
Com’è possibile che in tutto il mondo l’architettura contemporanea realizza capolavori, mentre a Roma produce incompiute oppure aborti? Per rispondere, occorrere interrogarsi su cosa può permettere ad una metropoli di dare spazio al presente, senza cadere nelle illusioni di uno pseudo-ambientalismo arrivato addirittura al paradosso di porre un vincolo nei confronti dello squallore di Tor di Valle. A Roma, estremizzando incapacità politiche e retoriche stantie, è stato però abolito il progetto architettonico che prevedeva tre torri firmate da Daniel Libeskind: sfuma così un elemento simbolico e funzionale che avrebbe dato slancio a quello che ora è soltanto lo Stadio della Roma. Lo skyline romano non conquista nessuna verticalità, mantenendo il suo ridicolo orgoglio di cartelloni illegali, calcestruzzo abusivo, antenne selvagge; non è stata così permessa nessuna integrazione tra pubblico e privato, e quindi nessuna opera pubblica e nessun controllo su costruttori e capitali. Nessuna innovazione, ma pura speculazione vecchio stile, laddove al posto delle tre torri vedremo sette edifici bassi, rispetto ai quali anche l’ex sindaco Marino si è espresso in modo decisamente sfavorevole. L’architetto decostruttivista che ha già realizzato l’ampliamento del Museo Ebraico di Berlino, la riprogettazione di Ground Zero a New York, e altri capolavori contemporanei, è stato comunque consultato durante il corso della trattativa, con l’obiettivo di assegnargli la progettazione di un centro direzionale intorno lo Stadio a Tor di Valle a «edifici bassi», reputati più contestuali dalle direttive Raggi, le quali dopo aver impedito le Olimpiadi hanno così messo a punto un altro segno a favore del ritardo della città. E mentre gli impreparati grillini confondono in modi grotteschi l’ambientalismo con la difesa dello status quo, lo storico dell’arte Tomaso Montanari evidenzia come il «populismo anti sistema» sia ormai diventato «populismo di sistema».
Tempi duri, nella Capitale, per chi si appassiona di architettura contemporanea e per chi è convinto che le grandi città, per definirsi tali, non debbano mai interrompere la loro evoluzione, la loro trasformazione, la loro messa in discussione.
Dopo lo stop alle Olimpiadi (che avrebbero portato parecchie realizzazioni architettoniche e il completamento del maestoso palazzo dello sport di Santiago Calatrava a Tor Vergata), dopo l’annullamento del progetto riguardante le ex Torri delle Finanze dell’Eur ripensate da Uno-A, che impatta negativamente anche sul Centro Congressi di Massimiliano Fuksas, e dopo la confusione amministrativa che ha scientemente bloccato la trasformazione degli ex Mercati Generali e della ex fiera di Roma (si pensi, per fare un raffronto, quanta nuova architettura sta significando la trasformazione, pur controversa, della ex fiera di Milano)… Dopo tutto questo, è stata la volta del piano di trasformazione urbana di Tor di Valle.
Un grande progetto immobiliare che prevedeva l’impegno di molti architetti (da Dan Meis a Paolo Desideri fino ad arrivare ai paesaggisti) e tra questi anche di Daniel Libeskind, una firma di primaria importanza globale che avrebbe potuto dare un tocco di internazionalità allo strapaese che si respira a Roma. E che avrebbe reso simbolica la nuova area, non più banalmente definita “il nuovo Stadio della Roma”.
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Peccato che proprio gli elementi disegnati dal progettista del Museo Ebraico di Berlino e del grattacielo Curvo di Milano sono però stati espunti dal piano complessivo nelle more dell’ultimo accordo tra i proponenti e il Comune di Roma. «Vogliamo solo edifici bassi» ha dichiarato a caldo la sindaca Virginia Raggi, forse non sapendo che se si vuole essere realmente “ecologici” non è certo in larghezza che bisogna edificare, ma proprio in altezza, lasciando più spazio libero possibile a terra per i servizi pubblici, l’arredo urbano, il verde, gli spazi comuni.
Tuttavia, per mere questioni vetero-ideologiche, cui ormai il Movimento 5 Stelle ci ha ampiamente abituati su vari fronti, ormai è andata così. La città di Roma deve dunque definitivamente rinunciare ad un progetto griffato da uno dei più celebri architetti del mondo?
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Non è detto. Alcuni sussurri provenienti dalle varie sedi dello studio Libeskind sibilano infatti della possibilità di un nuovo incarico. Per le torri non ci sarebbe più speranza, ma Libeskind non sarebbe offeso, anzi, sarebbe stato consultato durante tutto il corso della trattativa. Con un obiettivo: assegnargli la progettazione di alcuni (o tutti?) edifici del centro direzionale con «edifici bassi» (cari alla Raggi) che comunque circonderanno lo Stadio della Roma a Tor di Valle. E così anche gli amanti di un’architettura firmata potranno essere parzialmente risarciti da edificazioni meno svettanti ma comunque d’autore.
Sia il centro direzionale sia il centro commerciale, a differenza delle torri, sono parti rimaste particolarmente anonime nella progettazione e nella resa dei rendering, tutti concentrati sulla suggestione dei grattacieli; oggi questi “edifici bassi” tornano di attualità e possono fare la differenza tra un bel progetto – sebbene mutilato – e un progetto anonimo o addirittura brutto. Certo non sarebbe male se una elevata qualità architettonica fosse addirittura pretesa dal Comune di Roma.
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Per il momento, comunque, tutte illazioni e ipotesi: gli estremi del nuovo accordo sull’area Tor di Valle\Nuovo Stadio della Roma non sono stati divulgati e occorreranno parecchie settimane per avere una reale chiarezza. L’unica cosa certa ad horas è che lo skyline della città di Roma può essere intaccato attualmente solo da cartelloni pubblicitari illegali, bancarelle mafiose, sopralzi e superattici abusivi, selve di antenne televisive e grappoli di parabole tipiche del terzo mondo, graffiti e scritte vandaliche dovunque e naturalmente pessime palazzine para-abusive, progettate in calcestruzzo armato da sedicenti geometri in classe energetica zeta!
Tutto questo è tollerato se non talvolta tutelato; per tutto il resto – inclusa la grande architettura contemporanea internazionale gli investimenti che catalizza e attira – la strada è e resta rigorosamente sbarrata.
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Illustrazione: Progetto dello Stadio della Roma, 2016.
Massimiliano Tonelli, “Roma, nuovo Stadio: perse le torri di Libeskind”, «Arttribune» 26.02.2017.