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Oggi fa più scandalo coprirsi o scoprirsi? La polemica estiva sul burkini è rimasta perlopiù coinvolta da un’epidemica reattività emotiva che impedisce ogni sensato ragionamento, esasperando così uno scontro già piuttosto sterile tra uguaglianza obbligatoria e identificazioni aggressive. In questo come in molti altri casi di indignazione mediatica, la semplice opportunità di documentarsi è stata evitata in nome di un dogmatismo laico diventato ormai senso comune. Il divieto del burkini in spiaggia è così scattato per ordinanza comunale in zone balneari come Cannes, Villeneuve-Loubet (Costa Azzurra) e Sisco (Corsica), e successivamente a Le Touquet-Paris-Plage (Nord – Passo di Calais) e Nizza. Va osservato che la norma securitaria di impedire qualsiasi copertura del volto è attiva a livello mondiale e accompagna l’espandersi del terrorismo integralista; in Francia il divieto di indossare il velo nei pubblici uffici e nelle scuole superiori risale al 2010, per essere confermato nel 2014 dalla Corte europea dei diritti umani. L’uso del velo è stato così assimilato ad un modo di «ostentare» la religione di appartenenza, mentre la sua proibizione è stata considerata come non lesiva della libertà d’espressione. Peraltro, l’assimilazione del velo a simbolo religioso non è del tutto esatta, perché per quanto diffuso e tipico non rappresenta norma coranica, ma fatto di costume, ed è stata inoltre a lungo praticata anche dalle donne cristiane, come illustra la storica Maria Giuseppina Muzzarelli nel libro A capo coperto (Il Mulino, Bologna 2016). Ha osservato il quotidiano «Libération» che la norma di indossare vestiti «corretti e che rispettino il buon costume e la laicità» presenta «deboli fondamenti giuridici ma un potenziale polemico garantito»; da parte sua, il ministro dell’interno Valls, pur esprimendo la propria contrarietà personale, ha cautamente tenuto lontano il proprio ruolo dalla polemica. Il carattere delle ordinanze è stato in seguito rigettato, e anche molti occidentali lo hanno ritenuto ipocrita e discriminatorio. Infatti, presupporre che il “coprirsi” sia di per sé una forma di sottomissione non tiene conto del fatto che per molte donne musulmane è addirittura simbolo di emancipazione; piuttosto, sarebbe invece il caso di rendersi conto dove questo “scoprire” così occidentale favorisce un effettivo sfruttamento del corpo femminile. Da parte sua, l’australiana Ahiida Zanetti, stilista creatrice del burkini, ha affermato che il costume è «nato per dare alle donne che amano lo sport ma che vogliono vestire in maniera modesta, come me, una possibilità di scelta»; va inoltre segnalato che il 40% delle acquirenti di questo costume da bagno sono non musulmane. Per approfondire, è opportuno un confronto diretto con il mondo musulmano odierno, del quale un ampio repertorio è offerto da “Il pensiero islamico contemporaneo” di Massimo Campanini (il Mulino, Bologna 2009); tra le varie voci, quella della sociologa Fatimah Fermissi, critica verso il dogma della taglia 44 che imprigiona le donne occidentali e interessata a comprendere la «rivendicazione da parte delle donne del loro diritto a Dio e alla tradizione storica». Un’analisi tecnica del burkini è offerta da Rossana Miranda (Caracas, 1982 – vive a Roma), autrice di “Dissidenza 2.0” (Editori internazionali riuniti, 2014) e “Hugo Chávez. Il caudillo pop” (Marsilio, 2007), che collabora con testate sudamericane e italiane.
1. Fatti, numeri e curiosità
Così come Mary Quant è diventata famosa per avere inventato la minigonna negli anni ‘60, ora la catena britannica Marks&Spencer lascia il segno nel mondo della moda (e non solo) per la commercializzazione del burkini, il costume da bagno con burka integrato. Chi indossa il burkini ha le braccia, le gambe e la testa coperti «per nascondere tutto il corpo senza rinunciare allo stile», come si legge sull’annuncio. A prima vista sembrerebbe una tuta da sub, ma il tessuto è lo stesso poliestere dei costumi da bagno in lycra e non quello fatto con neoprene per i vestiti da immersione. Il costo del burkini è di 60 euro.
2. Nuovo mercato islamico
Il dipartimento di marketing di Marks&Spencer ha spiegato che le possibilità di sviluppo nel mercato islamico hanno spinto l’azienda alla produzione del burkini. (Qui l’articolo di Formiche.net sul boom della moda islamica). La catena low cost svizzera H&M, invece, ha annunciato che il costume per musulmane sarà nei suoi negozi a breve perché vogliono “difendere il diritto delle donne di vestire la propria personalità”. In uno spot promozionale, H&M ha già presentato lo hijab.
Anche se non è la prima né la sola casa di produzione di questo capo di abbigliamento, la vendita del burkini Marks&Spencer in Francia ha acceso le polemiche. Per il ministro dei Diritti delle donne francese, Laurence Rossignol, “quando i marchi investono nel mercato dell’abbigliamento islamico lo fanno perché è redditizio”.
Ruqsana Begum, fondatrice della scuola di difesa personale al Center Osmani di Whitechapel, Londra, e campionessa di kickboxing, ha anche una linea di abbigliamento con lo hijab incorporato per aiutare le donne musulmane a cimentarsi nella disciplina in tutta comodità. «Mi è venuta l’idea durante i Giochi olimpici – ha spiegato al sito Islam Information Center -. Mi ha colpito la storia di un’atleta americana che ha detto che non poteva competere indossando lo hijab per motivi di salute e di sicurezza. Suo padre ne ha cucito uno per farla combattere. Così ho pensato che potevo farne uno per le donne normali che vogliono cominciare con questo sport».(Qui l’articolo di Formiche.net).
3. Chi ha inventato il burkini
Il burkini resta un abbigliamento occidentale, che risponde alle necessità della comunità islamica in Occidente. Ad inventarlo è stata Aheda Zanetti, australiana di origine libanese, che nel 2003 registrò il nome del suo costume da bagno, in regola con le norme di abbigliamento della sharia, il burkini.
Le autorità francesi e alcuni comuni spagnoli ne hanno vietato questa estate l’uso per motivi di sicurezza. In Italia, nel 2009, Christian Panzarini, responsabile di una piscina nel quartiere Borgo Trento a Verona, aveva rimproverato una donna che si era presentata con il burkini dopo le proteste di altre donne perché spaventava i bambini. «Non ho vietato nulla – ha detto Panzarini a Repubblica -. Ho solo chiesto informazioni sul costume. Le ho anche detto di mandarci una mail per fornirci ragguagli tecnici. Ci sono alcuni materiali che possono essere utilizzati e altri no in base a determinati parametri igienico-sanitari».
Ma il burkini è soltanto un elemento religioso? Non sempre. Nigella Lawson, una conduttrice britannica, ha indossato il burkini in spiaggia durante una vacanza per «proteggersi dal sole». Il sito Marie Clare racconta le controindicazioni dell’uso del burkini, tra cui problemi sulla pelle e vesciche.
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