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Enrico Fraccacreta è nato nel 1955 a san Severo (Foggia) da padre pugliese e madre emiliana. Compie i suoi studi universitari a Firenze e Bologna, dove partecipa al movimento del Settantasette. Laureato in Agraria, è appassionato di botanica. La natura, per quanto oppressa dall’uomo, lascia nella sua poesia testimonianze ricche di magie notturne e diurne; tra luci diafane, danze di foglie, canti d’uccelli, balbettii di bacche, la poetica di Fraccacreta matura confrontandosi con la lezione del tempo e i mutamenti del paesaggio. Tra le sue pubblicazioni, i libri di poesia I nostri pomeriggi (1995 – Premio Montale 1995), Tempo medio (1996), Camera di guardia (2006), Mademoiselle (2012), nonché la biografia narrativa Il giovane Pazienza (2001), che ricorda l’amicizia con il celebre fumettista. Rispetto a Tempo ordinario (2015), Davide Rondoni nella postfazione ha scritto: «Questo libro è un taccuino di viaggio e di caccia. Mentre il tempo, i treni, le ideologie, le stagioni passano, il poeta cercatore si muove tra visioni e gemme di alberi, tra abissi e indizi. […] La sua opera, il suo fervido e sapiente poiein, dona un mondo – e una precisa geografia che diventano emblema e occasione di riconoscimento per tutti.» Al Premio Frascati 2017, vinto da Rondoni con La natura del bastardo (2016), Fraccacreta è arrivato terzo. I titoli sono concreti ed esistenziali, fatti di parole che sembra quasi di poter toccare: oltre questa prima traccia, si può procedere al di là di analisi critica e dati biografici, attraverso un ammirato camminare tra i versi.
L’uomo contemporaneo, in mancanza di vasti universi sconosciuti da esplorare, sembra avere ancora a propria disposizione il mondo inesplorato degli affetti, laddove questo riesca a tenersi lontano da stereotipi volgari. Così, una cultura altra comincia a presupporre nuove carte di navigazione e più precisi strumenti d’avvistamento per circoscrivere/comprendere coloro con i quali è stato dato in sorte di compiere questo viaggio.
Proprio il poeta può pronunciarsi in proposito, sapendo quanto ogni parola costi in termini d’impegno e di significato. Lo ricordano le poesie per gli affetti del grande Angelo Maria Ripellino: «Guai a chi sta sulla terra sprovvisto di santi,/ guai a chi resta solo come un re disperato/ fra neri ceffi di lupi digrignanti/»; lo ricorda poi Alda Merini, che forse sull’argomento, oltrepassando anche la mistica del sentimento, ha scritto i versi più veri e dolorosi, confermando come tali attributi spesso non riescano a disgiungersi dal fondo d’una lirica riuscita.
È proprio ai poeti veleggiare con lucidità tra i rapporti familiari, descrivendo in poche righe una saga lunga più d’un secolo. A distanza, si recupera dolcezza e giusto rapporto con le storie, le parole sgorgano copiose quando la dedica è sincera, e il resto è il cuore a suggerirlo. La metafora della navigazione fa di questo ‘insieme in un interno’ un piccolo universo nel quale non è difficile ritrovare qualche proprio sentire, e così avvertire il continuo fluire della vita.
Senza tratteggiare una finitudine borghese, le parole trovano la forza di descrivere semplicemente gli oggetti restituendoli ad una fantasia senza confine, incapace di restare a lungo inerte dietro porte ben chiuse: «i vasi allagati del ballatoio,/ danzano sulle ragnatele/ per galleggiare». Da Tu stai inquadrato (Camera di guardia):
Tu stai inquadrato
nell’ultimo giro di periscopio
nonno.
Ho creduto a grandi visioni
alzando lo strumento
nel fuoco della vista.
La pulizia del vetro ogni mattino,
l’ansiosa visuale di tutti i gradi
gli angoli e gli scalini
sulla distesa d’acqua nella cantina.
Promontori del primo piano
arcipelaghi di parenti vicini
chissà quanto lontani,
penisole inabitate di figli
golfi di genitori agitati
piccole tempeste tra le pareti
e velo d’acqua che sale,
naufragi alle isole dei capelli
che lei ha saputo lanciare,
sbarchi vissuti dietro le tende
che lei ha saputo scostare.
Le aspidistrie del portone
hanno perso il loro smalto,
al piano di sotto tua nipote
parla una lingua muta.
La progenie ha il capo chino
dei gerani al primo inverno.
Pilota nonno
nonno ufficiale del sommergibile,
cosi lontano da quegli anni,
ora t’avvicini ad incrociare
i vasi allagati del ballatoio,
danzano sulle ragnatele
per galleggiare.
Se di questi tempi il lavoro del poeta non ci viene esattamente incontro in libreria, rari i titoli sui tavoli più in vista, anche (soprattutto?) nelle grandi realtà; se occorre cercare remoti scaffali per le consultazioni di testi poetici forse anche in biblioteca; se il poeta non lo si incontra certo per strada anche se non disdegna festival e letture pubbliche – se tutto questo è reale, si può però ancora rintracciare il poeta nei suggerimenti di amici lettori, oppure nel filo sottilissimo che unisce la poetica contemporanea guidando le letture da un testo all’altro, quasi senza soluzione di continuità.
Un filo che tenta di cucire un presente slabbrato e crudele il cui sfondo è un ambiente naturale, fatto di specie viventi, clima e contesto, che a causa del pesante intervento umano non si presenta più come consolatorio. Queste sembrano le coordinate del Tempo ordinario, e così Enrico Fraccacreta scrive in Alle ore diciotto:
Sempre, anche se c’è confusione
senza il bisogno d’interrare i bulbi nuovi
perché qui da noi un papavero bastardo
è il sangue buttato dalla terra ferita,
che ancora si rinnova.
Il poeta ingaggia un papavero combattente: un fiore che non è più simbolo luminoso e forte, che non è un montaliano girasole capace d’una pazzia sana e vitale: piuttosto, questo papavero rappresenta un vero sopravvissuto pronto per un’arca futura, oppure è ‘partigiano’ straziato d’una terra che non smette di perdere. Immagini forti, eppure narrate con calma. E prosegue:
Alle ore diciotto qui il vento finisce
di gonfiare le vele sempre più confuse del giorno,
ma dev’essere il tempo giusto per uscire fuori
e sorprendere le prime bacche, delicatamente,
come se cercassimo l’amore degli altri.
La natura non può smettere di ‘suggerire’ a chi non riesce ad ignorarla: ci parla di continuo se siamo anche noi natura e solo ascoltandola potremo recuperare una parte del rapporto, perso, con noi stessi… In Vedi come muta la scena:
non trasalire se passeranno piccole luci
nell’imbrunire, saranno lucciole,
è sempre così dalle nostre parti
in questa stagione volano un po’ e poi si spengono
come le povere idee che ci sono restate.
Nessun rumore, ce ne accorgeremo solo dalle impronte
fresche sulle prime foglie cadute che loro, piano
si stanno radunando attorno a noi
e solo dentro noi sentiremo le loro voci.
Se poi noterai qualche goccia di rugiada sulle foglie
allora forse verrà anche Andrea
e tu cerca di tenere a bada la commozione
quando chiederà perché l’abbiamo lasciato solo.
L’inversione del rapporto antropocentrico con l’ambiente circostante diventa sorprendente in È facile sapere dove sei, dove è l’apparire di forme botaniche certe a tratteggiare una figura umana contro lo sfondo, e non piuttosto il contrario. Le meraviglie osservabili d’un pianeta silente riescono ancora nei miracoli dove all’uomo non potrai chiedere la parola (come già indicava Montale), perché l’eccessivo uso l’ha privata di senso, così come quotidianamente accade nel gracchiare incessante d’ogni forma parlata, e qualche volta anche inutilmente scritta, in assenza di attenzione e necessità:
Ma se confondi la stagione non ti trovo
quando il mandorlo sbozza le sue gemme
e la cima resta nel ghiacciolo
ancora non fiorisce non esplode
l’erba che non cresce non reca la tua impronta
non spezzi neanche un ramo mentre passi
tra la nebbia che resiste aspetto d’ascoltarti
nello schiocco del primo fiore nuovo
così ritorno indietro e ti ritrovo.
In È facile sapere dove sei (da Mademoiselle), oltre la natura naturans, torna la natura voluta dagli umani, ancora capaci di ‘documentarla’ in forme banali, quale semplice fondale. Qui il riferimento è affettuoso: è in ballo il sentimento che lo unisce a colei che, oltre alla terra, è compagna di vita, e quindi moglie:
Lo scatto delle palpebre d’estate
è la foto sovraesposta che sviluppo
nella camera buia della memoria
chissà perché sorridi non sapendo
del mio imbarazzo fotografico ogni momento
tu credi ancora alle istantanee
con la sabbia allucinata e il mare sullo sfondo
o in posa con le vette di contorno
Ed è lei che ogni volta torna nel legame con le attività quotidiane:
non sai d’essere ripresa anche in cucina
al fuoco dei fornelli o con la lavatrice
la foto virtuale senza cornice
l’immagine sgranata dell’ingrandimento
che deborda dalle scale ogni gesto
e incolla dal mattino il manifesto
sulla strada del lavoro quotidiano
il calendario con il numero del giorno
lo spazio bianco del nostro anniversario.
Fraccacreta ha dedicato alcune poesie all’amico d’infanzia Andrea Pazienza e sui suoi anni giovani ha scritto anche un piccolo grande libro. Difficile ignorare tale legame: in parte perché il disegnatore di culto è ancora amatissimo da intere generazioni di appassionati del fumetto, e inoltre perché tra questi versi resta difficile lasciar andare il ragazzo mai diventato uomo che vi si aggira, capace di sopportare le banalità del vivere tenendole appese alla sigaretta affilata tra le labbra sottili, che Fraccacreta ha conosciuto prima che Pazienza fabbricasse il ‘cattivo’ alter-ego Zanardi.
Rintracciamo di nuovo la nostalgia dell’autore capace di vestire ciascuna delle nostre: dell’artista non si rintraccia nessuna fattezza, non c’è, non può esserci, chi è rimasto ne scontorna, a suo modo, l’assenza. Da Divisioni (Geografia della memoria: poesie per Andrea Pazienza):
Il rimorso delle nuvole in alto
ha oscurato tutte le volte
il buio del tempo ordinario
il freddo passaggio di coscienza
di una luce remota nella camera
che una sera lontana sulla riva
punteggiava di lumini l’altra sponda
e tu eri un ragazzo che chiedeva
se un sogno può rubare l’altra parte.
Una sponda è ancora un desiderio, per alcuni quello dell’ultimo passaggio, per altri quello d’un’altra vita. E dove c’è desiderio d’altrove c’è poesia, e il tempo ordinario riprende a dilatarsi. E proseguendo in questo viaggio:
Adesso che ognuno a proprio modo aspetta
e un’istantanea o la semplice scritta
t’avrebbe troppo imprigionato
quel cespuglio lì sulla destra innamorato
è tuo padre, lo vedi dal periscopio della croce
sopra la coperta di trifoglio
lo stampo di un lieto ciclamino
atterra tutti i giorni con le gazze
per schiodarti alla terra o per guarire in alto
tra i riverberi e le penne bianche e nere
fermo sotto l’angolo del vetro
dove i morti si specchiano voltati
trasmette da una casa esterrefatta
screpolata dalla tua mancanza
la carta da parati che si stacca
sul filo delle viole sorridenti
attende le avanguardie del mattino
quei cani smagliati nelle fosse
dal manto pezzato di vaghezza
per darti le ultime notizie:
hanno scrollato tutti i ricordi
i destrieri delle solite omissioni
calando a pelo di boscaglia
dalla scala della nostra appartenenza
hanno chiamato da tutti i rimpianti
i compagni della tua assenza
hanno aspettato tutte le piazze
bagliori di strade interrotte
è piovuto tutta la notte
il rimorso delle nuvole in alto
ha oscurato tutte le volte
il buio del tempo ordinario
il freddo passaggio di coscienza
di una luce remota nella camera
che una sera lontana sulla riva
punteggiava di lumini l’altra sponda
e tu eri un ragazzo che chiedeva
“se un sogno può rubare l’altra parte”
ora un concerto di preghiera
spinge la vela che riparte
innalza una scaglia di pianoro
cattura il primo raggio e lo nasconde
tutte le volte creduto l’orizzonte
•
Fotografia: Serena Grizi, “Angel-o” – Villa Barbarigo, Andemani, Valsanzibio (PD), novembre 2017.