
Strani strumenti della Provvidenza. Una scabrosa vicenda dal Basso Impero, una sorprendente vittoria del bene.
In un tempo non molto lontano, don Abbondio sembrava lo stronzo perfetto. Il suo pavido moralismo era l’espressione più tipica di una società terrorizzata da tutto quanto davvero desiderasse: inerte e molesto, incapace di assolvere ai propri compiti, alla fine riusciva in qualche modo a riassorbire gli scompensi che creava e, se da una parte ostacolava, dall’altra facilitava, con moto alterno. Lo ricordo ancora, ai tempi della scuola, quando intento nei suoi capolavori didattici, insegnando le Lettere, così le chiamava, calcando forte sulla L maiuscola, ti ammorbava con la peggior propaganda neoguelfa; oppure, alle prese con l’economia, manteneva presidio al baretto dell’oratorio affaccendandosi a raddoppiare il prezzo di boeri e chupa-chupa con la scusa delle missioni. Alcuni suoi tratti sapevano essere simpatici: sapeva le poesie a memoria, per quanto soltanto quelle orrende, e regalava caramelle, purtroppo non drogate. Fare la sua imitazione era una gara alla quale nessun ragazzaccio poteva sottrarsi.
Era in fondo un povero diavolo. E ormai, anche il suo difetto di temperamento e la sua falsa umiltà untuosa e meschina, stemperate appena da ira repressa pel mondo che l’aveva fatto così, sembrano autentica virtù di fronte alla sfacciataggine di padre Padrino: una vera merda, simoniaco più di Simone, che ad andarlo a leggere non era poi nemmeno così male, lui e tutta la banda degli gnostici e mistici più sporcaccioni. Inoltre, se don Abbondio non contava in definitiva un cazzo e il suo reale potere era nella paura dello stolto gregge, che intravedeva nella sua pur misera figura l’autorità repressiva millenaria a cui affidarsi per proteggersi dalla realtà, il nostro caro padre Padrino era un autentico magnaccia.
Ultimo rampollo di una di quelle famiglie di maniaci imbucate in tutti i nodi decisivi del potere, padre Padrino comprese sin dalla prima erezione che il traffico con maggiore rendita e minor tasso d’inflazione fosse proprio quello delle anime, e che bastava soltanto dire un po’ di cazzate ben collaudate per assicurarselo. Presa tale autostrada per le stelle, giunsero i titoli che gli conferirono un’aura pseudorinascimentale, con le pertinenze di una prestigiosa e severa rocca grigiocemento, la quale però assunse ben presto una scialba tonalità rosatello pallido, stile palazzina abusiva. Forse, fu un’emozione diffusa per la nomina, capace di scuotere anche gli immobili, più probabilmente, alcune caratteristiche dell’appalto: ma fino a dove arrivarono i trucchi, nessuno poté appurarlo, perché da quelle parti camuffamenti, cosmetici e scappatoie costituivano il pane quotidiano.
Sorretto da una lunga tradizione, proseguì la distruzione d’ogni decenza del passato, pur vantandone l’eredità, e dopo aver liftati gli esterni con tale grazia artefatta, eliminò dagli interni tutte le decorazioni rococò ormai troppo chicchìcoccò e le inutili e disidicevoli anticaglie pagane e paleocristiane, provvedendo così ad installare i confort più inutili e dannosi, tra cui un impianto di riscaldamento nucleare e una sala monitor per le telecamere diffuse su tutta la zona, con collegamenti speciali con il Vaticano, la Casa Bianca e la Banca Tedesca. L’antica passione del prelato per la guerra non era un mistero per nessuno, e molti anzi l’apprezzavano e la condividevano, riferendo con entusiasmo i dettagli dell’impianto missilistico personale mimetizzato nella torretta di stile scozzese sorvegliata da antenne paraboliche.
In mezzo a cotanto lusso, padre Padrino, sull’esempio dei più grandi insegnamenti della storia, perseverava nella smentita sistematica d’ogni virtù, cristiana e no, senza aiutare mai nessun bisognoso mai, guai, e anzi disprezzando e sfruttando apertamente chiunque fosse affamato o assetato di qualcosa. Maestro nella sottile arte del ricatto, con tutti i funerali che c’erano stati in quella triste stagione, aveva cagato omelie più incisive di mille spot, e tutti si convincevano che bisognasse dargli i soldi per non andare all’inferno, dove comunque già erano.
A Padre Padrino gustava un casino atteggiarsi a gran signore e tirraneggiare ogni povero cristo onesto in un’eterna flagellazione, però in fondo restava un semplice, amante dei piaceri immediati e disordinati: insomma, gli piaceva magnà e beve, e adorava immensamente la fica e altri pertugi. Così, qualche ricca mignottona del terziario arretrato, facendosi due conti tra cielo e terra, metteva a disposizione delle pie attenzioni di questo autentico demonio il suo sancta sanctorum privo di amore e verità. Lui però preferiva divertirsi coi bambini, facendogli credere di stare a benedirli; chi sapeva taceva, perché conviene così, che se no non sta bene, e Gesù piange.
Con i bambini che sfuggivano alle sue attenzioni e perseveravano nell’orrido peccato di giocare a pallone per conto loro sul sacro selciato del piazzale antistante il castelletto, Padre Padrino utilizzava la ormai liturgica e santa prassi della guerra preventiva e gli sparava senza troppi complimenti, anche per collaudare il sistema di sicurezza: quindi, piovevano o canonici pallini di piombo, o un più alla moda uranio impoverito. Eppure, per qualche sventura, gli riuscì di bucare il pallone soltanto una volta, ricevendone subito dopo, per colmo d’ingiuria, una sassata in faccia. L’inquinamento ambientale provocato da tutti quegli ordigni non era considerato un problema: la disinfestazione era già stata promossa dallo stesso padre Padrino attraverso una gara, truccata a sua volta, ci mancherebbe. Tutto ciò gli procurava preciso ascendente nelle decisioni importanti, niuno osava discuterne i dettami, e giornalini e giornalacci dicevano sempre che era tanto bravo.
Di fronte a situazioni disperate, c’è sempre qualcuno che ricorda che tutto avviene secondo necessità nascoste e impercettibili che come filigrana segnano il valore vero di uomini ed eventi. Anche don Abbondio, a modo suo, rappresentava contenimento ed eliminazione di una forza speciale, detta catecontica, capace al contempo di trattenere e manifestare l’assalto di un male che, nel compromesso della Chiesa con il secolo, sembra negare esattamente tutto quanto la fede afferma; padre Padrino, secondo tale schema, di ascendenza paolina, si rivela quindi come Anticristo totale: non è l’unico, non è il primo, non è il peggiore. Piaccia o meno, la storia è questa, sempre sospesa sulle nostre povere teste.
Ma se l’inettitudine degli uomini è incapace di risolvere le storie, queste a volte possono trovare esito attraverso le vie tortuose della giustizia divina, che si diverte a mettere sul trono proprio chi vuole scagliare nella polvere più fonda, utilizzando a volte come strumenti del suo operare proprio coloro che ne sembrano più ignari. Così, in un momento un po’ speciale, di quelli nei quali una grazia inaspettata sorride in modi mai visti, Eugenio, il Puma e Maciste decisero fosse giunto Il Giorno Dell’Inculazione. Eugenio era la mente, perversa quanto serve; il Puma, il braccio armato della Provvidenza; Maciste, dal canto suo, era fornito di un cazzo tale che John Holmes in persona si sarebbe sentito come una donna iperclitoridea e basta.
L’azione sostanzialmente fu semplice. Entrarono nel suo ufficio per chiedere il preventivo di un matrimonio, il Puma in ghingherissimi, Eugenio vestito da donna così bene che sembrava prenderci gusto, Maciste nel ruolo del testimone. Quando padre Padrino si alzò dallo scranno per verificare i prezzi dei suntuosi servizi richiesti, la natura della testimonianza si palesò in tutto il suo turgore. La coppia di sposini lo afferrò ai lati, Maciste con una lama gli sgarò i pantaloni, con l’arnese gli sgarò il culo, e sembra che non gli fece nemmeno tanto male.
Come Eugenio aveva predetto, non ci fu nessuna denuncia e nessuna ritorsione: ma ve lo immaginate un prete, che propriamente parlando, tra i vasi di piombo e quelli di coccio s’era ben acconciato ad essere vaso da notte, detestato da chiunque avesse un po’ di vero rispetto degli uomini e di sano timor di Dio, che va in giro dalle guardie e da chi non so a gridare: «Aiuto, aiuto, mi hanno inculato, mi hanno inculato, aiuto, aiuto!». Ciò che è noto è che in seguito a questa vicenda, per perversa e autolesionistica vendetta, il prelato stabilì che i sodomiti non dovessero più entrare in chiesa, annunciando la delibera con tutta la solennità e il livore di cui fosse capace. Tuttavia, nessuno gli diede retta.
E come se per davvero avesse fatto irruzione nella nostra pedestre storia un qualcosa d’imponderabile, terminarono le angherie e le violenze, gli armamenti furono disinstallati, le mamme smisero di fare le troie in saldo e cominciarono ad educare davvero i loro figlioli, i quali tornarono a giocare a calcetto facendo il dovuto chiasso. La corruzione ebbe una leggera contrazione e la vita umana, il pensiero e il sentimento, poterono sopravvivere ancora un po’, mentre i nostri allegri amici trovarono altri simpatici scherzi da fare.
E fu così che il bene seppe trionfare anche quella volta.
•
Tratto dal romanzo “Basso Impero” (Sovera, Roma 2006). Nuova edizione.
Fotografia: Claudio Comandini, “Descende, et imperium coepit” – Roma, febbraio 2013.