totalitario e violento; la propaganda televisiva verso uno stile di vita edonistico favorisce tanto la perdita della capacità di distinguere quanto la crescente massificazione: tutto questo poteva produrre solo un fascismo peggiore di quello storico. [17] Nel 1979 si accavallano nel paese attentati terroristici di gruppi di estrema sinistra, arresti di esponenti di Autonomia Operaia e di intellettuali, la sconfitta elettorale comunista; l’anno successivo, sotto il governo Cossiga, si verificano la strage di Ustica, dove un jet dell’Itavia viene probabilmente abbattuto in uno scontro tra Libia e America, e la strage della stazione di Bologna, che potrebbe essere stato realizzata proprio come diversivo verso quanto accaduto nei cieli di Ustica; a corredo, troviamo il consueto corredo di logge massoniche e servizi segreti deviati, morti misteriose e indagini inconcludenti. [18] Sempre nel 1979, il quarantatreenne Silvio Berlusconi, nominato cavaliere del lavoro due anni prima per la sua attività edilizia, fonda la società di commercializzazione di programmi televisivi Reteitalia e investe 10 miliardi di lire in uno stock di 325 film, in gran parte americani, prodotti dalla società cinematografica Titanus.

Consapevole dell’importanza pubblicitaria già dai tempi della sua tesi di laurea in giurisprudenza, Berlusconi va alla conquista della media industria contattando gli inserzionisti in proprio, in modo difforme da come faceva l’allora monopolista Sipra, e fonda anche l’agenzia Publitalia 80. Inizialmente diffonde i programmi sul territorio nazionale attraverso l’uso di videocassette, inserendo preventivamente gli spot; successivamente si dedica agli acquisti dei personaggi Rai, di cui il primo è la star dei quiz Mike Bongiorno. Tra le inevitabili protezioni di cui dispone c’è quella offerta dalla loggia massonica deviata P2, di cui ha la tessera n. 1816; negli elenchi è inserito alla voce industriali, ma negli appunti privati di Gelli figura alla voce “Informazione e mezzi di controllo di massa.” [19].

Le trame della P2, diretta da Licio Gelli e impegnata in un articolato “Piano di rinascita democratica” che comporta la ridefinizione di tutti gli equilibri di potere, sono scoperte nel 1981 nell’ambito delle indagini sul crack della Banca privata italiana di Michele Sindona e preparano la normalizzazione che arriva a compiersi proprio con Berlusconi. Il cavaliere, da magnate televisivo, diventa influente politico nel 1993 durante la campagna di azione giudiziaria Mani Pulite della Procura di Milano, che pur non coinvolgendolo personalmente porta all’eliminazione dei suoi referenti politici e lo espone ad enormi problemi di solvibilità finanziaria. [20] Il ciclone che doveva ripulire l’Italia si risolve nell’affondo del capitalismo di stato e nella formulazione di un nuovo ceto dirigente particolarmente conforme ai piani del Nuovo ordine globale sorto con la prima guerra in Iraq del 1991. Finisce l’unità politica dei cattolici e si arresta la sinistra non marxista socialista, ma entrambe le esperienze si diasporizzano in tutti gli schieramenti. Tuttavia, l’assenza di un centro fa mancare la “cozza” che depura i liquami dell’ecosistema politico italiano, e infatti elementi fascisti, liberisti e localisti diventano costitutivi, polarizzandosi anche per effetto di una controversa riforma elettorale.

La Democrazia Cristiana viene travolta, più che dai processi giudiziari, da un’annosa crisi interna e dall’insorgere di nuovi equilibri internazionali; il suo potere era comunque forte come quello espresso da Mussolini e poi anche da Berlusconi: privo di un’opposizione effettiva e risolutiva, senza avversari di fatto. Il PCI, destinato ad innumerevoli cambi di nome e coinvolto in una progressiva e irrimediabile implosione, in cui non solo si depura di ogni elemento di filosovietismo ma perde ogni apparenza di sinistra, non recupera più alcuna egemonia e anzi fa scempio tanto di Gramsci quanto di tutto quanto lo procedeva e lo seguiva. Addirittura, un Massimo D’Alema arriva a proteggere il cavaliere suo avversario sulle questioni e nei momenti più delicati, quali la perdurante questione del conflitto di interessi e i rischi concreti di carcere. Il discorso complessivo si appiattisce per un condizionamento che, oltre a quello diretto esercitato nella formulazione di clientele e connivenze, coinvolge anche l’inflazione di posizioni ossessivamente legalitarie e stataliste. [21] Tutto ciò fa comprendere che una critica dell’esistente che coinvolga il livello etico quanto quello culturale, è come minimo indispensabili, ma deve essere compiuta con strumenti più affilati di quelli offerti dalla vaga indignazione o dal sordo risentimento.

Continuiamo ad osservare il mondo: strano a dirsi, anche l’Italia ne è parte. Per effetto dei numeri, oppure per comodità storiografica, spesso negli interstizi tra i decenni è possibile registrare cambiamenti decisivi, e il 1979 sembra particolarmente cruciale. In Iran scoppia la rivoluzione islamica, e gruppi di universitari occupano le ambasciate e tengono per circa quindici mesi trenta americani in ostaggio per costringere gli USA a consegnare lo scià; infine, prende il potere un teologo già esiliato in Francia, l’ayyatollah Khomeini, riconosciuto quale portavoce della teofania dell’Imam nascosto. In Inghilterra va al governo la conservatrice e ultraliberista Thatcher, che taglia le spese sociali e rilancia il ruolo dei privati; negli USA è eletto presidente il repubblicano Ronald Reagan, ex attore, già governatore della California e fervente evangelista, che demolisce gli interventi statali nell’economia fino ad allora tipici della politica americana. L’Afghanistan è invaso dalle truppe sovietiche. In Nicaragua c’è la rivoluzione sandinista. Mentre il vertice di Vienna stipula un accordo tra USA e URSS sulla limitazione degli armamenti e in Pennsylvania c’è un disastro nucleare, la NATO decide l’istallazione degli euromissili.

Sempre nel 1979 Israele restituisce all’Egitto la penisola del Sinai, occupata durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, in cambio del riconoscimento egiziano del diritto all’esistenza della nazione ebraica; gli altri paesi arabi criticano l’Egitto e negli accordi non è fatto nessun accenno alla questione palestinese e alla divisione di  Gerusalemme. L’anno precedente, alla Casa Bianca Begin e Sadat avevano firmato il trattato di pace di Camp David, voluto dal presidente Jimmy Carter, democratico ma evangelista a sua volta, che perde la rielezione a causa degli eventi in corso in Iran. Begin è il primo politico di Israele, stato nelle intenzioni originarie laico e secolare, a coltivare l’alleanza con i tre leader più conosciuti dell’evangelismo militante, Jerry Falwell, Billy Graham e Pat Robertson, consolidando quindi il legame tra Israele, ebraismo e fondamentalisti cristiani. In un vorticare di eventi spesso contraddittori non soltanto uomini di fede come Wojtyla e Khomeini, ma anche personaggi politici come Reagan e la Thatcher dichiarano che il loro potere proviene da Dio, e come in un rito di fondazione arcaico tagliano la gola alle legittimità illuministiche con modi da stregoni. [22] Tuttavia, questo stesso potere si esprime all’interno di forme e istituzioni nate dall’illuminismo, che a loro volta dimostrano tutti i loro limiti, derivati dall’aver accantonato la capacità di pensare il pensiero per porsi ad esclusivo favore dell’imperativo di guidare la prassi. [23]

In una società laica e secolarizzata dominata da un pensiero integralmente trasfuso nelle cose, paradossalmente accade che fondamentalismo e spettacolo siano intimamente legati: ci aiuta a comprenderlo Debord, il critico decisivo della «società dello spettacolo», dove ci segnala che «lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell’illusione religiosa» [24]. Facendo qualche passo indietro nella storia delle immagini, nel 726 papa Gregorio II, opponendosi al tentativo di riforma iconoclastica dell’imperatore bizantino Leone III, aveva affermato la legittimità di venerare le immagini «come Dio in terra», argomento che per il II Concilio di Nicea del 787 si esprime con la conformità dell’iconofilia alla natura di Cristo quale Dio incarnato. Se il dogma dell’incarnazione costituisce quindi la base remota del culto delle immagini, le ortodossie religiose hanno sempre arginato l’idolatria riconoscendo loro particolari forme di devozione.

Tuttavia, più di un millennio dopo la lotta iconoclasta, il mondo secolarizzato e le sette neo-protestanti riescono in qualche modo a giustificarne l’antica ferocia, laddove senza andare troppo per il sottile nel 1979 a nome della Christian Broadcasting Network (CBN) il telepredicatore Pat Robertson e il regista Gerard Straub pianificano addirittura le riprese della Seconda Venuta di Cristo, ponendosi l’assurdo problema del «riverbero» di luce dell’aureola. Il complesso argomento della Parusia viene ridotto alle forme di un millenarismo tecnologico e si precisa in stretta connessione con le modalità di diffusione dell’evento all’interno di una struttura concentrata e fortemente controllata capace di rispecchiare la “divinità” della sua natura senza essere messa in discussione. Inoltre, la questione si definisce rispetto al problema della luce dell’aureola del Cristo, cioè nell’uso delle tecniche di ripresa più appropriate: in altri termini, l’accento è posto su argomenti di innovazione tecnica e di persuasione comunicativa.

 

3. Riverberi del vuoto

Se gli evangelisti sono convinti che la televisione realizzi il precetto «andate e ammaestrate tutte le genti» (Matteo 28, 19), ad incarnarne l’aspetto di controllo ideologico è il demenziale individualismo spinto del “Drive In”, arma vincente dell’egemonia sottoculturale berlusconiana e della visione del mondo diffusa dagli “intellettuali organici” della scuderia Fininvest. [25] Innovazione tecnica e persuasione comunicativa rappresentano il nucleo della prassi e dell’ideologia berlusconiana non soltanto per ragioni di stile o di guadagno: è esattamente qui che possiamo trovare gli aspetti fondamentalisti nel suo potere, non certo in una convenzionale affiliazione al cattolicesimo. A prova di questo, all’inizio della scesa in campo del 1994 Berlusconi rilascia questa sibillina affermazione: «Non amano l’America quelli che non amano la televisione». La frase fa comprendere che il fenomeno non riguarda soltanto il personaggio e l’Italia, ed è quindi necessario sia osservato al di là delle due scimmie note come berlusconismo e antiberlusconismo, pur chiamando in causa le caratteristiche di cinismo e offesa tipiche del «popolaccio italiano» e la cronica assenza nel paese di una società civile, elementi citati nella celebre denuncia compiuta da Giacomo Leopardi nel 1824. [26]

Al nostro povero popolaccio piace farsi illudere dal mito dell’uomo forte e carismatico, che trova in Berlusconi un depositario particolarmente devoto, il cui ricorso alla terza persona per parlare di sé sembra davvero degno di un Messia. E il colpo più disinvolto alle legittimazioni illuministe è compiuto dal cavaliere ai tempi della sua prima legislatura, quando definisce colui che è «scelto dalla gente» come «Unto del Signore» [27] e pertanto come eletto da Dio. Nessuno si scandalizza troppo, né il popolaccio, da sempre abituato ad essere dominato in base ai motivi più bizzarri, né la Chiesa, che grazie a papa Wojtyla conosce un’enorme espansione mediatica mentre fornisce un decisivo contributo al crollo del socialismo reale, esprimendosi quindi in sostanziale accordo con il virulento anticomunismo berlusconiano.

La somiglianza tra l’oratoria del capo di Forza Italia e quella dei telepredicatori tocca il suo apice nelle convention, eventi carichi di suggestioni messianiche. È però anche legittimo chiedersi se la stretta aderenza di Berlusconi alle posizioni americane non sia stata funzionale a cercare di ottenere il monopolio sulle riprese di una Parusia trattata dal popolare telepredicatore americano Robertson senza riguardo alcuno per ogni seria argomentazione teologica, così come il leader italiano dimostra maggiore interesse per la comunicazione piuttosto che per la politica, la quale, conformemente al trionfalistico “pensiero unico”, viene comunque gestita riducendola all’economia. Gli italiani, già abituati a votare tappandosi il naso, cominciano anche a chiudere gli occhi, mentre Berlusconi nel realizzare il primo colpo di stato mediatico e “post-politico” del mondo conosciuto si pone come «avanguardia dell’oblio». [28] Come l’aureola di Gesù sotto le telecamere, l’Italia si riduce negli equilibri internazionali ad un riverbero di altri poteri. Spettralità e clonazioni sono alcune delle sue forme.[29]

Le riprese televisive della Seconda Venuta di Cristo e l’assimilazione di un affarista come Berlusconi ad una figura messianica trovano la loro legittimità più prossima, pur se al di là delle intenzioni, nel “pensiero debole”. Per Gianni Vattimo, in un generale ed euforico contesto d’emancipazione delle minoranze e di crescente società dei servizi che caratterizza gli anni tra 80 e 90, in una pluralizzazione e un’oscillazione generale che rende impossibili prospettive assolute sul mondo, l’informazione diffusa va a rappresentare l’autocoscienza compiuta di un’umanità capace definitivamente di prescindere dalla razionalità del mondo, cioè dalla metafisica e dalla scienze. Nietzsche ha evidenziato che la centralità del logos non è più paradigmatica: occorre ora comprendere l’articolazione delle verità locali.

Laddove esperienze come la diretta televisiva riducono la storia ad un piano di simultaneità, l’autotrasparenza presunta del media sembra demistificarne i meccanismi di dominio, rivelando piuttosto un’aspetto affabulatorio capace di svelare il carattere “plurale” dei racconti. La “comunità” stabilita dalla comunicazione assurge quindi a soggetto trascendentale e la società stessa si costituisce come “soggetto-oggetto” e quale sapere riflessivo, mentre l’esigenza di una ”assolutezza dello spirito” si mantiene all’interno di un discorso pluralista capace di erodere il principio di realtà e condurre a definitivo declino la trascendenza metafisica. Di tale processo, che secondo Vattimo con molte contraddizioni prima vanifica la razionalità del reale e poi realizza la dialettica hegeliana, è posto in inciso l’aspetto marxista, strutturale e alla lunga determinante, cioè che il controllo del potere economico è ancora nelle mani del grande capitale. [30] In breve, la tesi di Vattimo rappresenta una clamorosa fonte di equivoci.

Con involontaria ironia Debord aveva già evidenziato che lo spettacolo di cui si compone la società nasce dalla «realizzazione tecnica» della «debolezza» del pensiero filosofico, incapace di superare la teologia e dominato dalla scissione tra soggetto e oggetto, dalle categorie basate sul senso della vista e dall’incessante spiegamento della razionalità tecnica, dove afferma che la realtà vissuta si riduce ad una rappresentazione e si degrada in universo speculativo: insomma, lo spettacolo «non realizza la filosofia, filosofizza la realtà.» [31] A beneficio di Vattimo si può dire che l’esperienza televisiva a cui fa riferimento, alla quale aveva concretamente contribuito, era stata quella con cui nelle speranze dell’Italia repubblicana si cercava di trasmettere una cultura ad un paese ancora in fase di unificazione, proseguendo con un nuovo supporto tecnologico l’opera intrapresa dalla monarchia e dal fascismo, rimasta sostanzialmente incompiuta. La televisione di stato, servizio pubblico dal solido impianto professionale, attenta alle esigenze didattiche oltre che a quelle di svago, conosceva spazi appositi per la poesia e offriva argomentate tribune politiche, e in cui la pubblicità costituiva perlopiù il pretesto per le sceneggiature di Carosello, spesso autonome rispetto al prodotto di riferimento.

Già dall’inizio degli anni 80 Berlusconi, forte della protezione dell’allora potente Craxi e della mancanza di un quadro legislativo, entra nel nascente pluralismo italiano e lo distrugge, acquisendo piccole emittenti libere locali che rilancia livello nazionale riorganizzandole secondo criteri commerciali. Il suo monopolio nella televisione privata è ratificato nel 1990 dalla legge Mammì, mentre i suoi programmi hanno già costretto la televisione di stato ad una concorrenza al ribasso. Il cavaliere ha notevolmente rafforzato le condizioni di una legittimità “informazionale” molto più efficace degli strumenti della propaganda tradizionale, privando la democrazia della capacità di controllo sul potere politico ed estendendo molto al di là dei rimedi disponibili la portata delle preoccupazioni di Popper sui pericoli insiti negli usi della televisione. [32] Nelle forme più popolari e corrotte di giornalismo sulla notizia prevale il comunicato d’agenzia, la linea editoriale si adatta alle pretese dello sponsor e tutto ciò è ricoperto di un sordo incanto luccicante quanto squallido. La mistificazione è talmente radicale da inibirne la possibile decodifica, al punto che anche nella controinformazione la considerazione critica delle fonti è azzerata da un dibattito pubblico ridotto ad impero della chiacchiera e dalla strana autorevolezza del sentito dire.

I processi di culturalizzazione si accompagnano alla caduta della netta distinzione tra realtà e immaginazione; mentre iniziano gli anni 90, Mario Perniola li indaga secondo una direzione che diversamente da quella del pensiero debole cerca una presa diretta tra pensiero e società. L’ossessione e la «dittatura dell’attualità» dei media sono quindi criticati in quanto esprimono continuità con il primato dell’atto stabilito dalla metafisica aristotelica, che misconoscendo il possibile come pura contingenza conduce a configurare Dio esclusivamente quale sostanza, atto puro, privo di materia e potenzialità. L’attualità non è quindi l’esperienza del presente quanto il suo perenne svanire e non rappresenta mai niente di nuovo ma configura un riciclaggio continuo. Il media televisivo non si riferisce a modelli di razionalità ma agisce attraverso meccanismi simili a quelli di derealizzazione, dislocazione e ricombinazione descritti da Freud per la formazione dei sogni. La televisione in qualche modo sarebbe il sogno da cui siamo sognati e pretende, come notato da Lacan rispetto alle patologie psicotiche, di risolvere la realtà tutta rifiutando altri “ordini simbolici”, confinando ogni evento ad un tempo reale brevissimo e senza memoria dove ogni messaggio è omologato in un unico registro e tutto è interscambiabile. [33]

L’individuazione di un regime di storicità segnato da una “comunicazione”, che assomiglia allo “spettacolo integrato” di Debord nel nascondere le identità, e al contempo caratterizzata dall’esigenza di annullare di continuo ogni contenuto [34] permette a Perniola di individuare un nesso preciso e sorprendente tra l’azione di Berlusconi e le promesse del Sessantotto, entrambe segnate da un vitalismo esagitato e da un trionfalismo farneticante. L’analisi è articolata in maniera piuttosto plausibile laddove lo scempio del sapere e delle istituzioni è stato compiuto con una manovra a tenaglia che ha visto un potere incapace e antagonismi sterili fare a gara di incompetenza. [35] Un limite alla posizione è laddove si dimentica che le frange più interessanti della cultura nata dalla contestazione hanno espresso l’esigenza di un’integrità anticonsumista e di condivisione sociale in netto conflitto con i criteri di abuso e privatizzazione messi in gioco da Berlusconi prima nelle sue televisioni e poi con l’azione di governo, espressasi anche in campo specificatamente culturale. [36] La dozzinalità berlusconiana non ha niente a che vedere con l’eccellenza delle avanguardie popolari forniteci soprattutto dalla musica, dal cinema e dal fumetto in numerose stagioni, per quanto queste possano avere avuto in alcuni casi toni stereotipati e essere state più di normalizzazione e regressione che di lotta e crescita; è invece riconducibile ad un clima culturale di cui Berlusconi è parte che attualmente per mantenere il proprio potere iconico tutti i fenomeni pop, “frikkettoni” compresi, rischiano l’estremo fino al grottesco, mentre a livello politico non riesce a proporsi un movimento minimamente capace di uscir fuori dalla minchioneria.

In questi spostamenti del logos, il riverbero dell’aureola di Cristo sotto i riflettori può essere visto come l’immagine di un trascendimento corrotto costretto a svolgersi immanentemente al capitalismo trionfante: è il grande spettacolo dell’universo mediatico che guarda se stesso, per cui sono condizioni imprescindibili riflettori e capacità di assorbimento dei supporti di ripresa, pellicole od altro. In altri contesti, un’irradiazione luminosa di tale tipo indurrebbe semplicemente a pia devozione, ma possiamo leggere McLuhan dove dice che il “messaggio” si costituisce sul “media” in modo da comprendere che forse alla “diretta dell’Apocalisse” siamo stati avvezzi già dallo stabilirsi stesso dei mezzi di comunicazione di massa, seppure in modi banalissimi. In qualche modo ha quindi ragione l’evangelista Pat Robertson, ma non perché sia costituiva alla televisione una rivelazione divina: piuttosto, sembra evidente la sua capacità di spalancare nella propria insignificanza un orrore colossale, un vuoto senza nome. Tale azione coinvolge anche altri mezzi di comunicazione di massa, come il cinema, con le platee terrorizzate dai treni in corsa dei primi esperimenti dei Lumière, la radio, con la celebre narrazione di Orson Welles dell’invasione extraterrestre e il panico collettivo che ne conseguì, e anche Internet, la cui esperienza effettiva non permette più nessun gretto ottimismo, ma induce ad una massima vigilanza.

Ha quindi ragione quel pazzo telepredicatore, però a rivelarsi non è il divino con i suoi consueti attributi, ma qualcosa di più “terribile”, oltre il “sublime dinamico” determinato secondo Immanuel Kant nella nostra disposizione d’animo dalla visione dei grandi sconvolgimenti [37] e più in là del “numinoso” per Rudolf Otto alla base delle religioni e tipico della nostra reazione a qualcosa assolutamente non razionale e privo di connotazioni etiche, non spiegabile per concetti. [38] Il “terribile” che i media possono rivelarci si configura in modi immediati come qualcosa di non desiderato e non desiderabile, una sorta di male assoluto, impossibile da gestire nei termini del presunto mondo reale; della sicurezza di questo reale i media si fanno garanti mantenendo l’amministrazione dell’immaginario e contendendo la gestione della convivenza alla politica, la quale a sua volta incrementa il controllo sull’informazione. Questo vuoto, in qualche modo è quella stessa realtà che i media hanno rimosso dalla nostra considerazione: forse, il nostro attualissimo Messia è proprio questo vuoto, che proclama definitivamente il proprio potere con il crollo delle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 e con le Guerre globali conseguenti.

 

3. Umori dalla piazza glocale

Il 20 luglio 2001 a Genova l’incompetente gestione dell’ordine pubblico durante la manifestazione No global contro il G8 provoca 400 feriti, un morto e il definitivo azzeramento del dibattito politico. Wikileaks ci avvisa che l’ambasciata USA, a cui non sfugge il modo pretestuoso e raffazzonato di organizzare il vertice, emanazione di una politica poco lungimirante e concentrata su piccole cose, si preoccupa di avvertire il Dipartimento di stato, che aveva esplicitamente parlato di «abuso dei diritti umani», di non criticare troppo Berlusconi e l’operato della polizia italiana per non fornire argomenti ad un’opposizione ancora più labile del governo. «Il rapporto non è difendibile e consistente come avrebbe dovuto essere. Noi non vogliamo che una situazione già delicata sia resa peggiore dall’appoggio del governo degli Stati Uniti alle accuse del centro-sinistra ad un governo relativamente popolare […] D’ora in poi, a torto o a ragione, proclameranno il sostegno degli USA al loro punto di vista […] Noi non siamo in grado di controllare il tono dei resoconti giornalistici e, come già notato, le guerre dei media sono una prosecuzione della politica con altri mezzi». [39] Cambiano gli apparati bellici e le direzioni, ma lo spettro di Clausewitz continua in un modo o nell’altro ad agitare le varie forme di conflitto.

Dieci anni dopo, al tempo dei disordini seguiti a Roma alle manifestazioni del 15 ottobre contro un’umiliante riforma universitaria e un’inutile fiducia ad un governo esautorato, Berlusconi si ritrova a governare un paese a pezzi, con un parlamento spaccato, un’economia incapace di crescita, definitivamente impoverito nella sua cultura. Duecento-trecentomila di persone sono in piazza. La maggioranza prende visibilmente le distanze dalla fazione violenta e applaude, in maniera del tutto inedita, alla polizia, prendendo le distanze dai cento componenti di quello che non sembra un movimento acefalo, ma piuttosto una massa di acefali privi di movimento, per quanto dotata di un livello di addestramento e organizzazione di tipo militare. La situazione produce più di cento feriti, tra cui molti poliziotti, un milione di euro di danni, un fallimento collettivo.

La situazione generale è talmente grave che il potere giudiziario, pur convalidando gli arresti, rilascia dopo solo un giorno ventidue dei ventitré fermati alla manifestazione, che coinvolgono pure quattro donne e sei minorenni, responsabili di aver partecipato ad una caotica devastazione della città e ponendo quindi le premesse per la loro riabilitazione, contrapponendosi nettamente alle posizioni del sindaco di destra Alemanno. [40] I fermati, giovani senza futuro e con poche idee, che hanno agito con competenza tattica militare pur facendo a pezzi molte ragioni della stessa opposizione, già sono condannati a vivere in un paese profondamente mortificato dove persino il lavoro più vile sembra un miracolo, pressato dai biscazzieri della globalizzazione nel più provinciale dei modi. Un paese che esprime una politica interna depravata, dove i soldi spesi a puttane sono probabilmente superiori a quelli investiti in servizi, un paese autocolonizzatosi in riflesso di una politica estera schizofrenica, incapace e provinciale: questo è quello che sembra. Vediamo però fatti e retroscena.

Il deputato PdL Giorgio Stracquadanio denuncia che nella circostanza ha pesato l’astensione di maggiori controlli da parte del ministro degli interni Maroni, sicuramente al corrente delle intenzioni di provocare disordini annunciate anche da un comunicato comparso sul sito di Indymedia, che aveva annunciato la necessità delle violenze di Roma come strumento insurrezionale atto a favorire la costituzione di un «governo provvisorio popolare». Il ministro, già da tempo in disaccordo con Berlusconi e forse anche intenzionato a far cadere il proprio stesso governo, quel giorno era a Varese, e da parte sua punta il dito su presunti infiltrati che fanno riferimento a diversi laboratori sociali antagonisti. [41] Oltre alle frange estremiste degli ambienti anarco-insurrezionalisti di tutta la penisola, ci sono gruppi di origine e connotazioni diverse, che uniscono situazioni per cui la risposta del potere è latitante, come la Val di Susa, a contesti esteri che stanno oltrepassando l’irrisolvibilità della crisi, quali la Grecia. Chi vuole comprendere l’accaduto senza limitarsi ad esprimere il suo sdegno deve rendersi conto che siamo di fronte ad una situazione difficile da interpretare secondo i criteri ordinari della capacità istituzionale di contenimento della violenza, o secondo l’idea semplicistica che la sua espressione faccia sempre il gioco del governo. Al di là delle congiure d’ogni tipo che possono essersi accavallate, è evidente che ognuno ha semplicemente fatto del suo peggio, come spesso capita ad un paese bravissimo a rovinarsi e denigrarsi da solo, e non serve una strategia internazionale per screditare la nazione come quella che il ministro Frattini denuncia, preoccupandosi comunque di distinguerla da un complotto. [42]

Un paese che ha espresso una delle culture europee più raffinate sembra costretto a rimpiangere come modelli d’eccellenza anche esempi di incultura quali Mike Bongiorno, mentre i termini con cui costui era descritto nella celebre fenomenologia dedicatagli da Umberto Eco arrivano a descrivere qualsiasi addetto alla cultura dell’ex Belpaese: tenacemente impegnato ad esaltare il «valore della mediocrità» e a diffondere «la più indulgente delle religioni», che pone al livello di Dio gli stessi adoratori. [43] Un paese per secoli tra gli elementi strategici dello scacchiere mondiale è ridotto ad un «arcadia geopoliticamente irrilevante» che pur dovendo molto all’America ha perso l’opportunità di approfondire il rapporto. [44]

Berlusconi, nonostante continui a fare l’amerikano, non solo mangia rigatoni che non smettono di sfidarlo: con disinvolta cafonaggine si esprime a favore di avversari degli USA, intrattenendo rapporti da “compagni di merende” con il primo ministro russo ed ex KGB Putin, pur senza fornire una direzione politicamente credibile al rapporto, [45] e con il dittatore della Libia Gheddafi, con cui le relazioni decisive rimangono quelle che il paese ha sempre avuto. [46] Tutto questo non è comunque certo attribuibile esclusivamente alla sua responsabilità: a livello geopolitico, i problemi riguardano una questione energetica destinata a scontrarsi con un empasse fortemente condizionato dall’ingerenza americana già dai tempi del caso Mattei, notevolmente intrecciato con le vicende dell’Iran, [47] mentre i toni generali sono inesorabilmente determinati dal clima della comunicazione che comunque il cavaliere sa coerentemente cavalcare coinvolgendo anche i suoi monomaniacali detrattori.

Al di là di dicerie e presunzioni, Berlusconi non è onnipotente e non è stato solo, e nemmeno bene accompagnato, nel compiere lo scempio di un paese che troppo a lungo ha preteso di vivere oltre le proprie possibilità; tuttavia, nella storia della repubblica italiana è stato il premier più a lungo in carica e l’unico che abbia mantenuto l’intera legislatura, influenzando per circa un ventennio una nazione in cui i governi non durano il tempo di una gravidanza. Le gravi disfunzioni che caratterizzano il suo potere non si limitano all’enorme debito pubblico e sono emerse in tutta la loro ampiezza anche agli occhi del resto del mondo. Infatti, all’indomani della stiracchiata fiducia e dei disordini di Roma il New York Times considera Berlusconi «screditato, privo di una maggioranza in grado di funzionare. Non è una situazione che l’Italia può tollerare a lungo. Servono, e servono con urgenza, nuovi leader, nuove elezioni e uno stile di governo più onesto». Ripudiato dagli alleati più stretti come Gianfranco Fini, incapace di tenere insieme una maggioranza anche contro una sinistra azzerata, si rimarca che quello di Berlusconi è «un fallimento personale» e il suo «restare in carica ha estenuato l’Italia, indebolito il discorso pubblico, indebolito il governo della legge». [48]

Insomma, il profilo di Berlusconi si avvicina a quello del Saddam Hussein prossimo alla rovina, un tiranno con cui non ha più senso trattare: ma forse, anche senza considerare il complessivo fallimento delle Guerre globali, il paese non è poi così importante da giustificare un intervento armato. Inoltre, lo spostamento degli equilibri geoeconomici verso l’Oriente e il Sud del mondo ha messo l’America di Obama nelle condizioni di abbandonare le pretese bushiane di dominio mondiale pur mantenendo, per quanto all’insegna del soft-power, l’imprescindibile ruolo di ispiratore, arbitro e garante di un mondo ormai composto essenzialmente di equilibri regionali. [49] A quale regione appartenga però il sub-continente italiano non è tanto chiaro. Le troppe contraddizioni e l’ormai evidente inadeguatezza porta l’opinione pubblica internazionale ad effettuare continui affondi, mai definitivi come possano sembrare. L’Economist realizza un titolo come The man who screwed an entire country [50] ed una lunghissima inchiesta; se questo lungo stupro conoscerà una soluzione, non potrà limitarsi al solo Berlusconi, ma dovrà estendersi a tutti coloro che anche nelle pseudo-opposizioni e nelle amministrazioni locali ne hanno permesso il radicamento: quasi certamente, in un paese che non ha ancora regolato i conti con la cosiddetta prima repubblica né tantomeno con il fascismo, questo non accadrà. Nessuna Norimberga, mai, per carità: siamo italiani, ci piace disprezzarci e non facciamo niente che possa concederci di smettere di farlo. [51]

Anche le piazze italiane registrano un definitivo cambiamento di umori e il personaggio-Berlusconi sembra ormai ridursi ad essere semplicemente il buffone più quotato di tutti i tempi, ma è troppo facile risolvere tutto con il dileggio e pesa troppo il proverbiale ritardo con cui il paese affronta le proprie vicende. Il sussulto di dignità delle donne di “Se non ora quando”, impegnate il 13 febbraio 2011 a Bologna in una manifestazione che ha coinvolto tutte le categorie, è indice di un rifiuto della mercificazione che oltrepassa l’aspetto sessuale e comporta una critica alla competitività al ribasso a cui il contesto politico e sociale è ridotto. La presa di posizione sembra andare nel senso di una rinnovata decenza nazionale, aprendo ad una riscoperta delle ragioni culturali dell’Italia e fornendo un pur piccolo senso al centocinquantenario dell’unificazione. Tuttavia, più che movimenti effettivi, quelli odierni sembrano essere delle coreografie e, nonostante i contributi intellettuali non manchino, non riescono ad imporsi idee capaci di tener insieme l’esperienza collettiva e conferirgli una direzione.

Infatti, in questa Italia piccola piccola, sembra davvero difficile, anche per molti lamentosi, rinunciare all’appiattimento dominante, ed è palesemente impopolare ogni idea di eccellenza, anche presso tanti che straparlano di cultura. Il pur ampio dissenso stenta ad emergere da ristagni demagogici e sembra davvero troppo debole e disperso: attaccarsi alla Costituzione, alla magistratura e a Dante è davvero troppo poco, soprattutto se anche negli ambienti apparentemente di opposizione la regola dominante è la clientela e laddove elaborazione, dibattito e intervento sono ovunque strozzati dalle onnipotenti esigenze di comunicazione.

L’Italia, mentre si allontana insieme a tutta la vecchia Europa dalle nuove rotte dell’economia planetaria, rimane marginale rispetto agli equilibri europei e perde adesioni nei confronti di un mondo islamico e mediterraneo che non ha mai compreso fino in fondo, e non è però che sul fronte continentale vada meglio. Aumentano i profughi e quindi le croniche difficoltà di gestione dei flussi migratori, verso cui si esprimono le altrettanto inadeguate forme del rifiuto totale e dell’accoglienza indiscriminata. Le ambigue risposte diplomatiche dimostrano difficoltà dalle conseguenze ingestibili. L’ostentato cameratismo di Berlusconi con Gheddafi, gli accordi privilegiati per energia e armi, i rapporti di lungo periodo intrattenuti con tutti i governi travolti dalle sommosse arabe inauguratesi nel 2011 sono stati ripudiati piuttosto biecamente e molto facilmente, ma saranno piuttosto difficili da sostituire, con il rischio di essere brutalmente spazzati via dai cambiamenti in atto, semmai qualcuno li avesse notati.

 

4. Dissoluzioni della reality-politik

L’Italia trova il suo ponte verso il Nord Africa nella zona intermedia tra gossip mediatico e politica di palazzo, dove si gioca irresponsabilmente il destino di un paese che dalla commedia scivola verso il dramma. Ne sono segno le ridicole orge middle-class definite anche «notti da incubo» ormai celebri come Bunga Bunga [52] e ispirate proprio da Gheddafi. Se il fatto accelera il processo di volgarizzazione della notizia e il culto del gossip che sono una delle prime istanze del berlusconismo, nei loro aspetti più cochon vengono facciatamente spacciate come intrattenimento ricreativo e addirittura come ninna-nanna persino alle assemblee di cattolici, [53] tenuti in ostaggio a destra dalla lobby affaristica di Comunione e Liberazione, eppure in tempi non troppo lontani pronti a indignarsi per ogni minima folata di vento. E per quanto con il tempo «dismisura, abuso di potere, degrado» abbiano disgustato persino un esperto di laidume come l’ex talent-scout Lele Mora, esiste nell’entourage berlusconiano un «contesto di venalità, arrivismo e ambizione» [54] nel quale sono ancora eccessivamente minimizzati i legami tra spettacolo, prostituzione, politica e camorra emersi dalle inchieste di Napoli e Milano. [55] Gli eventi conferiscono ogni giorno che passa maggiore spessore alle parole di Veronica Lario, ex moglie di Berlusconi, che nella primavera 2009 aveva pubblicamente denunciato, oltre alle dubbie frequentazioni minorili dell’ex marito, anche il pericolo «che in questo paese la dittatura arrivi dopo di lui, se muore la politica come temo stia succedendo». [56]

Dopo diversi preliminari, nel maggio 2010 è calata al centro delle spericolate vicende sessuali di Berlusconi la sua dichiarazione alla questura di Milano, in cui afferma che la giovanissima e procace cubista marocchina Karima el Maharug, a tutti nota come Ruby Rubacuori, sia la nipote del leader egiziano Mubarak e che, seppur arrestata per furto e coinvolta in giri di prostituzione, debba essere rilasciata per essere affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti, ex igienista dentale e cubista a sua volta. [57] Le indagini hanno in seguito accertato che la Minetti gestiva presso un condominio milanese un appartamento adibito ad una sorta di harem presidenziale, le cui favorite godevano di diversi benefici. [58]

La balla sulla “nipote di Mubarak” non era stata inventata per l’occasione ma comprendeva anche il progetto di fornire documenti falsi a Ruby. In conseguenza delle rivolte, Mubarak difficilmente può garantire alcunché in Egitto come altrove, e tuttavia le mistificazioni proseguono. Poiché all’epoca delle sue frequentazioni importanti la ragazza era minorenne, si è cercato di dimostrare che l’anagrafe possa essersi sbagliata di un paio d’anni nel registrare l’età della fanciulla, forse credendo che gli ospedali in Marocco non abbiano calendari. [59] Se alcuni giornalisti non hanno trovato migliori argomenti che fare di Ruby una povera vittima, la giovane marocchina ci aiuta a capire quanto vale ormai una “star” presenziando al ballo delle debuttanti a Vienna, da dove fa sapere che dal gentile premier ha avuto «solo del bene». [60]

Ruby Rubacuori annota nei suoi diari che il buon Silvio diceva di sé che «poteva ottenere tutto»; [61] tuttavia, nel 14 dicembre del 2011 Berlusconi presidente conosce un limite ed è costretto a dimettersi. Quale colmo d’ingiuria per uno che ha avuto la sfacciataggine di fondare un partito chiamato Forza Italia, poi trasformatosi nell’ancor più privo d’alternative Popolo delle Libertà, la piazza a Roma festeggia le sue dimissioni con sventolii di bandiere degne di una vittoria ai mondiali e sotto Montecitorio presenzia persino un’orchestra che suona l’Alleluja di Händel; dopo un anno, appena ricevuta una condanna a quattro anni per frode fiscale per la cessione di diritti televisivi, il cavaliere ritorna in campo provocando le dimissioni del premier Monti che, pur se a suo tempo da lui “scoperto”, ora gli si contrappone apertamente. Alle elezioni del 2013 registra una tenuta sorprendente, ma per le enigmatiche resistenze del neopolitico Beppe Grillo, “clone cattivo” del cavaliere nel quale la fascinazione comunicativa esprime tensioni di impronta catara, e quindi animate dalla pretesa di essere esclusivo detentore della purezza, nasce con il governo Letta lo strano ibrido PD-PdL, realizzando così nelle forme più impoverite possibili il governo di larghe intese che il paese aveva sempre evitato.

A giugno il dibattimento sul caso della ragazza marocchina procura a Berlusconi una sentenza che incrina un potere forse già giunto alla deriva, ma ormai estremamente diffuso, e per cui la condanna commutata dal giudice Ilda Boccassini, sua antica rivale, esprime più il contrapporsi di magistratura e politica che la capacità di questa di darsi delle regole o di rinnovarsi, laddove anche l’attuale configurazione del potere giudiziario non è affatto garanzia di processi equi e procedimenti equilibrati. Infatti, per far emergere in maniera decisiva da qualche magagna ormai il cittadino preferisce rivolgersi al Gabibbo, pupazzone rosso indefessamente dedito alle cause impossibili, prodotto proprio dalle televisioni Fininvest.

Com’è nella migliore tradizione di certi varietà, nella reality-politik italiana regna l’oscenità seppur in forme ipocrite, mentre visto dal resto del mondo il paese acquisisce un profilo a dir poco grottesco, lontano da ogni idea di sovranità. Per fare un confronto storico, sembra diplomazia sottile la discussa “pornocrazia” che caratterizzava la nobildonna Marozia e i poteri romani medievali, versione hardcore degli interessi erotico-politici a lungo presenti nei disegni dinastici di portata internazionale. [62] Inoltre, se la letteratura anticonformista ha dato interpretazioni piuttosto scabrose della tendenza degli uomini potenti a scaricare le tensioni in perversioni innominabili, nelle narrazioni le nefandezze messe in gioco non arrivavano ad interferire con gli interessi di stato. Infatti in Royal Blood, storia a fumetti del nichilista detective-mago John Constantine scritta dall’irriverente Garth Ennis e crudamente disegnata da William Simpson, la presenza nel corpo del principe Carlo del demone di Jack lo squartatore non crea troppi problemi alla corona non soltanto perché la famiglia reale non ha mai fatto altro che «nutrirsi del sangue del popolo», ma anche perché nel farlo non dimentica l’etichetta. [63]

In Italia invece, mentre si continua ad ostentare l’occidentalità dei princìpi e a godere di democraticissime elezioni, lo stile delle élite delle corti di potere si avvicina a quello che si immagina sia proprio ad un sultanato in mille e una notte di feste, imitando i dirimpettai mediterranei negli stereotipi più scontatamente folkloristici. Nel “popolaccio” qualcuno è felice così, ma non per amore di democrazia. La sfacciataggine con cui si palesa la straordinaria capacità di corrompere persino le prostitute si accompagna a cambiamenti che incidono sul lassismo italiota nel modo peggiore, verso una direzione ad un tempo più frigida e più troiesca, comportando un prezzo da pagare piuttosto alto.

Il capitalismo attuale non produce semplici puttane, ma escort: non donne del popolo che vivono miseramente del loro corpo, ma fiere alleate degli aspetti più sottilmente strategici del potere, con un corpo costruito su misura. La suggestiva indicazione di J. G. Ballard su una democrazia ridotta al consumismo e alle public relation, insomma ad «andare a prostitute» [64], si sta realizzando e dobbiamo pure farcela piacere: ma non tutti possono avere tale attitudine, e forse qualche idiota ancora crede davvero che sia proprio la capacità di relazionarsi a costituirci quale individui, ritenendo inoltre valga la pena di impegnarsi per una vita degna di essere vissuta, piuttosto che ridurre ogni cosa alla misura del denaro.

La Chiesa intanto procede il suo cammino, e attraversa i decenni con la sua disinvoltura millenaria. Il lungo e influente pontificato di Giovanni Paolo II arriva a chiudersi nel 2005, nel pieno delle guerre globali in Medio Oriente, delle quali il pontefice per primo contesta la legittimità, incrinando definitivamente l’alleanza tra USA e Vaticano. La Chiesa resta tra i rottami del muro che ha contribuito ad infrangere e, mentre inizia a volgere la sua critica al capitalismo, all’individualismo e al relativismo, potenti e impotenti del mondo si convincono per davvero che la storia finisca nel giocarsi tutto nella lotta per il «riconoscimento». [65] Mentre la più antica istituzione del mondo sembra ormai esangue, le inedite circostanze dell’abdicazione del raffinato filosofo e teologo tedesco Benedetto XVI Ratzinger [69] permettono un sorprendente rilancio della credibilità vaticana e favoriscono l’elezione dell’argentino Jorge Mario Bergoglio come papa Francesco, alla cui arguzia tipicamente gesuita spetta il compito di rinnovare le gerarchie interne e rilanciare l’influenza della Chiesa [70]. Il liberismo ha fortemente contagiato il Vaticano, alle prese con una difficile gestione della corruzione interna che rende imprescindibile la risoluzione degli scandali legati soprattutto alla gestione dello IOR, ai cui arresti eccellenti la Santa sede risponde rendendosi disponibile a collaborare alle indagini, [66] e agli abusi dei preti pedofili, per il cui approvigionamento è denunciato anche il coinvolgimento di una lobby gay vaticana, [67] che però a sua volta sembra essersi già installata proprio nel controllo dello IOR. [68]

Al Vaticano occorre tanto rafforzare il dialogo con le altre religioni quanto contrastare l’influenza delle sette neoprotestanti [71] e le forme di neo-oscurantismo poco inclini alle distinzioni ma ossessionate dalla normativizzazione quali quelle espresse dagli omomatrimoni, [72], da parte loro più intenzionate a celebrare il trionfo dell’edonismo consumistico piuttosto che esprimere la necessità di rivedere le disposizioni sulle unioni civili. La sfida che attende Bergoglio è quella di ricucire il potere sacrale espresso dalla Chiesa con una condizione umana sempre più laicizzata e secolarizzata, conciliando la fede popolare ispirata di Woytjla con l’idea di “minoranza creativa” indicata da Ratzinger. [73] La millenaria macchina cattolica, ancora più internazionale soprattutto nel Sud del mondo e sempre potente seppur piuttosto isolata, sembra dotata di maggiore dinamismo dell’ancor giovane stato italiano: questa volta, la sua influenza potrebbe permettere al paese di risollevarsi dagli effetti di una corruzione generale, verso la quale la giustizia laica sembra essere incapace di ogni risoluzione possibile, pur essendo destinata ad intromettersi in una politica insufficiente a se stessa e così alimentare un populismo da cui dovrebbe essersi liberata. [74]

Berlusconi è stato l’esponente principale di una cultura dello sciupo e dell’impunità che, interpretando le esigenze del mondo del lavoro meglio dei suoi oppositori e tentando di mantenere alto il tenore di vita del paese, ha contagiato linguaggio, modi e colori di una società dimostratasi incapace di elaborare qualsiasi modello alternativo convincente, anche perché egli rappresenta indubbiamente l’erede delle sue tradizioni più discutibili. Infatti, la rimozione della realtà che permette ad un politico di eludere la giustizia non dipende soltanto dalla pretesa di sostituire il conflitto con la pacificazione [75] ma affonda nella tradizione di silenzi e sangue dello stragismo, rimossa dalla nostra memoria come del resto tutta la nostra storia. È anche la persistenza di tale patologia a permettere al cavaliere un’ascendente su una consistente componente della popolazione che non tramonterà di fronte a nessuna turpitudine, a nessun giudizio, a nessuna condanna, e che non ha nemmeno bisogno della rifondazione di Forza Italia per mano della figlia Marina, passaggio di potere dinastico inevitabile nelle condizioni del potere in Italia. Probabilmente non si verificherà neppure l’opportuna rieducazione dell’elettorato-spettatore, lobotomizzato al punto da essere diventato incapace di dare valore ad altro che idiozie, in quanto questo rappresenta esattamente il prezzo da pagare per la governabilità, così come il mantenimento della macchina della propaganda berlusconiana è stato uno dei motivi principali dell’estrema cautela con cui il cavaliere è stato trattato da tutti gli interlocutori, anche da quelli apparentemente più in opposizione.

Occorre una nuova cultura, ma nessuno sembra volerla se non a frasi fatte oppure a furia di digitazioni compulsive, per quanto un rinnovato uso della capacità critica e nuovi patti di lettura sono pratiche che trovano modo di diffondersi anche in rete, rispondendo al bisogno primario di chiedersi perché. Se ogni tipo di funzione intellettuale è ormai del tutto estromessa dalla pratica del potere, per il lavoro intellettuale si aprono tanto inedite prospettive di documentazione e analisi quanto la definitiva possibilità di ridiscutere ruolo e autonomia e quindi stabilire un proprio potere, laddove chi lo raccolga si sappia svincolare dal vizio di giustificare ideologicamente le malefatte altrui e sia davvero in grado di rispondere alla realtà e non a frasi fatte. Tali esigenze sono particolarmente necessarie laddove esiste concretamente il rischio che, anche indipendentemente dagli esiti delle vicende giudiziarie, un’eventuale prossima fine di Berlusconi si accompagni all’ennesimo ipocrita autoassolvimento del paese, che così potrà avere un’ulteriore ragione per continuare a disprezzarsi.

 

[1] Procedimenti penali a carico di Silvio Berlusconi, Wikipedia, aggiornamento 14.07.2013.

[2] Ruby bis: 7 anni a Mora e Fede, 5 a Minetti. Atti di Berlusconi e legali in Procura, «la Repubblica» 19.07.2013.

[3] Andrea Signorelli, Processo Mediaset. Berlusconi si arrende: “La Cassazione decida il 30 luglio”, PolisBlog, 23.07.2013.

[4] Sentenza Berlusconi, i costituzionalisti si oppongono allo “pseudoaventino”, «Corriere della Sera» 15.07.2013.

[5] Berlusconi sta cercando un paese straniero in cui soggiornare dopo le condanne, «Today 9.07.2013.

[6] Pier Paolo Pasolini, Che cos’è questo golpe?, in «Corriere della Sera» 14.11.1974, come Il “romanzo’ delle stragi, in Scritti corsari (1975), Garzanti 2008, pp. 88-93.

[7] Paolo Biondani, Freda e Ventura erano colpevoli, «Corriere della Sera» 14.04.2004.

[8] Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, Laterza, Roma-Bari 1993, pp. 49-81; 102-123; 140,151.

[9] Remo Bodei, Il noi diviso, Einaudi, Torino 1998 pp. 101.

[10] Mario Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, Mimesis Milano 2011, passim.

[11] Aldo Moro, Lettera del 31.03.1978, in La democrazia incompiuta, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 211-112.

[12] Beppe Lopez, Preoccupazione nella sinistra “è un complotto internazionale”, «laRepubblica», 17.03.1978

[13] Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, cit. pp. 177-191.

[14] Remo Bodei, Il noi diviso, cit., pp. 95-126.

[15] Pier Paolo Pasolini, Chiesa e potere, «Corriere della Sera» 6.10.1974, come Nuove prospettive storiche: la Chiesa è inutile al potere, su Scritti corsari, cit., pp. 82-87.

[16] Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, cit., pp. 160-166.

[17] Pier Paolo Pasolini, Gli Italiani non sono più quelli, «Corriere della Sera» 10.06.1974; Il potere senza volto, ibid, 24.06.1974; Intervista di Guido Vergani, «Il Mondo» 11.07.1974; in Scritti Corsari, cit., pp. 39-64.

[18] Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, cit., pp. 213-236.

[19] Claudio Fracassi – Michele Gambino, Berlusconi. Una biografia non aiutorizzata, Avvenimenti, Roma 1997, p. 30

[20] Ibid, pp. 48-49

[21] Marco Bascetta, Anatomia della scimmia antiberlusconiana, Outolet n. 4, giugno 2013, pp. 16-21.

[22] Francis Wheen, Come gli stregoni hanno conquistato il mondo (2004), ISBN Edizioni, Milano 2005, p. 162.

[23] Max Horkeimer – Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1947), Einaudi, Torino 1982, p. 33.

[24] Guy Debord, La società dello spettacolo (1967), Baldini & Castoldi, Milano 2000, p.59.

[25] Massimiliano Panarari, L’egemonia sottoculturale, Einaudi, Torino pp. 13-14, 25, passim.

[26] Giacomo Leopardi (1824) Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, Rizzoli, Milano 1998, passim.

[27] Silvio Berlusconi, Convention UDC, 25.11.1994, anche in Alessandro Corbi- Pietro Criscuoli Berlusconate, Nutrimenti 2003 Roma, p. 107.

[28] Paul Virilio, Lo schermo e l’oblio, Anabasi, Milano 1994, pp. 167-175.

[29] Claudio Comandini, Antefatto ad una vicenda impossibile, in AAVV, La notte in cui fu clonato il presidente, Noubs, Chieti 2013, pp. 5-24.

[30] Gianni Vattimo, La società trasparente (1989), Garzanti Milano 1989, passim.

[31] Guy Debord, La società dello spettacolo (1967), Baldini & Castoldi, Milano 2000, p. 58.

[32] Karl R. Popper, Cattiva maestra televisione (1994), Marsilio, Padova 20023, passim.

[33] Mario Perniola, Enigmi, Costa & Nolan, Genova 1990, pp. 68-69.

[34] Mario Perniola, Contro la comunicazione, Enaudi, Torino 2004, p. 10, passim.

[35] Mario Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, cit.

[36] Marcantonio Lucidi, Le mani sulla cultura, Malatempora, Roma 2002, passim.

[37] Immanuel Kant, Critica del giudizio, § 28 (1799), Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 111-116.

[38] Rudolf Otto, Il sacro (1917), SE, Milano 2009, p. 27, passim.

[39] Enrico Franceschini, L’ambasciata Usa avvertì Bush “Non criticate Berlusconi”, «la Repubblica» 16.12.2010.

[40] Scarcerati i 23 giovani fermati. Alemanno attacca, scontro con l’Anm, «la Repubblica» 26.12.2010.

[41] Stracquadanio: “Maroni incapace forse voleva far cadere il governo” 19.10.2011

[42] Il governo: una strategia contro l’Italia, «Corriere della Sera» 26.11.2010.

[43] Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno (1961), in Diario minimo (1963), Bompiani 1992, pp. 30-35.

[44] Federico Rampini, Perché l’America non lo vede, in Berlusconi nel mondo «Limes 6/2010», pp. 181-188.

[45] Fëdor Luk’janov, Berlusconi in russia ha fatto scuola, ibid, pp. 141-144.

[46] Claudia Gazzini, Berlusconi-Gheddafi. La vera storia di una strana coppia, ibid, pp. 157-171.

[47] Sandro Provvisionato, Misteri d’Italia, cit. pp. 27-48.

[48] Rachel Donadio, Silvio Berlusconi sustains narrow support in Italy, «New York Times» 15.12.2010.

[49] Lucio Caracciolo, America vs America, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 119-142, passim.

[50] John Prideaux, The man who screwed an entire country «Economist» 11.06.2011; su «Internazionale» n. 902, 17/23.06.2011, pp. 32-46.

[51] Sergio Romano, Perché gli italiani si disprezzano, in A che serve l’Italia, «Limes» 4/1994, pp. 159-163; anche in Finis Italiae, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1994, pp. 45-59.

[52] Piero Colaprico-Giuseppe D’Avanzo-Emilio Randacio, Notti da incubo ad Arcore, «la Repubblica« 13.04.2011.

[53] Carlo Cornaglia, Appello dei cattolici del Pdl in difesa di Berlusconi, «Il Fatto Quotidiano«, 25.11.2005.

[54] Processo Ruby bis: Mora, e’ vero c’e’ stato abuso di potere e degrado, «Ansa», 28.06.2013.

[55] Pietro Colaprico, Sesso in cambio di programmi TV, «la Repubblica» 07.11.2010.

[56] Veronica Lario, Dichiarazione ai giornali e all’Ansa 28.04/3.05.2006, anche su «Internazionale» n. 1006, 28.06.2013.

[57] Piero Colaprico – Giuseppe D’Avanzo, “Io e il Cavaliere: quella sera  gli dissi che ero minorenne” «la Repubblica» 16.02.2011.

[58] Ruby adescata quando aveva 16 anni, «la Repubblica» 15.03.2011.

[59] Pietro Colaprico – Massimo Lorello, Il padre: mai truccata l’età di Ruby, «la Repubblica» 04.03.2011.

[60] Flaminia Bussotti, Ruby: “Io, una ragazza normale”, «Secolo XIX» 02.03.2011.

[61] Piero Colaprico – Emilio Randacio, Trovato nel computer il diario di Ruby «la Repubblica» 24.03.2011.

[62] Ferdinando Gregorovius, Storia di Roma nel Medioevo (Libro Sesto), Vol. II, Avanzini e Torraca, Roma 1966, pp. 333-355.

[63] Garth Ennis – William Simpson, Hellblazer n. 52-55, 1992, su Hellblazer, Sangue Reale, Magic Press, Pavona 1998.

[64] G. J. Ballard, «Internazionale» n. 590, 13.05.2005.

[65] Francis Fukuyama, La fine della Storia e l’ultimo uomo (1992), Rizzoli, Milano, 1996, passim.

[66] Ior, papa Francesco istituisce una commissione d’inchiesta, «Lettera43», 26.06.2013.

[67] Valeria Pacelli, Preti pedofili, la rabbia del Vaticano, «il Fatto Quotidiano »29.06.2013.

[68] Gianluca Di Feo, Sesso e potere in Vaticano, «L’Espresso», 18.07.2013.

[69] Claudio Comandini, “Conscientia mea”: Ratzinger e noi, «Decostruire l’attualità» 27.02.2013.

[70] Manlio Graziano, Santa Madre Chiesa rilancia a tutto campo, su L’atlante di papa Francesco, «Limes» 3/3013, p. 43-54.

[71] Hic Petrus hic salta, Ibidem, p.7-22.

[72] Caffarra a Merola, vien da piangere, «Ansa» 1.07.2013.

[73] Roberto Morozzo della Rocca, Due strategie per rievangelizzare l’Europa, su L’atlante di papa Francesco, cit., pp. 155-164.

[74] Gustavo Zagrelbelsky, Né da Dio né dal popolo: da dove nasce la giustizia, «la Repubblica» 25.04.2005, anche su Lo Stato e la Chiesa, La biblioteca di Repubblica, Roma 2007, pp. 29-38.

[75] Massimo Recalcati, Rimozione e pacificazione, «laRepubblica» 23.07.2013.

Parti del capitolo “Il romanzo delle stragi” sono stati presentati il 12/13.07.2013 su Twitter dall’account @tweet_scritture per #Corsari/17, di cui è disponibile in rete un Tweetbook collettivo; stralci del capitolo “Riverberi del vuoto” derivano dall’articolo “La televisione che muore” pubblicato su “Controluce” a.12 n.1 gennaio 2004.

Fotografia: Claudio Comandini, “Stella del cavalierato”, Casone di Monteacuto Ragazza, ottobre 2008

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